sabato 9 maggio 2015

Il tempio Jarai Math di Barwa Sagar



In Orchha, Barwa Sagar, nel distretto di Shivpuri
2 Il tempio Jarai Math di Barwa Sagar



Il secondo giorno mi trasferivo  già di primo mattino da Jhansi in Orchha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. A ricevermi c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l'hotel vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza,  il che, grazie al sito puratattva.in, mi dava modo di ragguagliare per il tramite di internet le mie informazioni librarie,-  non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe  occorso in Kadwaha i giorni seguenti.
Per duecento rupie, in luogo delle trecento richiestemi  qualora avessi inteso recarmi fino a Barwa Sagar ed esserne di  ritorno,  al parcheggio in  Orchha degli autorisckshaw pattuivo una sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math, volendo io evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le  supposizioni di ogni aspettativa.  Di li a mezzora , in un  giorno incerto di marzo,  potevo così già ritrovarmi di fronte alla meravigliosa vista del tempio,  
su di un'altura oltre una cinta muraria che raccoglieva i resti anche di due piccoli santuari adiacenti,dove emergendo da una nebbia fittissima, tre mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del caro mister Dipak, che non era  parso particolarmente interessato al complesso.
Anche allora c'era venuto appresso il guardiano e custode, che sembrava  ora riconoscermi ed  illuminarsi nuovamente alla vista, come quando gli avevo fatto allora cenno che  era per ragioni da me indipendenti che non potevo prolungare oltre la sosta con il mio ospite.
 La grandiosità della magnificenza frontale del tempio cui tornavo al cospetto,








era  un effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che aveva lasciato in vista l’ornamentazione che  era adombrata al suo interno insieme con quella che lo trascendeva all’esterno, in un continuum splendido, outdoor, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa, contro il superstite fondale reticolato di gavakshas del sikhara, che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature ritrovavo arcuati gli udgamas delle nicchie che si stagliavano sul vedibhanda, delle coronature dei tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete, dei pratirathalaterali  che le fiancheggiavano a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate a templi da tali  loro sovrastrutture  nei recessi e nelle proiezioni  d’angolo dei karnas e del vestibolo dell'antarala, dove gli udgamas si dilatavano, e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara originario.
Da uno  scatto fotografico all'altro  testi alla mano-, iniziavo a ripercorrere il tempio in ogni suo dettaglio, al contempo che il suo arcano sublime  mi si riprospettava meravigliosamente intatto. Anomalie, e precorrimenti, lo impreziosivano senza smagliarne l' esemplarità canonica. l'attinenza ai paradigmi dei templi Pratihara nella sua onnipervasività si manifestava il criterio d'ordine di una profusione eccelsa , il cui ordito mi riformulava al contempo l'enigma o mistero della  cripticità fascinante del tempio, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Raffrenava le mie deambulazioni  intorno al tempio lo scollarsi della tomaia di una mia scarpa, così  non mi restava che procedere in calzini sulla sua piattaforma, tra il terriccio del giardino intorno,  nell incognita di come potessi procedere più oltre, fino al rientro in Orchha, quindi in Orchha fino a un negozio di calzature,o  fino ad un calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia.
Epitome macroscopica dei templi Pratihara, incredibilmente sfuggita/o al cribro del vaglio del maggiore Cunningham, immane come il Teli-ka-mandir di Gwalior quanto egualmente riconducibile al solo apparato architettonico del santuario e dell'antarala del vestibolo, sempre che non li precedesse un portico d'entrata, il Jarai Math osservava dei templi Pratihara l'assetto di rito pancharatha, che contempla cinque proiezioni laterali, il badhra centrale, i pratiratha che vi ricorrono a guisa di pilastro nelle antiche fogge gupta, i ratha-karna d'angolo con i dikpalas tutelari, riassunte dalle rathas* corrispondenti del sikhara, nel cielo riassorbente dell' unità divina originaria. 
Certo, ero già a conoscenza che il tempio avrebbe accusato un'irregolarità sostanziale espressa nella parete di fondo, che presentava la spina bifida di due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello numero 20 della valle di Nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto che in esso, parimenti, era riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha malas di festoni di campane, e dell'hamsa mithuna voleggiante sopra le divinità fluviali del portale-, dei templi Pratihara il Jarai Math riassumeva tutta l'ornamentazione di rito,  in una preziosità d'intaglio a dir poco ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle modanature del tempio hindu, così come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine,  nei magnifici adisthanas che  insieme con i templi che su di essi vi si sopraeleveranno,  assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella. 
Era dal portale che iniziava la mia ricognizione ulteriore, nei minuti dettagli, a iniziare dalla sua soglia , un'udumbara che ai lati del nerboruto rigoglio vegetativo di fusti di loto della mandaraka centrale, esibiva le coppie simmetriche, di un leone e di un elefante sul cui dorso il felino stava bellamente accovacciato,  le gaja-simhas,di due kinnaras che sembravano suggere i boccioli di un'arborescenza su cui erano in penitenza dei rishi emaciati, di due vasi dell'abbondanza tondeggianti, in una cui fascia era inciso un kirtimukka.





