venerdì 24 gennaio 2014

Dal Jeevan Bharati di Charles Correa al jantar Mantar ( secondo itinerario in Delhi)

La vista del Jeevan Bharati ( 1975-1986) di Charles Correa,  da cui ha inizio il nostro itinerario, s’accampa nella vista di chiunque alzi lo sguardo all’orizzonte verso le rotatorie meridionali di Connaught Place,  la concentrica piazza commerciale dell impero britannico in cui ancora trova una suo centro la megacity di Delhi.
Le sagome rosa dei suoi corpi di fabbrica intelaiati da una pergola metallica e complementari alle sue masse vetrate, si sopraelevano sul candore palladiano delle volte colonnate e dei prospetti di Connaught Place,   per porsi quale medio proporzionale tra tali vestigia anglo-imperiali /British e gli edifici a torre ancora più alti, retrostanti,  quanto il retaggio indiano che nel Jeewan Bharati si fa modernità contemporanea, vi  è teso a sopravanzare  l’eredità coloniale in cui si inserisce, e si fa una quinta prospettica volta al futuro.
E’infatti ugualmente rosata la pietra arenaria intarsiata dal  biancore dei marmi,- un candore qui ripreso nella tornitura della colonna di supporto centrale dei tralicci metallici della pergola, -  in cui sin dalla edificazione della magnifica tomba di Humayun si è materializzata l indianizzazione dellarte  islamica dei sovrani moghul, che in tale contrappunto cromatico si rifecero ad un connotato dellarte dei sultani di Delhi che ne furono i predecessori. Esso risale alla stessa Alai Darwaza di Alauddin Kaljii, addizionata alla moschea Quwwat –ul- Islam nel 1311, entro il complesso del Qutub Minar.  L’incastonamento del marmo bianco nell’arenaria rossa sarebbe rimasto preminente nell’architettura indoislamica sino alla tomba del nuovo signore tugluquide Ghyassuddin costruita intorno al 1325, nei paraggi della terza Delhi, Tuglaqabad, ma se ne perderà il ricorso per buona parte del xv secolo, sino alla sua ricomparsa durante il sultanato dei Lodi nella Mothi ka e nella Bara- Gumbad Masjd.  Sotto  i Moghul e nel corso dell interregno afgano di Sher Shah Sur,  le   Jamali Kamali e Qala-i-Kuna masjid , l’una in Merhauli , l’altra nella Purana Qila, la tomba di Ataga khan nel complesso di Nizamuddin, saranno i primi monumenti in Delhi a sancirne una ripresa emblematica della loro stessa arte dinastica,  sotto l’impero di Akbar e quello di Jahangir, fino a che  Shah Jahan  non instaurerà la predominanza del puro marmo trascolorante,  nella sublimità del Taj Mahal  ed edificando o riedificando, in marmo bianco, interi palazzi e i diwan di udienza privata dei forti di Delhi e di Agra. Una scelta che nel secolo scorso  avrebbe conosciuto una sua transustanziazione occidentale   nel Victoria Memorial di Calcutta, ove il Taj Mahal  è il fantasma che aleggia nelle forme architettoniche, sotto mentite spoglie  lagunari veneziane.
Ma qui in Delhi, ci occorre svincolarci dalla morsa del traffico anulare intorno al circolo esterno e  a quello interiore di Connaught Place, e oltrepassare gli accessi alla metropolitana, i prati centrali e il mercato minuto e corrivo - od all'ingrosso e all'imbroglio- del Palika bazar,  per ritrovarci a distanza ravvicinata dal Jeevan Bharati, e indugiare in una vista d’insieme prima di accedervi,  sottoponendovi a rigoroso controllo ogni  borsa o tracolla o zainetto e borsetta. E’ sede infatti di istituti bancari oltre che  della Life Insurance Corporation che ne ha commissionato l’edificazione, ed essi richiedono la massima sorveglianza  critica.


