martedì 8 aprile 2014

Templi sud di Khajuraho

Templi Sud di Khajuraho
 
Templi Sud di Khajuraho



Il  seguente itinerario è la continuazione di quello che illustra i templi Hindu orientali di Khajuraho, in un precedente report, a cui si fa riferimento, e che rappresenta un'introduzione più circostanziata alla realtà religiosa della bellezza spirituale dei templi di Khajuraho.
Alla fuoriuscita da Beni Ganj, svoltando a destra, ci si ritrova ad inoltrarsi per un ampia viottola sterrata,  che ci porta a costeggiare le alture dei rilievi Lavania. E' un autentico percorso di frontiera, tra le piante che s’infittiscono in brughiera e boscaglia rupestre lungo nel risalire i declivi, fin sotto gli scaglioni rocciosi delle scabre cime, ed il digradare agreste delle distese dei campi di grano, solo che si volga a valle lo sguardo.
Nelle radure armenti al pascolo, pastori e boscaioli
Ma con l’ultimo crinale trova  il suo termine in capo a pochi chilometri anche questo cammino, che incrocia la via più impervia, per il suo acciottolato pietroso, che da Khajuraho reca al villaggio adivasi di Khundarpurah. Occorre risalirla volgendoci a destra,  tra i campi in cui s’infoltano magnifici gli alti fusti frondosi degli alberi di himli e mahua, e le siepi che alte ci affiancano, finché non ci appaia il profilarsi solitario del tempio Chattarbuia, nel suo sikkara tra le piante svettante, di epoca solo meno tarda di quella dell'altro tempio sud, cronologizzato, il  Duladeo, in quanto lo si fa risalire al 1100 d.C., ai templi di re Jayavarman.
Retrostanti,  stanno i casolari di un villaggio di malta, dalle pareti bianche e rossastre, la scuola del piccolo villaggio affianca il tempio  più a  nord , slargandosi in un cortile chiassoso di giochi.
Al fronteggiarlo, o al fiancheggiarlo, il tempio s’impone alla vista per quanto è rabbreviato e raccolto, nella tensione delle sue forme ascendenti enfatizzata dai pilastri del portichetto raccorciato,  in una contiguità stretta con la sala del mandapa rimarcata dalla continuità della gronda e delle spigolosità angolari dei  balconcini.
Le statue templari esterne sono per lo più dilapidate, ma  sotto un sikkara in larga parte restaurato, e rifatto, lasciano intendere come il tempio volga ad occidente, anziché ad oriente, giacchè  sul fianco volto ai monti da cui si proviene, ossia a mezzogiorno, che tra i dikpalas guardiani ritroviamo Yama, il dio della morte.
Una circumambulazione del tempio in senso orario ci porta a rinvenire nelle proiezioni centrali Vishnu, e sovrastante una Narashimi meravigliosa, per naturalezza ferina, controparte femminile dell’uomo-leone in cui s’incarnò Vishnu. Sulla parete orientale, come su quelle retrostanti , ma volte ad occidente, dei templi Chitragupta e Vishvanatha, Javari e Duladeo, quest’ultimo che ancora ci attende,  capeggia invece Hara Hira Surya Hiranyagharba, il dio solare che in sè ha i poteri di Brahma, Vishnu e Shiva, con i relativi attributi, sinteticamente integrati, soggiacente a Shiva nella nicchia superiore.
Volgendoci a Sud,  delle divinità delle nicchie centrali è riconoscibile solo quella superiore, che già  per il seno maschile che si fa mammella femminile è facilmente identificabile nel dio Ardanarishvara, metà Shiva e metà  Parvati, a simboleggiare nella sua androgenia l imprescindibilità e l’inscindibilità dei complentari in ogni realtà affermativa e creatrice.
Vuole il mito che in tale forma Shiva sia comparso a Brahma quando questi gli chiese la ragione del perchè i Prajapati maschili che aveva creato, nella loro esclusiva natura fossero incapaci di procreare altri esseri. Al che Brahma intese e richiese alla parte femminile di Maheswara di dargli un proprio risvolto femminile, per potere procedere oltre nella creazione. Shiva Ardhanarishwara vi è nella stessa direzione conferita alla sua immagine sulla parete corrispettiva del sanctum del tempio Vishvanata , mentre vi figura come Shiva Tripurantaka, distruttore dei demoni di tre città, nella nicchia corrispettiva del sanctum del Kandarya Mahadeva e della  proiezione esterna   della parete nord del tempio Duladeo in cui lo ritrovemo.
Ma a noi ora basta farci  sulla soglia del tempio Chaturbuja, che vediamo comparirvi all’interno  la sua ragione primaria di splendore, la statua incantevole  di un dio sovranamente assorto nella sua quiete meditativa, di cui ci infonde la sua stessa pace, invitandoci a deporre ogni paura con la mano volta nel gesto dell’abayamudra.
Risale al dio, ai suoi quattro arti,( “Chatur-buja”) il nome del tempio.


