domenica 19 febbraio 2023
La grande cultura
Una mia lettera inviata alla Voce e alla Gazzetta di Mantova
La grande cultura, che è quella a cui è dato di elevarsi anche agli stessi galoppini ideologici, i Ricolfi, i Rampini, o i Caracciolo, tanto per intenderci, sempre che non radicalizzino i risvolti negativi immediati dei fenomeni storici in corso, di certo la via più sicura per guadagnarsi revisionisticamente lettori e audience, è quella che sa leggere negli eventi ciò che è di lunga durata e sintonizzarci sulla sua lunghezza d’onda. In tal senso ci dicono di più sul nostro presente e futuro le ricerche sul passato di grandi storici come Richard Eaton di cui uscirà tra breve anche in Italia la traduzione di “India in the persianate Age 1000-1765”, di S. Frederick Starr “ L'illuminismo perduto: L'età d'oro dell'Asia centrale dalla conquista araba a Tamerlano", o la Judith Herrin di “Ravenna, capitale dell'impero, crogiolo d'Europa “, che non tali nostri opinionisti, interventisti a gettone di presenza costante. Tali ricerche ci aiutano fondamentalmente a capire, in chiare lettere, come la globalizzazione e i fenomeni migratori e dell’ibridazione culturale multietnica che stiamo vivendo siano le effettive costanti della storia, e a esse corrisponda ogni culmine raggiunto dalla civiltà e dalla stessa bellezza umana, nel suo meticciato, e quanto sia velleitario o rischioso, o dannoso, affrontarle e viverle come emergenze cui adattarsi temporaneamente, arroccandosi nel proprio localismo o nazionalismo identitario, o in un regressivismo nostalgico dei bei tempi di una volta, finché non abbia a passare “a nuttata”. Altro che decadenza e caduta dell ‘Occidente in un attuale scontro di civiltà.“È pericoloso immaginare che la multi etnicità del mondo contemporaneo sia una cosa completamente nuova - ci ammonisce Judith Herrin in una sua intervista recente a Silvia Ronchey apparsa su Repubblica.” Dobbiamo capire che viviamo, allora come ora, in uno spazio globale, e che da sempre sappiamo percorrere grandi distanze”.E ‘il passato recente da cui proveniamo a costituire un’eccezione piuttosto che la regola, dovuta sia al concentrarsi fino a metà del secolo scorso del boom demografico nell’Occidente capitalistico e ora al rovesciarsi della situazione, sia all’isolazionismo dei regimi burocratici a diverso titolo socialisti, o comunisti, oltre la cortina di ferro o mediorientali, del resto dell’Asia e dell’Africa, con cui abbiamo convissuto noi pre-millenials, e Cina e India non sono potenze emergenti a un ruolo insolito mai avuto prima d’ora nella storia, ma insieme all’Islam, che fu la terza grande economia- mondo dell’Oceano Indiano e del cuore dell’Asia di cui parlava Braudel, sono potenze riemergenti alla loro realtà precoloniale, nella quale Cina e India detennero la metà del prodotto lordo mondiale dall’anno Mille fino al Millesettento ( Angus Maddison in The World Economy: A Millennial Perspective). E quanto alla globalizzazione si pensi solo al dato che nel Cinquecento l'India, come massimo produttore di cotone lo esportava in Occidente in cambio dell’argento che nel Nord Europa affluiva dalla Spagna grazie al suo sfruttamento delle miniere del Perù e del Messico, e che era in cambio di tale cotone che i negrieri europei si assicuravano schiavi nell’Africa occidentale. E’ ancora la Herrin che così ci ragguaglia:” Quali che siano i problemi interni all'Europa, essa è per me ancora un ideale che fonda, promuove e fiancheggia un avanzamento della conoscenza in ogni campo che è ammirato da tutto il mondo. Ma oggi l'Europa è schiacciata tra l'immensa America e l'immensa Cina, con l'Asia in mezzo, ed è questa una configurazione completamente nuova. L'altra pressione tremenda è quella della metà meridionale del mondo, tanto più povera della metà settentrionale, e noi che apparteniamo a quest'ultima dobbiamo fare di più per redistribuire la ricchezza sproporzionata che abbiamo accumulato, se non vogliamo una costante migrazione di popoli dall'emisfero sud all'emisfero nord. Un quadro cui va aggiunto quello che stiamo facendo al pianeta, il cambiamento climatico che ha esasperato tutto, perché non siamo noi a patirlo in prima linea ma, di nuovo, loro”. Per dire come tutto sia inseparabile, allora come ora, nell’intreccio della storia, e quanto sia relativa la nozione di barbaro, o infondato il timore che la nostra idea di cultura, sempre che resti fedele a se stessa, al proprio umanesimo universale, possa essere sopraffatta.“I barbari - ci ricorda sempre la Herrin- conoscevano bene le tradizioni romane e le fecero proprie, perpetuandole sotto nuovi governanti, che imparavano il latino e leggevano Cicerone". E noi, li leggiamo il Corano o la Bhagavad Gita o i Dialoghi di Confucio? Gli stessi Vangeli o la Commedia o Shakespeare o Guerra e Pace?
Odorico Bergamaschi
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