Tali vasi erano retti da nagas con il loro cappuccio di cobra.
Mi volgevo quindi alle serventi, scolpite negli esordi del portale, di due dee esternalizzate rispetto alle dee fluviali Ganga e Yamuna, in flessuosa tribhanga*, che figuravano defilate in prossimità dell'accesso purificatorio, al di sotto di altri rishis* penitenziali. Le dee Ganga e Yamuna , l'una alla destra l 'altra alla sinistra di chi accedesse al tempio, così cedevano insolitamente il primo piano al guardiano dvarapala*, 
canopizzato da un torana ch'era  sormontato a sua volta da un udgama e dal tilaka di un tempietto miniaturizzato, replicati entrambi nelle protomi ai lati.
Le attendenti, benché  minute e sforzosamente intente al compito di chattra-darini*, o reggitrici del parasole regale delle due divinità,  meritavano ogni attenzione del caso perchè recavano delle borse di approvvigionamento della propria dea, nel quale apporto offerente si è rinvenuto un indizio già di per sé probante che il tempio fosse luogo di culti tantrici alla Sakti dell'energia femminile del Divino*.
Di lato alle dee, che si vuole che altro non siano che una riproposizione di Ganga e Yamuna,  una pianta di loto rampicante si schiudeva in tre boccioli, in uno dei cui serti, sul versante alla  sinistra dell'osserrvante, trovavano ricetto un discente e quattro discepoli, mentre nell'altro si sfrenavano musici e danzerini*. In tale accolita sarebbero/erano ravvisabili le sembianze di Lakulisha e dei suoi allievi Kusika, Mitra, Garga e Kaurushya, per la similarita del gruppo con altre sue ricorrenze in posizione consimile, nel portale del tempio della Maladevi in Gyaraspur, o nel Teli ka Mandir , in Gwalior, nelle quali è ben individuabile il danda di un bastone alle spalle del soggetto centrale, che lo identifica  inequivocabilmente con Lakulisha.  Figurando Lakulisha come il fondatore o riformatore leggendario del culto di Shiva della setta Pashupata,  se non anche quale  il ventottesimo ed ultimo avatar del dio, se ne è prontamente desunta una affiliazione shivaita del culto della Devi del tempio Jarai Math;  ma  senza il concorso di attestazioni ulteriori,
come ritenerlo il culto in esso imperante, alla luce soltanto di tale indizio?

