La vista del Jeevan
Bharati ( 1975-1986) di Charles Correa, da cui ha inizio il nostro itinerario, s’accampa
nella vista di chiunque alzi lo sguardo all’orizzonte verso le rotatorie
meridionali di Connaught Place, la
concentrica piazza commerciale dell impero britannico in cui ancora trova una
suo centro la megacity di Delhi.
Le sagome rosa
dei suoi corpi di fabbrica intelaiati da una pergola metallica e complementari alle
sue masse vetrate, si sopraelevano sul candore palladiano delle volte colonnate
e dei prospetti di Connaught Place, per
porsi quale medio proporzionale tra tali vestigia anglo-imperiali /British e gli edifici a torre
ancora più alti, retrostanti, quanto il
retaggio indiano che nel Jeewan Bharati si fa modernità contemporanea, vi è teso a sopravanzare l’eredità coloniale in cui si inserisce, e si
fa una quinta prospettica volta al futuro.
E’infatti ugualmente
rosata la pietra arenaria intarsiata dal
biancore dei marmi,- un candore qui ripreso nella tornitura della
colonna di supporto centrale dei tralicci metallici della pergola, - in cui sin dalla edificazione della magnifica
tomba di Humayun si è materializzata l indianizzazione dellarte islamica dei sovrani moghul, che in tale
contrappunto cromatico si rifecero ad un connotato dellarte dei sultani di
Delhi che ne furono i predecessori. Esso risale alla stessa Alai Darwaza di Alauddin
Kaljii, addizionata alla moschea Quwwat –ul- Islam nel 1311, entro il complesso
del Qutub Minar. L’incastonamento del
marmo bianco nell’arenaria rossa sarebbe rimasto preminente nell’architettura
indoislamica sino alla tomba del nuovo signore tugluquide Ghyassuddin costruita
intorno al 1325, nei paraggi della terza Delhi, Tuglaqabad, ma se ne perderà il
ricorso per buona parte del xv secolo, sino alla sua ricomparsa durante il
sultanato dei Lodi nella Mothi ka e nella Bara- Gumbad Masjd. Sotto i Moghul e nel corso dell interregno afgano di Sher Shah Sur, le Jamali Kamali e Qala-i-Kuna masjid , l’una in
Merhauli , l’altra nella Purana Qila, la tomba di Ataga khan nel complesso di
Nizamuddin, saranno i primi monumenti in Delhi a sancirne una ripresa
emblematica della loro stessa arte dinastica, sotto l’impero di Akbar e quello di Jahangir,
fino a che Shah Jahan non instaurerà la predominanza del puro marmo
trascolorante, nella sublimità del Taj
Mahal ed edificando o riedificando, in
marmo bianco, interi palazzi e i diwan di udienza privata dei forti di Delhi e
di Agra. Una scelta che nel secolo scorso
avrebbe conosciuto una sua transustanziazione occidentale nel
Victoria Memorial di Calcutta, ove il Taj Mahal
è il fantasma che aleggia nelle forme architettoniche, sotto mentite spoglie lagunari veneziane.
Ma qui in Delhi,
ci occorre svincolarci dalla morsa del traffico anulare intorno al circolo
esterno e a quello interiore di
Connaught Place, e oltrepassare gli accessi alla metropolitana, i prati centrali
e il mercato minuto e corrivo - od all'ingrosso e all'imbroglio- del Palika
bazar, per ritrovarci a distanza
ravvicinata dal Jeevan Bharati, e indugiare in una vista d’insieme prima di
accedervi, sottoponendovi a rigoroso
controllo ogni borsa o tracolla o zainetto
e borsetta. E’ sede infatti di istituti bancari oltre che della Life Insurance Corporation che ne ha
commissionato l’edificazione, ed essi richiedono la massima sorveglianza critica.