La divinità al centro della trabeazione del portale d’accesso al garbagriha  ci induce a identificarlo  in una manifestazione di Vishnu-Narayana, nella  posa della sua incarnazione krishnaita che ha assunto negli arti inferiori.
Ma ne corona il capo la crocchia di capelli raccolta nella tiara della jata-mukuta , come è per Shiva, il che, però,  non può indurre che a considerare il dio  il pendant vishnuita di Hari Hara, il dio per metà Shiva, per metà Vishnu.
Che ai piedi rechi alle caviglie le padangada, che ritroveremo al collo del piede anche delle statue del tempio Duladeo, è per gli storici dell'arte un indizio certo della epoca tarda di entrambi i templi e delle loro opere scultoree, non bastassero gli altri indizi divenuti irrefutabili.
In alto, dove la sala del  mandapa immette nel vestibolo dell’antarala,  Saraswati e Laxmi, la dea della sapienza e la dea della prospera fortuna,  sovrastano il fedele ai lati, a conciliargli la sorte.


Lasciato il tempio Chatarbuja, una deviazione sulla destra,  dopo un breve inflettersi tra i campi, ci recherà a quel che resta del tempio più grande che sia stato ritrovato in Khajuraho, il Bajamandal.
Il suo plinto misura 34 m di lunghezza, più dei 30 delllo stesso  Kandariya Mahadeva. E' forse il tempio Vaidyanatha Shiva, fatto erigere da Gahapati Kokkala, menzionato in un'iscrizone del 1001 dopo Cristo.
Lo sovrasta il linga che vi appose un maharaja di Chattarpur nel XIX secolo,  restano le fondamenta e  il basamento sino al podio,  in cui tra i fregi delle modanature- a foglie di loto, o cuoriformi, rosette e kirttimukka, primeggiano i brani frammentari  dell’antarapatra , il fregio scultoreo istoriato di scene di vita.
Vi campegggiano  cortei di elefanti,  spesso impennati, più, si direbbe,  per una tenzone dai loro conducenti tesi a raffrenarli, che perché imbizzariti da qualche paura,  gruppi di danzatori e musici, insegnanti e i loro seguiti,  compreso uno jain, uomini in lotta e cacciatori, nel gruppo più singolare colti al ritorno con le loro predehe pencolanti da pertiche.
Intrigante , nel farla da padroni degli elefanti,  il ripetersi di scene in cui irrorano delle ladies con la loro proboscide,  simbolo non cripticamente esotetrico del membro maschile inseminante.
Si ritorni sulla via maestra per seguitarla ancora per un tratto, fino alla svolta sempre sulla destra , che ci immetterà nelle case del borgo di Jatkara, l'insediamento a cui Alexander Cunnigham riconduceva nella loro localizzazione i templi sud di Khajuraho. Esso ci offrirà i muri d’angolo e gli sporti dei balconi delle tinteggiate sue case silenti, non fosse per i bambini per strada e per il clangore del mulino in un interno,  fin che dopo l’ultimo slargo in una piazzetta ombreggiata da un nim,  si esaurisce nella sua fuoriuscita, oltre la quale ci si ritrova tra alte mahua sotto l intrico ritorto dei  loro rami, quindi tra i campi lentamente digradanti verso il letto del kudhar, nelle cui distese si affusolano casolari e filari di piante a perdita d’occhio.
Trail tripudio vegetale una strada ci schiude il suo varco sulla destra.: è loccasione, prima di raggiungere il tempio Duladeo che già ha fatto la sua comparsa tra lo sfondo degli alberi,  per  assecondarne il richiamo fino a che un grande albero ci si pianta in mezzo  al fondo stradale, prima di una curva ove compare una bandiera gialla. Si svolti per la sua viottola sinuosa tra i campi, fino a che sbocca nell’argine di un talab: lungo il suo percorso ci avranno già raggiunto le note dei canti o le predicazioni amplificate da un altoparlante, che provengono dal complesso di tempietti poco oltre, sulla sinistra,  racchiusi nel folto di alti pipal che li adombrano tra le loro altississime fronde. Vi sonon stati eretti  nella radura che traluce entro un boschetto in riva al bacino lacustre, cui discende un minuscolo  gath.
E’  un gruppuscolo di templi , altamente venerati, che fa capo a quello principale di Hanuman, preceduto da cinque altari di  mattoni impilati:  i due tempietti  all’ingresso sono dedicati alla dea Durga,  cui fa seguito , al centro, un  altro dedicato a Shiva, dietro il quale una piattaforma reca due yoni e una pluralità di linga, cinque, non che una  statuetta di Nandi ch’è stata asportata da un antico tempio di Khajuraho, così come i frammenti scultorei all’interno delle celle di  Durga.
Ritornati sulla strada da cui avevamo deviato, non ci resta che discendere al fiume Khudhar, al ponte- chiusa che ne regola il  flusso, ampio e colmo e tralucente, a monte, quanto si fa magro d’acque a valle , nel procedere insinuantesi tra un greto roccioso, per risalirne la ripida china oltre la quale ha fatto la sua comparsa in tutti suoi resti il tempio Duladeo, o Kunwar Matha
Per quanto della sua architettura sopravviva più che altro il fantasma, ne aleggia quanto il sikkara, nelle sue sacre alture montane, si sovrimponesse alla sala del mandapa ed al portico
