lunedì 31 dicembre 2012

Sesta Ecloga Indiana Prima versione/ Ecloga settima frammenti


Cala l’ombra dei monti sui casolari fumanti,
di sterpi  e sterco dai bracieri esalanti,
s’annida la luna tra le mahua ritorte,
cede il sole la sua luce di sangue al fiume che scorre,
nella successione dei mesi che volge alla fine dell’anno
 anche il Natale,
la notte dell'amico scosso dal pianto per la bufala morta
che cercava conforto nel calore del corpo dei figli
 accanto nel sonno,
con la vigilia in cui nell’albero al limitare del colle
vedevi il ramo a cui appenderti al sole,
e ora chi è stato ospite sverna già al Sud, è  in Irlanda che urla di nuovo contro i ritrovati  snackers,
radica nel Bangladesh  la coltura del neem,
in tutti con un curry speziato
infuso un nostro lascito di folli speranze,
quando è stato solo ieri che l’uccelletto Ashesh,  di ritorno furtivo,
 ci ha già lasciato e derubato di nuovo,
come se nulla fosse stato, dell’incanto nel parco,
di appostarci alla vista di antilopi e cervi,
del viaggio, di piccoli uomini,
intrapreso con Ajay, al villaggio dei nonni,
per le forniture  del negozio e la riscossione dei crediti ,

seguitando, tra le nebbie,
la crescita dei germogli infestati di grano,
dei  bei volti amici intenti ad  apprendere  e degli inquisitori di turno,
ogni freddo/fumido  mattino Kailash  infreddolendosi all’arrivo dei treni
per intercettare nel flusso l’occasionale turista,
Vimala, l’infinitesima volta,
nel risospingere il riflusso di acqua in cortile,
tra i bambini che pettinati e rilavati
si avviano a scuola in tuctuc,
mentre Chandu può dormire ora più a lungo sotto le coltri
ora che a noi tutti si è provveduto un giaciglio.
Ma pur se il viride miglio delle suore ne ravviva la  grotta,
ora che l’anno finisce felice
è la nostra mangiatoia il pagliericcio di un morto bambino
nel cui astringerci crepita il fuoco.



Egloga indiana settima frammenti spersi

E quando le opere parevano morte,
inutile ogni sforzo intentato,
che solo fosse protratta la resa,
un nuovo splendore illumina i giorni,
la vacca tra la pula che lecca il vitello,
(la senape nei campi che germoglia col grano,)
 la senape nei campi che germoglia, dinuovo con il grano
germoglia di nuovo,
e pur nei presagi di essere tolto via da ogni giorno (della fine),
e la sera non è tenebra ombra di sventura
quando cala dai colli sui fumi sospesi dei fuochi,
velami dell’aria che imbruna
 le aie e i coltivi,
che   oscura oscurando le campanule protese slanciate tra i fili ritorti,
ora che l’acqua del fiume trascorre più ancora
immota imperturbata  al tramonto,  nel volgere a un nuovo mattino ch’ è nel primo mattino di luce anche nell’ombra
agli armenti  che vi pascolano lenti/ quieti
dove  è luce anche l’ombra,
e di riparo conforto è anche il tugurio di stracci ed infissi,
della prole di guardia
“ ru…pees, ru..pees,
pigolando come gli uccelli tra i rami la prole di guardia,
solo  l’ incanto benedicesse anche i letamai dove rovistano insieme maiali e bambini,
solo il canto degli uccelli sovrastasse
il pigolio degli “hello, rupees”  dei piccoli
come esci per  strada,

il tugurio di stracci ed infissi dove giace la prole di guardia,
 e tu potessi confidare poichè senti e sai che nulla potrà più andare perduto
di quanto sia stato il dolore dei giorni,
ora che l’amico forse ha preso il passo
di chi sa essere per gli altri,

prima che tutto s intorbidi ancora nel in tal gorgo,
 che al letale sospetto
sotto i cieli non ci sia più latitudine o longitudine per chi differisce non è come gli altri,
 e l’amarezza sia il flutto che risale da tutto quanto è trascorso,

ma come Vimala lascia le coltri
che dolce tepore
prenderne il posto accanto al mio Chàndu,
infinitamente/delicatamente accarezzarlo nel sonno,
presagendo nella fitta il dolore che il dono di grazia
sia il sopravvivere anche alla sua perdita,

mentre lente le nuvole gonfiano l’arco dei cieli,( gennaio febbraio2013)
altro di tremendo e risorto
ancora ci attende ( 18 marzo 2013
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