La vetratura
rispecchiante e le murature compatte , con aperture solo d’accesso e in uscita e nei recessi
frangisole delle pareti retrostanti, sembrano preservare da ogni
intrusione invasiva della megacity il complesso degli uffici e delle attività
lavorative che vi si svolgono, per
rinviare chi vi è di transito e vi sosta agli open- to-sky spaces che si aprono
tra le grandi cortine delle due ali dell edificio e al di sotto della pergola, che
è una delle tipologie di spazi
sotto” the blessing of the sky “,
cui Charles Correa si rifà nel suo saggio omonimo, similare al cortile di preghiera della Jami
masjid di Delhi, od ai giardini terrazze polifunzionali tra i padiglioni dei
forti moghul, alla natura medianica celestiale dei chattri allineati in
batterie in tali edifici o nei palazzi del Rajasthan, oppure alle case composte di capanne con
funzioni specifiche intorno a un cortile dei villaggio esemplare di Banni nel Kuch,
per offrirvi in “open areas “connesse
con quelle coperte” to te users areas of visual quiet where the eyes can rest
and the mind meditate”, in sintonia profonda con lo stesso simbolo
dell'educazione in India e in Asia, che non
è “ the little Red Schholhouse of North America, “ ma un guru che siede
sotto l’albero. “True Enlightenment
cannot be achieved within the closed box of a room, - one needs must be
outdoors, under the open sky”.
Addentrandosi nel
cortile del Jeevan Bharati possiamo osservare meglio come I due immensi edifici
di vetro e giunture metalliche dei due corpi di fabbrica si profilino
asimmetricamente, l’uno in rettifili ortagonali, l’altro con un maggiore
sviluppo in lunghezza e obliquamente di lato, quasi per rendere ancor più una
strettoia il varco verso la città retrostante che si apre tra le due ali come
una grande porta o "darwaza", ribadita
dalle due torri retrostanti, isomorfa, nella
sua altezza, più alle porte ricavate nella natura dei rilievi, come quella che
in Chanderi è di transito dal Malwa, che a quelle degli edifici anche più monumentali.
Segnala tale
apertura, cui recano percorsi scalari intorno a cortili a vari livelli, la
colonna che regge la pergola immensa di 98 metri di lunghezza , insieme ad un
pilastro cuspidale a tre facce e alle masse murarie aggettanti, secondo un’ invenzione
che si ripeterà nella sede ulteriore
della LIC di Mauritius progettata da Charles Correa negli anni 1988-1992.
Ciò che invece
non vi si ripete, e che è quanto di più affascinante riserva il Jeevan Bharati,
è la proiezione liquida del pergolato
nelle vetrature , in cui si liquefa distorcendosi visivamente come, nella sua
solidità volumetrica, ogni altro
elemento architettonico che ne sia riflesso,
in una dissolvenza liquida e un defluire anamorfici delle ali dell’edificio
nella loro rispecchiatura reciproca, che
mutano i graticci della pergola in viluppi ritorti, li mischiano in serpentine
fluttuanti, frangono e e ondulano i
profili rettilinei della colonna e delle
massa vetrate.
Non solo, quanto
l’edificio così liquidamente dissolto nella sua compattezza solidale
/strutturale, invece è di fatto inaccessibile ad ogni ingerenza perturbante della megacity circostante, altrettanto nella sue masse vetrarie si fa uno
specchio costante del trascorrere della vita urbana e del tempo, nel loro continuo
trasmutarsi, riflettendo gli uccelli in volo quanto le cangescenze di nubi e
della luce dei cieli di Delhi.
Cessato lo starvi
contemplativo nella congestione convulsiva del traffico limitrofo, tra le due
grandi arterie tra cui si colloca, la JanPath e la Parliament Street, entrambe
indirizzate al cuore politico della Delhi e dell'India british ed indipendente,
sceglieremo la prima, sperando che non sia dispersivo e non induca a smarrire
le mete ulteriori, il seguito di negozi di artigianato costoso che vi si
succede, duplicato da chi accampato per strada vende manufatti similari in tutta povertà di materiali.
Ci attende l’edificio
gigantesco che si profila alla vista,
sulla sinistra, oltre l ‘incrocio con la
Tolstoj Marg,
lo State Trading Corporation Building ( 1976-1989) del capomastro generale della
Delhi odierna, Rajj Reval
Una torre vi
campeggia su di un’altra ugualmente parallela alla Jan Path, e su due
traversali,- una delle quali è solo di supporto mediano, e scarsamente visibile,
- che formando due bracci, ad essa sono
connesse da possenti travi Vierenendeel, a piani alterni, la cui sporgenza
enfatizza come la modernità tecnologica vi abbia esaltato la derivazione dell'architettura in pietra indiana da quella
lignea, mediante la tecnica dell
incastro di elementi che vi è ciclopicamente macroscopizzata.
