A cura di Giulio Girondi nella sala rossa del Museo
Diocesano è ora allestita una mostra “di
ricerca” di notevole interesse, su Architettura
e incisione negli anni di Giulio Romano,
che vi resterà esposta fino al 9 giugno. A coronamento di più di un
decennio di studi in argomento,
G. Girondi vi mette a frutto le
sue competenze di architetto per ricostruire come gli incisori in rame del Cinquecento, particolarmente quelli
operanti in Mantova, Giovan Battista Scultori, i figli Adamo e Diana, Giorgio Ghisi più grande di ogni altro,
avvalendosi soprattutto di disegni in cui G.Romano espresse il suo genio
architettonico, nel tradurre opere altrui divulgarono ciò che dell’arte antica
greco romana sussisteva in forme di rovine, o negli edifici o nei trattati
d’epoca veniva riproposto come nuova arte edificatoria. A inizio d’esposizione
Girondi riprende la sua indagine
antecedente, già consegnata a due suoi
libri editi dalla Sometti, ( L’ immaginario
architettonico nell’ incisione mantovana del ‘500, Architettura e incisione nel ‘500), su quanto tali incisori, tradendo o assecondando le quinte
architettoniche delle opere che traducevano nel loro immaginario
architettonico, mostrarono di intendere i problemi costruttivi e spaziali che vi
soggiacevano compiuti od irrisolti,
incentrando egli tale sua ricerca soprattutto su quanto siano essi riusciti a far tesoro delle eventuali
competenze dei disegnatori da cui
traevano le loro opere, in particolare quando costoro erano
altresì architetti come Raffaello o G. Romano o Giovan Battista Bertani
. Così verifichiamo la pedissequità con cui Diana Scultori preservò le incongruenze che già nel disegno
originario di Baccio Bandinelli rendevano assurdo l’ edificio da cui’
imperatore Decio assiste al martirio di San Lorenzo, o il rialzo prospettico apportato dal fratello
Adamo Scultori alle quinte del Cristo
alla colonna michelangiolesco di Sebastiano dal Piombo, che allargando
il quadrangolo sul sito della flagellazione comunque ne conserva la verosimiglianza architettonica. Quindi, procedendo oltre gli
esiti dei suoi studi antecedenti,
Girondi evidenzia come l’opera
degli incisori abbia divulgato la ripresa nei trattati e
negli scritti d’arte dell’epoca, fossero quelli del Serlio o di Giorgio
Vasari, dei discorsi di Vitruvio
sull’origine e gli stili e stilemi dell’arte antica, che ne derivano gli
edifici da caverne, capanne o
edifici lignei d’altra sorta, se non dallo stesso fare nido degli uccelli, (una genealogia che
ha tra l’altro profonde corrispondenze
nei templi dell’arte hindu,che volsero in pietra le loro origini lignee),
vedansi le capanne dell’incisione L’
inganno di Sinone del Ghisi. Come a
suo tempo colse già il Vasari si deve agli incisore in rame se un largo
pubblico, fatto soprattutto di europei “oltramontani”,
che non potevano “andare in quei luoghi
dove sono l’opere principali”, venne
a conoscenza dell’arte del Rinascimento e degli stili classici che vi erano
ripresi. Girondi presceglie l’illustrazione grafica degli stilemi desunti
dall’arte antica che in Mantova rinacquero o fecero epoca, a iniziare dalla
travata ritmica del Sant’Andrea dell’Alberti, - un ‘arcata lunga, una breve-
che verrà ripresa dal Bramante nelle Logge del Belvedere, e che fa da sfondo
nell’ incisione dei Gladiatori in lotta del Maestro del Dado , forse desunta da un
soggetto dello stesso G. Romano, ed in quella della Strage degli innocenti di Marco Dente, uno degli allievi più dotati
di Marcantonio Raimondi, l’incisore stesso dei modi erotici desunti da disegni privati di G. Romano, a commento
visivo di sonetti di Pietro Aretino che descrivono vari possibili accoppiamenti sessuali . Ulteriori forme architettoniche
classiche che furono invece riprese da
G. Romano in Mantova e ivi divulgate da G. Ghisi, nell’ incisione del Corteo dei prigionieri che trasse
dai cartoni degli arazzi giulieschi del Trionfo di Scipione,
commissionati da Francesco I di
Francia e risalenti al 1532, sono l’arco a un solo fornice che compare in Mantova nel
fregio della Camera degli stucchi di Palazzo Te, e che è presente pure nel
dipinto di G. Romano che ha come soggetto Il
Trionfo di Tito e Vespasiano, ora al Louvre, e il portico con colonnato corinzio sullo
sfondo di paraste corrispettive e di nicchie, che oltreché nell’incisione e
nell’arazzo considerati, ricorre pure nel vestibolo di Palazzo Te, quale sviluppo architettonico reale, ad opera
sempre di G. Romano, della riflessione
di Vitruvio sull’atrio all’antica.