La vetratura rispecchiante e le murature compatte , con aperture  solo d’accesso e in uscita e nei recessi frangisole  delle pareti  retrostanti, sembrano preservare da ogni intrusione invasiva della megacity il complesso degli uffici e delle attività lavorative che vi si  svolgono, per rinviare chi vi è di transito e vi sosta agli open- to-sky spaces che si aprono tra le grandi cortine delle due ali dell edificio e al di sotto della pergola, che è una delle tipologie di spazi  sotto”  the blessing of the sky “, cui Charles Correa si rifà nel suo saggio omonimo,  similare al cortile di preghiera della Jami masjid di Delhi, od ai giardini terrazze polifunzionali tra i padiglioni dei forti moghul, alla natura medianica celestiale dei chattri allineati in batterie in tali edifici o nei palazzi del Rajasthan,  oppure alle case composte di capanne con funzioni specifiche intorno a un cortile dei villaggio esemplare  di Banni nel  Kuch,  per offrirvi  in “open areas “connesse con quelle coperte” to te users areas of visual quiet where the eyes can rest and the mind meditate”, in sintonia profonda con lo stesso simbolo dell'educazione in India e in Asia, che non  è “ the little Red Schholhouse of North America, “ ma un guru che siede sotto l’albero. “True Enlightenment  cannot be achieved within the closed box of a room, - one needs must be outdoors, under the open sky”.
Addentrandosi nel cortile del Jeevan Bharati possiamo osservare meglio come I due immensi edifici di vetro e giunture metalliche dei due corpi di fabbrica si profilino asimmetricamente, l’uno in rettifili ortagonali, l’altro con un maggiore sviluppo in lunghezza e obliquamente di lato, quasi per rendere ancor più una strettoia il varco verso la città retrostante che si apre tra le due ali come una grande porta o "darwaza",  ribadita dalle due torri retrostanti,  isomorfa, nella sua altezza, più alle porte ricavate nella natura dei rilievi, come quella che in Chanderi è di transito dal Malwa, che a quelle degli edifici anche più monumentali.
Segnala tale apertura, cui recano percorsi scalari intorno a cortili a vari livelli, la colonna che regge la pergola immensa di 98 metri di lunghezza , insieme ad un pilastro cuspidale a tre facce e alle masse murarie aggettanti, secondo un’ invenzione che si ripeterà  nella sede ulteriore della LIC di Mauritius progettata da Charles Correa negli anni 1988-1992.
Ciò che invece non vi si ripete, e che è quanto di più affascinante riserva il Jeevan Bharati, è la proiezione liquida  del pergolato nelle vetrature , in cui si liquefa distorcendosi visivamente come, nella sua solidità volumetrica,  ogni altro elemento architettonico che ne sia riflesso,  in una dissolvenza liquida e un defluire anamorfici delle ali dell’edificio nella loro rispecchiatura reciproca,  che mutano i graticci della pergola in viluppi ritorti, li mischiano in serpentine fluttuanti,  frangono e e ondulano i profili rettilinei  della colonna e delle massa vetrate.
Non solo, quanto l’edificio così liquidamente dissolto nella sua compattezza solidale /strutturale, invece è di fatto  inaccessibile ad ogni ingerenza  perturbante della megacity circostante,  altrettanto nella sue masse vetrarie si fa uno specchio costante del trascorrere della  vita urbana e del tempo, nel loro continuo trasmutarsi, riflettendo gli uccelli in volo quanto le cangescenze di nubi e della luce dei cieli di  Delhi.
Cessato lo starvi contemplativo nella congestione convulsiva del traffico limitrofo, tra le due grandi arterie tra cui si colloca, la JanPath e la Parliament Street, entrambe indirizzate al cuore politico della Delhi e dell'India british ed indipendente, sceglieremo la prima, sperando che non sia dispersivo e non induca a smarrire le mete ulteriori, il seguito di negozi di artigianato costoso che vi si succede, duplicato da chi accampato per strada vende manufatti similari  in tutta povertà di materiali.