La bicromia della
pietra impiegata, rende
stupefacentemente a distanza, per contrasto,
lo stesso cemento un costituente di
intensa vaghezza atmosferica,
prima che una vista ravvicinata tolga un certo incanto alla suggestione dell
edificio, per gli aggiustaggi architettonici,-
ad esempio le travi- inserto, senza
seguito strutturale, tra la torre principale e quella adiacente-, che ha
richiesto il ritorno del computo ingegneristico, ed una certa mancanza greve di
rifinitura di ciò che a distanza incantava, come la sagomazione delle aperture
ottagonali, nell'impianto orizzontale delle torri trabeate.
Sostarvi nei pressi,
può essere un perdersi, o un
ritrovarsi, tra chi vi si reca o ne esce dall’emporio basamentale artigianale,
e i questuanti che resi senza scrupoli umani dalla miseria, tentano di rivalersene per lucrare
un’elemosina o l'acquisto della loro bigiotteria, o chincaglieria.
Sta di fronte un Mc Donald, cui Siddharta
Debb, in Belli e dannati, addebita un effetto di controglobalizzazione
delusoria / delusiva dell’intero quartiere, in cui gli era toccato di lavorare
ad una rivista alla fine degli anni novanta.
“ Il Mac dove Esther aveva proposto di incontrarci si
trovava allangolo tra Tolstoi marg e Janpath ( la via del Popolo) proprio di
fronte a file di negozietti di artigianato che vendevano foulard multicolore e
articoli di bigiotteria a turisti dall'aria scontenta con zaino e sacco a pelo:
Eravamo a pochi passi da Connaught Place, dove si trovavano gli uffici della
rivista in cui avevo lavorato alla fine degli anni Novanta quando vivevo a
Munirka, e a quei tempi mi ero spesso ritrovato a passeggiare per Janpath,
osservando i negozietti e gli alti palazzi degli uffici. Il quartiere mi era sembrato allora la massima
espressione della civiltà urbana, il centro di una grande città al tempo stesso
meravigliosamente alienante e affascinante, quando vidi che Mc Donalds si era
introdotto nella zona mi sentii stranamente deluso. L'intenzione era
sottolineare quanto fosse diventata globale Delhi, ma il risultato era opposto
a quello voluto. Il Mc Donalds serviva a ricordare che Janpath non era Times
square: Ma non era neanche più Janpath”.”),
Immaginando che sia già aperto al traffico il
tratto della Tolstoi Marg, sulla destra, che conduce a Parliament Street, oggi
occluso per i lavori di costruzione di una nuova stazione nel decorso di una
nuova linea metropolitana, ne ripercorriamo il lato che fiancheggia
sulla destra i giardini cui accederemo
dell’osservatorio astronomico del Jantar
Mantar, edificato dal grande Jai singh II,
rajput di Amber e poi della città di Jaipur, tentando un colpo d’occhio che ci permetta di
intravedere le forme curvilinee di alcuni degli strumenti che vi sono stati giganteschizzati, a
raffronto con gli edifici moderni ugualmente arcuati , che ad esse si ispirano ,che si prospettano sul versante opposto di Parliament Street, ossia la
torre del Civic Centre di Delhi , di Kuldiph Singh ( 1965-183) e l’ edificio
ministeriale ad essa adiacente.
L’edificio esprime falcata potenza e grazia,
nello scarto ascensionale tra i 64 metri
alla base ed i 28 alla sommità, racchiudendo
il proprio nucleo funzionale entro le pareti lisce laterali e nei recessi frangisole di quelle
frontali,
L’inarcarsi
per l’altezza di tre piani del portale d'ingresso, sembra conferire
spinta all'intero slancio curvilineo,
mentre 4 campane della torre dell'orologio della vecchia città fanno bella
mostra di sé nella sala dentrata.
