Ieri il ragazzo Mohammad
mi ha raggiunto al computer con una prima videochiamata. Più volte ho
ripreso i contatti che seguitavano ad interrompersi, ritrovandolo alienato nel
vocio e nel clamore del negozio dell’amico Abbas. Mi ha chiesto quando avrei fatto
ritorno in Khajuraho, quale fosse il mio
umore, se tendessi ancora a esagerare le cose, e se gli piacessero le sue foto
in facebook che aveva ricreato con Adobe Fotoshop, nell’assumere così
dicendo un tono scanzonato e irriverente
in cui si faceva succube dei coetanei che lo attorniavano. Ho atteso che tale sbornia di euforia scemasse, per ricordargli
quante volte avessi cercato invano di
ricontattarlo al telefono, e l ultimo messaggio che gli avevo inviato
chiedendogli di rispondermi seriamente alla sua domanda che si era posto
durante uno dei nostri incontri serali nell ufficio di Kailash, quando mi aveva detto che il suo massimo
interrogativo era il chiedersi “ Chi sono IO?”
Stupidamente io avevo
allora volto in celia la questione, con
la connivenza di Ajay, che è quasi suo
coetaneo, dicendo che entrambi non avevamo dubbi sulla risposta sul suo conto,
visto le sue attitudini ad assumere i modi di un “jokar”, detto altrimenti di un nostro caro, amato “pagliaccio”.
La mia stupidita mi eè
apparsa ancor più macroscopica , come di essa mi sono sovvenuto nella
lettura de La via del Sé di Heinrich Zimmer, in cui il quesito “ Chi sei” campeggia in tutto
l’ammaestramento del sublime maestro Shri Ramana Maharshi, onde risvegliare
l’allievo alla consapevolezza della sua identità con il Sé e del Sé con il
Divino..
Di li a qualche ora Mohammad mi avrebbe recapitato la
risposta, ma fraintendendo il mio interrogativo, come se io gli chiedessi “ Chi
io sia”, e così replicandomi “ You are
my backbone”
“ Sei la mia spina dorsale”
E questo quand’io vorrei disimpegnarmi dall incombenza
economica di sostenerne degli studi s che seguita a disertare non andando a scuola.
Come quando mi aveva detto di vedere in me un banyan che
pone al ricovero del suo fogliame chi ricorre alla sua protezione, Mohammad
seguita così a vedere in me un sostegno a suo conforto, proprio come Kailash,
quando la sua voce trova rifugio nella mia, e le sue aspettative nella mia
promessa di un ritorno, entrambi in me confidando benché sappiano quanto sia
fragile e vulnerabile la mia forza a cui
si attengono..
Uno degli psichiatri e l’amico con cui qui in Mantova ho parlato della mia situazione,
hanno singolarmente concordato nel sostenere che chi presta aiuto deve
misurare le sue forze nel recare soccorso, altrimenti rischia di essere
trascinato in fondo alle acque da chi sta annegando e lui si tuffa a salvare.
Ma che fare quando come nel nostro caso solo in chi è debole trova soccorso il
debole, chi è ancora più debole,
viene in soccorso al debole, per la sua
sensibilità che lo rende esposto a tutto,
si presta a venire in soccorso di chi avverte ancora più
debole di lui , nell’indigenza estrema
per cui si apre ad accoglierlo ed accettarlo e a credere in lui, in ciò
che in lui avverte resistere a tutto? Se non confidare nella verità , Paolo ,
Corinzi, I che nella resistenza a tutto di
tale debolezza, nel suo spirito di sopportazione trovi spazio la potenza di Dio, e nella loro
spregevolezza per il mondo rifulga il suo splendore?
Kailash
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