Ci attende l’edificio gigantesco che si profila alla vista,  sulla sinistra, oltre l ‘incrocio con la  Tolstoj Marg,
lo State Trading Corporation  Building  ( 1976-1989) del capomastro generale della Delhi odierna,  Rajj Reval
Una torre vi campeggia su di un’altra ugualmente parallela alla Jan Path, e su due traversali,- una delle quali è solo di supporto mediano, e scarsamente visibile, - che formando due bracci,  ad essa sono connesse da possenti travi Vierenendeel, a piani alterni, la cui sporgenza enfatizza come la modernità tecnologica vi abbia esaltato la derivazione dell'architettura in pietra indiana  da quella lignea,  mediante la tecnica dell incastro di elementi che vi è ciclopicamente macroscopizzata.
La bicromia della pietra impiegata,  rende stupefacentemente a distanza, per contrasto,  lo stesso cemento un costituente di  intensa  vaghezza atmosferica, prima che una vista ravvicinata tolga un certo incanto alla suggestione dell edificio, per  gli aggiustaggi architettonici,- ad esempio  le travi- inserto, senza seguito strutturale, tra la torre principale e quella adiacente-, che ha richiesto il ritorno del computo ingegneristico, ed una certa mancanza greve di rifinitura di ciò che a distanza incantava, come la sagomazione delle aperture ottagonali, nell'impianto orizzontale delle torri trabeate.
Sostarvi  nei pressi,  può essere  un perdersi, o un ritrovarsi, tra chi vi si reca o ne esce dall’emporio basamentale artigianale, e i questuanti che resi senza scrupoli umani dalla miseria,  tentano di rivalersene per  lucrare  un’elemosina o l'acquisto della loro bigiotteria, o chincaglieria.
 Sta di fronte un Mc Donald, cui Siddharta Debb, in Belli e dannati, addebita un effetto di controglobalizzazione delusoria / delusiva dell’intero quartiere, in cui gli era toccato di lavorare ad una rivista alla fine degli anni novanta.
“ Il Mac  dove Esther aveva proposto di incontrarci si trovava allangolo tra Tolstoi marg e Janpath ( la via del Popolo) proprio di fronte a file di negozietti di artigianato che vendevano foulard multicolore e articoli di bigiotteria a turisti dall'aria scontenta con zaino e sacco a pelo: Eravamo a pochi passi da Connaught Place, dove si trovavano gli uffici della rivista in cui avevo lavorato alla fine degli anni Novanta quando vivevo a Munirka, e a quei tempi mi ero spesso ritrovato a passeggiare per Janpath, osservando i negozietti e gli alti palazzi degli uffici.  Il quartiere mi era sembrato allora la massima espressione della civiltà urbana, il centro di una grande città al tempo stesso meravigliosamente alienante e affascinante, quando vidi che Mc Donalds si era introdotto nella zona mi sentii stranamente deluso. L'intenzione era sottolineare quanto fosse diventata globale Delhi, ma il risultato era opposto a quello voluto. Il Mc Donalds serviva a ricordare che Janpath non era Times square: Ma non era neanche più Janpath”.”),

Immaginando che sia già aperto al traffico il tratto della Tolstoi Marg, sulla destra, che conduce a Parliament Street, oggi occluso per i lavori di costruzione di una nuova stazione nel decorso di una nuova  linea metropolitana,  ne ripercorriamo il lato che fiancheggia sulla destra i giardini  cui accederemo dell’osservatorio astronomico del  Jantar Mantar, edificato dal grande Jai singh II,  rajput di Amber e poi della città di Jaipur,  tentando un colpo d’occhio che ci permetta di intravedere le forme curvilinee di alcuni degli strumenti  che vi sono stati giganteschizzati, a raffronto con gli edifici moderni ugualmente arcuati , che  ad esse si ispirano  ,che si prospettano sul  versante opposto di Parliament Street, ossia la torre del Civic Centre di Delhi , di Kuldiph Singh ( 1965-183)  e  l’ edificio ministeriale ad essa adiacente.
L’edificio esprime falcata potenza e grazia, nello scarto ascensionale tra i  64 metri alla base ed i 28 alla sommità,  racchiudendo il proprio nucleo funzionale entro le pareti lisce  laterali e nei recessi frangisole di quelle frontali,
L’inarcarsi  per l’altezza di tre piani del portale d'ingresso, sembra conferire spinta all'intero slancio curvilineo,  mentre 4 campane della torre dell'orologio della vecchia città fanno bella mostra di sé nella sala dentrata.