Ultimo dei templi di Khajuraho, e shivaita,  voluto da re Madanavarnam che di Shiva era un adoratore, e costruito intorno al 1130 d. C., forse insieme ad un altro tempio shivaita, il Nilakanthesvara, di cui Cunningham rilevò i resti, la stessa critica che l’ha postdatato l’ha anche retrocesso a minore di tutti,  per la stereotipia tediosa del suo corredo statuario. pur tenendo conto dei guizzi di vita di cui sono saettanti i vyadarahs e i gandarvas stilizzati dell' ultima banda di statue esterne, o le apsaras danzanti degli interni ,  la bellezza dei cui ritmi e fremiti ansanti, , che è tutt’uno con quella delle loro sciarpe e delle volute ondeggianti, -la cui curvilinearità ricorrente, nelle bande laterali della cella del tempio,  si richiama a sua volta a quella di leogrifi e guerrieri sinuosi-,   fu colta splendidamente da Stella Kramrisch, nella schedatura che ne fece in Hindu Temple.
Soprattutto magnificò il fulgore del Surya Hari-Hara Hiranyagarbha che è   insediato nella nicchia principale della proiezione retrostante, il potere dei cui splendore, instostenibile per gli stessi dei della trimurti di cui il loro artefice,Visvakarman, li rese partecipi, “ si trova raggiante nel volto calmo e fiero; dà la curvatura esterna al petto e allo stelo del loto le cui corolle rotonde sono disposte ai lati del volto” ( Stella Kramrisch, il tempio Hindu, pg 440 dell’edizione italiana).
All’esterno, che presenta un portico a due vani e un mandapa dalle balaustre sopraelevate,  le manifestazioni di Shiva nelle nicchie delle proiezioni principali sono a sud Shiva Andarantaka, a Est, Shiva Nataraja, a nord  Shiva Tripurantaka, come si è anticipato.
Gli astavasus sopra i dikpalas hanno la  testa di un coccodrillo anzichè bovina, e  a Sud, e Sud Ovest Yama e Nirriti  presentano  una singolare arricciatura di capelli a ventaglio.
Restano da rilevare i gruppi erotici di cui  è celeberrimo quello intento ad un acrobatico rapporto orale, a sottentrione, nel recesso successivo ai dikpalas Varuna e Vayus .
Un'emunta Chamunda, è posta a conclusione dei cicli scultorei della parete nord, forma terrorifica quant'altre mai della dea Durga, di cui è l'incarnazione che trae il nome dai servi Chanda e Munda dei demoni Sumbha e Nishumba che sterminò con i loro signori e aiutanti, in soccorso agli dei che osteggiavano. La si vede, scheletrica,  atteggiata in una danza di morte sui nemici vinti, uno scorpione nel ventre incavato, ne simboleggia tutta la energia distruttiva.
Chamunda rinvia alle due immagini di Shiva Virabadra e di Ganesha che si affrontano all'ingresso del portico, in quanto sono le due divinità che già nei templi  Kandariya Mahadeva e  Visvanatha, aprivano e chiudevano la danza cosmica intorno all'asse del mondo simboleggiato dal tempio, che vi è condotta  dalle sette madri , le saptamatrika di cui Chamunda è la componente ultima.
Le sette madri, eredi dei culti della fertilità primari, sono le sakti, o energie divine, create dagli dei più importanti del pantheon vedico- Brahma, Vishnu, Kumara( skanda), Varaha, Indra, Yama-  sullesempio di Shiva Maheswara, per soccorrerlo in una lotta altrimenti impari con il demone cieco Andhakasura che gli aveva rapito la moglie Parvati, giacch non c'era colpo cruento che Shiva gli infliggesse, dalle cui gocce di sangue , come cadevano al suolo, non scaturisse un altro Andakasura ancora più bellicoso.
Le sette sakti divine così create, sorbendo ogni goccia di sangue che scaturisse dalle ferite del demone Andaka, posero termine alla sua moltiplicazione e ne consentirono luccisione finale.
E' così del demone di ogni ignoranza, che se attaccato in prima istanza moltiplica le suye forze diffusive.
E' valso la pena così dilungarsi sulle saptamatrikas, - Brahmani tricefala, vaishnavi, Kumari, Varahi, Indrani, Maheswari e Chamunda-, anche i  quanto le ritroveremo nelle banda centrali del portale d'accesso al garbagriha, in luogo delle serie abituali di mithuna o coppie amorose.
L’interno si apre in una magnifica sala ottagonale con il soffitto che si volge in circolo, vi figurano agli angoli  leoni digrignanti, senza che più vi sottostiano le venti  ninfe celestiali, che vi erano installate su delle mensole .
Danzavano, coglievano frutti di mango, sotto i suoi chioschi di foglie, si infilavano cavigliere con campanelli.
Era la loro sovraornaomentazione, di corone trilobate, di fascie duplicemente trapunte/ traforate/, di padangana alle caviglie, a rievocarvi più che quella di ogni altra immagine femminile del tempio, il nuovo stile che invalse negli ultimi tempi dei Chandella in Khajuraho, di cui sono ora rimaste come campioni esemplari una Ganga e una Yamuna sovragghindate nel portale d'accesso
 In esso Shiva campeggia al centro della trabeazione su un atletico atlante, i nove pianeti si interpongono nelle fasce laterali, concluse come al solito dalle altre due divinità della Trimurti nei loro stalli.
Sottostanti agli stipiti laterali, alle estremità della soglia d’accesso al garbagriha in cui ci fronteggia il lingam del dio,  soggiaciono le immagini di Ganesha e Saraswati, in luogo della complementarità più frequente di Laxmi con Saraswati. Sono esse  individuabili anche per la  tinteggiatura di polveri  o per i lumi che vi accende di fronte la devozione locale, che  è precipuamente  femminile.
A riprova che il tempio Duladeo è ancora ben più vivo di quanto lo vorrebbe morto la critica degli storici d'arte.
All’uscita dal tempio ci si ritrova già nei sobborghi del vecchio villaggio: dove il nostro itinerario si conclude nella tristezza felice del tempo presente.