“ A lawns sets the
building back from the street so the structure is seen, in true Modernist style
, as an object in space –rimarca Jon Lang in A concise History of
modern architecture in India, 2002, 2010, - ( although the cars, bicycles and
people crowding the area Indianise the scene on weekdays) .
E che altro sono, se non oggetti spaziali
ingigantiti, gli stessi strumenti astronomici in muratura del
Jantar Mantar cui il centro civico si rifà, con l’ingresso nel quale, poco
oltre, di fronte, abbiamo raggiunto il
clou finale del nostro itinerario.
Costruendo in Delhi nel 1724 2 per lo Shah
Moghul Muhammad, sui terreni di sua proprietà,
il primo dei suoi 5 osservatori
astronomici,- gli altri vennero costruiti in Jaipur,Varanasi, matura e Ujjain, non
dobbiamo se non illuderci, presumere che Jai Singh II vi coltivasse la
contemplazione disinteressata degli astri, a discapito dell’arte della
conquista e del godimento delle sue fortune terrene, in regale splendore, e che accedendo alla scienza
occidentale vi trovasse un emancipazione
scientifica e secolare dal pregiudizio
superstizioso di astrologi e uomini tantrici.
E’
esplicita ed inequivocabile, in tal senso, la offerta allo Shah, insieme con
l’osservatorio, del testo dello Zii Muhammad
Shah, scritto in collaborazione con il brahmino Jagannath, dell'India
meridionale, in cui correggendo le tavole delle predizioni
astronomiche presenti in antecedenti
opere islamiche quali quelle di Ulugh Begh, il re astronomo timuride di
Samarcanda, lo stesso Jai Singh, nella
prefazione, auspica che l’imperatore possa rivedere le proprie
calendarizzazoni, “ visto che importanti affari di stato, concernenti sia la
religione che l’amministrazione dell’Impero, ne dipendono”.
Astronomia e astrologia costituivano infatti
per Saway Jai Singh un unico ambito di
pensiero, lo Jyotish vidya, volto a studiare i moti dei corpi celesti per desumerne
le influenze sulla vita umana e gli affari terreni, nè c'è da meravigliarsene,
se nemmeno in Newton astrologia e astronomia erano scindibili nettamente, la
teoria della gravitazione universale stessa supponendo l’attrazione occulta dei
corpi a distanza, ed essendone una matematizzazione. Né erano separabili, entro una stessa tradizione
di pensiero, lo Jyotish Vydya in ragione del quale Jai Singh costruì i propri
osservatori, e il Vastu vidya in ragione del quale Jaipur fu edificata secondo
i canoni paradigmatici di un mandala di
nove riquadri, con aggiustamenti dovuti alla natura del sito.
Egli rimase ancorato al geocentrismo del
sistema tolemaico recepito per il tramite dei testi della tradizione araba, e a
nulla valse, a indurlo all'eliocentrismo, l'acquisizione
delle opere dell'astronomo francese Philippe La Hire ( 1640-1718) o dell inglese
John Flamsteed ( 1646-1720). Né potevano convertirlo alla rivoluzione
astronomica della nuova fisica occidentale i gesuiti portoghesi, di stanza a
Goa, con cui più tardivamente venne in contatto, a iniziare da Pedro da Silva
Leitao, per la cui fede cattolica tali cosmovisioni ripugnavano.
Ma nel Jantar Mantar a iniziare dallo strumento
supremo, il Samrat Yantra, troveremo
anticipate, per ingrandimento colossale
degli strumenti metallici, al fine di una precisione superiore, in triangoli gnomici, concavi emisferi,
edifici circolari, con un pilastro al centro, al contempo su scala ridotta rispetto alla loro ripresa architettonica, le forme solide del moderno costruire indiano, cosi come si
faranno metaforiche della cosmologia
vedica del Vastu purusha mandala e e della moderna concezione di un
Universo in espansione, a iniziare dal bing bang, entrambe con un vuoto generativo
al centro, nel Jawahar Kala kendra di
jaipur e nello IUCAA di di Pune, opere entrambe di Charles Correa. Con il che si chiude il cerchio del nostro itinerario breve.
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