A lawns sets the building back from the street so the structure is seen, in true Modernist style , as an  object in space  –rimarca Jon Lang in A concise History of modern architecture in India, 2002, 2010, - ( although the cars, bicycles and people crowding the area Indianise the scene on weekdays) .
E che altro sono, se non oggetti spaziali ingigantiti,  gli  stessi strumenti astronomici in muratura del Jantar Mantar cui il centro civico si rifà, con l’ingresso nel quale, poco oltre, di fronte,  abbiamo raggiunto il clou finale del nostro itinerario.

Costruendo in Delhi nel 1724 2 per lo Shah Moghul Muhammad, sui terreni di sua proprietà,  il primo dei  suoi 5 osservatori astronomici,- gli altri vennero costruiti in Jaipur,Varanasi, matura e Ujjain, non dobbiamo se non illuderci, presumere che Jai Singh II vi coltivasse la contemplazione disinteressata degli astri, a discapito dell’arte della conquista e del godimento delle sue fortune terrene,  in regale splendore, e che accedendo alla scienza occidentale vi  trovasse un emancipazione scientifica  e secolare dal pregiudizio superstizioso di astrologi e uomini tantrici.
 E’ esplicita ed inequivocabile, in tal senso, la offerta allo Shah, insieme con l’osservatorio,  del testo dello Zii Muhammad Shah, scritto in collaborazione con il brahmino Jagannath, dell'India meridionale,  in cui  correggendo le tavole delle predizioni astronomiche  presenti in antecedenti opere islamiche quali quelle di Ulugh Begh, il re astronomo timuride di Samarcanda,  lo stesso Jai Singh, nella prefazione, auspica che l’imperatore possa rivedere le proprie calendarizzazoni, “ visto che importanti affari di stato, concernenti sia la religione che l’amministrazione dell’Impero, ne dipendono”.
Astronomia e astrologia costituivano infatti per  Saway Jai Singh un unico ambito di pensiero, lo Jyotish vidya, volto a studiare i moti dei corpi celesti per desumerne le influenze sulla vita umana e gli affari terreni, nè c'è da meravigliarsene, se nemmeno in Newton astrologia e astronomia erano scindibili nettamente, la teoria della gravitazione universale stessa supponendo l’attrazione occulta dei corpi a distanza, ed essendone una matematizzazione. Né  erano separabili, entro una stessa tradizione di pensiero, lo Jyotish Vydya in ragione del quale Jai Singh costruì i propri osservatori, e il Vastu vidya in ragione del quale Jaipur fu edificata secondo i canoni paradigmatici di un mandala  di nove riquadri, con aggiustamenti dovuti alla natura del sito.
Egli rimase ancorato al geocentrismo del sistema tolemaico recepito per il tramite dei testi della tradizione araba, e a nulla valse, a  indurlo all'eliocentrismo,  l'acquisizione  delle opere dell'astronomo francese  Philippe La Hire ( 1640-1718) o dell inglese John Flamsteed ( 1646-1720).  Né potevano  convertirlo alla rivoluzione astronomica della nuova fisica occidentale i gesuiti portoghesi, di stanza a Goa, con cui più tardivamente venne in contatto, a iniziare da Pedro da Silva Leitao,  per la cui fede cattolica  tali cosmovisioni ripugnavano.
Ma nel Jantar Mantar a iniziare dallo strumento supremo,  il Samrat Yantra, troveremo anticipate,  per ingrandimento colossale degli strumenti metallici, al fine di una precisione superiore,  in triangoli gnomici, concavi emisferi, edifici circolari, con un pilastro al centro, al contempo  su scala ridotta rispetto alla loro  ripresa architettonica, le forme solide  del moderno costruire indiano, cosi come si faranno metaforiche della cosmologia  vedica del Vastu purusha mandala e e della moderna concezione di un Universo in espansione, a iniziare dal bing bang, entrambe con un vuoto generativo al centro,  nel Jawahar Kala kendra di jaipur e nello IUCAA di  di Pune,  opere entrambe di  Charles Correa. Con il che si  chiude il cerchio del nostro itinerario breve.


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