Girondi considera altresì la fortuna incisoria del motivo delle colonne tortili che si
attribuivano al tempio di Salomone, inteso ad ebraicizzare gli interni della
rappresentazione figurativa in cui appaiono, un tipo di colonne che così grande rilievo ha nell’opera
pittorica e architettonica di G. Romano,
si pensi solo alla tela della
Circoncisione al Louvre o all’affresco della Donazione di Costantino nelle stanze di Raffaello e aiuti in Vaticano, al Palazzo della Rustica, alla camera di Psiche oppure al giardino
segreto in Mantova, e che ritroveremo secondo la lezione di G. Romano a fare da
sfondo ai “Gonzaga in adorazione della
Trinità” di Rubens, come già nella sua
Sant Elena venerante la Croce ritrovata. Le colonne
tortili ricorrono nell’incisione in rame
in cui Diana Scultori inscena Cristo e l’adultera, dove fanno da
portico ad un altro tipo di edificio desunto dalla classicità, e così divulgato
incisoriamente , il tempietto circolare in guisa di tholos,
come lo è il San Pietro in Montorio di Bramante, e come lo si ritrova in
un disegno preparatorio, a cui collaborò
G. Romano, dell’arazzo raffaellesco di San Paolo nell’Aeropago. In altre
tre sezioni intermedie si esemplifica come degli incisori quali Ghisi desunsero da opere anche
di G. Romano le rappresentazioni di
interni, per lo più in scene d’alcova
degli amori degli dei dell’Olimpo. In esse l’architettura si riduce ad essere
quella delle modanature e del baldacchino del letto coniugale,- eccezion fatta
per le incisioni dei Modi di
Marcantonio Raimondi, dove figurano le
stanze d’alcova. Si illustra
ulteriormente come furono tradotte in incisioni quinte di paesaggi
e vedute
urbane dello stesso G. Romano o del Bertani; si tratta soprattutto di bastioni e fortezze,
le incisioni essendo desunte da soggetti quali I greci entrano in Troia o La
Presa di Cartagine, nel cui disegno originale lo stesso G. Romano rifuggì da ogni
ordinamento urbanistico. Splendida è in
particolare la incisione di G. Ghisi del Giudizio
di Paride, più ancora che per il tempietto di Giove ionico che vi figura in
alto, conforme ai precetti del Bertani,
per il paesaggio fiammingo che vi aggiunse di suo, grazie al suo apprendistato
in Anversa alla scuola di H. Cock, in cui il suo talento si sprigiona dalle pastoie
di quinte che fossero solo architettoniche. Tutto questo, nel breve
spazio di una mostra con prezioso catalogo che sta in una sola sala, dove non sono più di una
quindicina le opere grafiche esposte,
per dire quanto una mostra può essere
ricca e illuminante per ristretta ma non piccola che sia, se è frutto di studio e ricerca su sudate
carte. Essa ha il pregio ulteriore di indurci
a nuovi indagini affascinanti, se si è mossi da interrogativi analoghi
a quelli che su incisioni e immaginario architettonico si è posto Giulio
Girondi, sollevandoli, invece, quanto a
dipinti e affreschi della Reggia di Mantova, che già in se tracciano il
percorso di una grande mostra possibile : qual è, così chiedendosi, la dignità
e valenza architettonica delle mirabilia urbane della Estrangore o della Camelot di Pisanello, della Roma ideale del Mantegna, delle quinte
di edifici degli Atti degli Apostoli negli arazzi di Raffaello, delle imprese
dei Gonzaga del Tintoretto, o delle colonne tortili, che già furono
giuliesche, nella pala I Gonzaga
in adorazione della Trinità, di Rubens, anch’egli futuro grande architetto, come lo
fu in assoluto G. Romano, ed in
buona misura lo fu il Mantegna.
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