Il presunto assunto dell’arte presunta di Hermann Nitsch è
in sé davvero ammirevole: disvelare l’arcano dell’orrore sacrificale su cui si
fondano l’ordinaria vita religiosa nella sua economia sacrale e l’ordinaria vita domestica nella sua alimentazione
quotidiana. Che cosa pertanto eccepire alla sua messa in mostra nel Palazzo
Ducale , sposando i toni di sdegno assunti dalla destra e dalla Curia di Mantova
: dissacrare è sacrosanto, vi è pure un’antropologia cattolica di cui il più alto
esponente è stato René Girard, che condanna la logica sanguinaria del
sacrificio, il sacro che uccide la vita in nome della vita, messo al bando una
volta per sempre dal sacrificio di Cristo , così come tale sacertas si è manifestata ancora una volta nel recente Congresso mondiale sulla famiglia di Verona. In fondo, a
laicizzare le cose, Nitsch non offrirebbe più di quello che è posto in vista nella
macelleria dietro l’angolo di casa nei suoi banchi freezer. Ma un’obiezione di
fondo si leva : fossero pur vere queste presupposizioni, si sparga pure sulle tele il sangue che già
sia scorso nei macelli, ma perché non ricorrere piuttosto a carne finta, che
sia rappresentata , invece di fare dell’azione artistica con squartamenti e
sventramenti il male stesso messo in atto, Satana che scaccia Satana? Non
cambia di certo le cose la
giustificazione che si interviene su animali già uccisi, la sola logica
nutrizionale ne potrebbe infatti
giustificare per i più l’uccisione avvenuta , -semmai si ricorra ad animali
morti di morte naturale e in via di
putrefazione-, e le cose le peggiora tremendamente il sostenere che non è un sacrificio gratuito
quello così inscenato, visto che l’artefice poi si nutrirebbe di tale carneficina
dietro le quinte, poichè egli in tale suo
pasto carneo trae profitto e giovamento alimentare
da ciò che professa di voler denunciare. L’articolo 10 della Dichiarazione dell’Unesco del 1978 perora inoltre la difesa della dignità dell’animale nelle rappresentazioni artistiche, non solo della sua vita, per cui unicamente pezzi
di carne anonima e solo per il nostro nutrimento possono figurare macellati in pubblico, per ipocrita che sia tale assunto comune, come lo è ogni ritualità del
male. Certo, rendere con carne simulata,
che sia terrificante in virtù di linea e di colore, tutto l’orrore del sacrificio del mondo animale per appagare
i nostri gusti alimentari, richiede che chi opera sia un artista come Rembrandt
o Annibale Carracci o Chaim Soutine, non un’altra sorta di macellaio, magari per mero lucro imbonitore: e questo è già un altro
discorso.
Odorico Bergamaschi
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