Lo sconcerto mi riassale , come mi ripiego su me stesso, nel
sentirmi tanto giovane e vivo, un immortale, nello stesso mio corpo che sempre più è decrepito
e segnato dal tempo, quanto nei suoi
passaggi a vuoto dei suoi furori a delinquere, ed appigli a futilità, si sente eterna la mia mente infiammabile, che non vuole saperne di avere da morire, al
tempo stesso che sempre più la morte si iscrive nella sua carne e nei suoi
vaneggiamenti,.
E di tanti anni passati, più che il cumulo e il peso, avverto l’assenza o il vuoto della
dimenticanza, che preferisce l’ oblio della loro cancellazione, al palpito di affetti e visioni di care memorie o di emozionanti
esperienze, tale è il gravame di
vergogna e indecenza che si recano appresso,
il senso di un passato terribile, rovinato e fallito, ( Bonhoeffer, la fragilità del male, 85), per
bello che sia ciò che ho altrimenti vissuto
o prodotto di disconosciuto, il cui splendere è solo un barbaglio, nel gran niente alle spalle del rimosso di tutto il disonore e il ridicolo che mi è
costato vivere, per troppa delicatezza o fragilità o viltà debole che così sia stato.
Una disastro della sola sorte che mi è stata concessa, cui
la sola riparazione possibile è non venir meno al compito assuntomi ed a quanto
mi è dato di grande qui in India, facendo di Kailash e dei suoi figli i miei
cari, di Mohammad il mio devoto amato ragazzo, dei templi che riesumo la mia cura culturale
in cui ogni vincolo si annodi , ivi intessendo di fedeltà, nella accettazione delle limitazioni feconde
e della misura che è rinuncia ad ogni altra lusinga, o velleità del mondo, il futuro che mi resti da
vivere,
“ Poi resterà solo andare avanti/ e sarà questo il nostro
canto più alto” ( mia auto-citazione)
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