Appunti di stesura

Retrostanti,  stanno i casolari di un villaggio di malta, dalle pareti bianche e rossastre, la scuola del piccolo villaggio affianca il tempio  più a  nord , slargandosi in un cortile chiassoso di giochi.
.........Il bijamandal.
Lasciata la  deviazione verso il Bijamandal, si ritorna sulla strada asfaltata per seguitare, più a nord, fino alla deviazione sulla destra dellla stradicciola che di li a poco ci addentra nel villaggio di Jatkara, tra gi spigoli e i balconi  dei terrazzi delle sue case tinteggiate,  gli slarghi di giochi  di bimbi, gli unici a romperne il silenzio con il clangore di un mulino rinserrato in una casa.
Se ne fuoriesce per addentrarci tra i campi sotto intorti  rami di mahua sovrastanti,  mentre lentamente si
digrada  con i coltivi, ove in  lontananza già si intravede come una sommità   il sikkara del tempio Duladeo, fino a  discendere al ponte sul fiume Kudhar,  oltre la cui risalità il tempio Duladeo ci si  profila nelle sue vestigia superstiti.
Digressione sull’Hanuman temple.
Il ponte funge da chiusa, e tanto il corso del Kudhar dapprima  traluce pieno al colmo, tra la vegetazione delle sponde, quanto si fa magro d’acque che cercano varchi tra  un greto roccioso nel tratto seguente.

Architettonicamente il Duladeo non  più che un fantasma di se stesso,  eppure ne è memorabile la fisionomia superstite,  nel sopraelevarsi del sikkara quanto un’altura montuosa sulle sommità ribassate di mandapa e portico d’entrata.

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