per me non poteva certo dirsi il culto in esso imperante.  per me ne restava ancora soltanto un indizio,  per quanto significativo. una preziosa debole traccia dello shivaismo di una devozione tantrica alla Devi  praticata nel tempio, nulla escludeva che il gruppuscolo scultoreo vi ricorresse solo per un' estemporaneità dovuta alle maestranze, a seguito di  una loro mera ripresa imitativa.
I sakas delle fasce laterali del portale ostentavano, alquanto consuetudinariamente,  una prima banda interna di volute rampicanti, o patra-sakha,  ed una seconda di fiori mandara,  mentre inusuale era la terza, in cui entro delle nicchie sorrette da pilastrini  una figura femminile era intenta  a soccorrere una maschile Semplici mendicanti confortati da inservienti? O n on si trattava forse  di scene della Bhikshatana murti di Shiva, si è arguito, in cui il dio errando mendico per il mondo, con il bastone kankala  sulle spalle ed una coppa costituita dal cranio della quinta testa di Brahma da lui recisa,  è intento a ricevere del cibo dalla dea Parvati, come vorrebbe R. D. Trivedi?
Ad un saka di ganas, o pramatha-sakha,  faceva seguito la banda- pilastro di uno stamba saka quanto mai variegato, ad un primo riquadro intagliato con volute,vi  subentravano  infatti prima  una fascia poligonale con figure di divinità e di esseri celestiali,  poi l'immagine  incorniciata di un kirtimukka, in seguito la raffigurazione di una coppia di amanti che giacevano l uno all'inverso dell'altro, in un ricettacolo perlinato circolare, quindi un quintetto scultoreo  di musici e di danzatori, non che un vaso opulento* dell'abbondanza, o  ghata pallava, che era sovrastato a sua volta da un ulteriore kirtimukka e da un fregio poligonale  tra lamine fogliari. Il loro seguito ornamentale precedeva un tripice capitello bharani con triplice scannellatura. che su di un piedistallo con incise foglie di loto nel verso inferiore,  tra due pilastri laterali guarniti di fronde vegetali, reggeva la nicchia del piccolo santuario di un dio,  un micro-tempio a tutti gli effetti, tant'è* che la sovrastava, miniaturizzata,  una varandika consistente di di due kapotikas che includevano un corso di testate di tulas, proprio come nei templi Pratihara è di prammatica, ed un sikhara tri-ratha coronato di  amalaka, kalasa e vijapuraka.
Un ulteriore pramatha-saka di ganas faceva quindi da pendant al precedente,  come poneva in risalto lo stesso stacco del recesso tramato da una jalaka, rispetto alle due bande successive di coppie erotiche, o mithunas , e del bahya saka terminale, retto da un kumara soggiacente,  in cui fluttuavano o  posavano in  volo meravigliose coppie celestiali, recanti ghirlande e strumenti musicali.
Apparivano così incorniciate le due prime trabeazioni del portale, l' una,  conclusa da Brahma e da Shiva, che allineava bellamente in comoda posizione lalitasana tutte quante le divinità planetarie e le saptamatrikas, l altra che in nicchie coronate da udgamas recava una successione di divinità femminili, inframmezzate da danzatori e musicanti nei recessi. Al centro del duplice ordinamento,  in una ratika che lo comprendeva in altezza, si proiettava  la figura  sovradominante della dea unificante il consesso. In lalitasana, su di un fiore di loto a fungerle da piedistallo, era alta il doppio che le altre dee, ed anche solo per questa sua magnitudine sovrimponentesi, come non ritenerla  la divinità principale del tempio,  una Devi che disvelandosi nella sua cavalcatura , o nei suoi attributi, avrebbe risolto l enigma della sua destinataria, per dipanare il quale, però,  mi era già noto che non avrei potuto confidare nella statua all interno del garbagriha, essendone rimasto poco più che il piede destro. non fosse- per colmo di iattura*- che tale immagine al centro della trabeazione non può più rivelarci se non che di una dea senz'altro si trattava, quale intestataria del tempio, nel contesto solidale delle immagini di divinità femminili Sakta che le proliferavano intorno, che la sovrastavano, che la attorniavano lungo le pareti del tempio, talmente il sembiante della Dea è stato sfregiato e mutilato, degli attributi delle sedici braccia essendo identificabili solo un vajra* ed un kamandalu*, nelle sue braccia inferiori di destra, e la spada di una kadgha.  
Che campeggiasse in luogo di Shiva, ridimensionato alla sua destra alla stregua di Brahma, sul termine opposto,  depotenziava ulteriormente la supposizione di una affiliazione univocamente shivaita del culto della Sakti  del tempio, che già le immagini di Lakulisha e dei suoi accoliti, o di scene della Bhikshatana murti sembravano  concordemente accreditare, per cedere il passo all'incedere dell ipotesi che invece si trattasse di una divinità femminile della costellazione vishnuita,  ponendosi ella tra Shiva e Brahma ai suoi lati.
Quanto alla schermaglia che poteva originare l' identificazione delle divinità femminili della seconda trabeazione,
ognuna nel suo tempiolino con l intermezzo di ganas intenti alle danze o a far risonare strumenti musicali,  non c'era sorta di dubbio  che la prima alla mia sinistra fosse Gaya Laksmi, per gli elefanti che l irroravano*, mentre la seconda se non era una matrika era Ambika, reggendo un fanciullo e un cespo di mango, Maheswari risultava essere la terza,  sempre che bastasse a identificarla il veicolo animale di Nandi, Saraswati la quarta, inconfondibile per la sua vina trasversale, Vaishnavi, o piuttosto Chakreswari,  la successiva, in virtù dei chakras che reggeva con le braccia superiori, esattamente  in corrispondenza, sul versante opposto antecedente,  con un'altra divinità hindu trasvolata nell universo jain, ossia Ambika, secondo quant'è da presumersi,   buon ultima un'altra dea o matrika, ancora non meglio  identificata, o identificabile.
In tutto il suo splendore scultoreo si dispiegava quindi una lastra di rilievi concernenti la Trinità brahmanica,  con al centro Vishnu sovrastante Garuda. Lo affiancavano  i purushas delle personificazioni dei poteri di due dei suoi ayudhas, sorvolati da dei vidyadharas all' altezza del capo del dio.
La collocazione di Vishnu  al centro del pannello ed esattamente  al di sopra della indecifrata divinità femminile a sedici braccia, non era forse una conferma ulteriore che il tempio fosse ispirato da un'affiliazione tantrica vishnuita al  culto della Devi, come già il tempio Maladevi di Gyaraspur, ed in seguito quello Parshvanatha jain di Khajuraho, che al centro della sua trabeazione del portale d'ingresso reca la immagine di  Chakreswari- Vaishnavi ? Il Jarai math  mi si veniva così sempre più configurando come un  tempio in cui il vishnuismo doveva coesistere sincreticamente con la versione shivaita del culto della dea, che ugualmente vi era manifestato, e ripreso, ma in posizione sottostante, o defilata lmarginalmente,  comunque gerarchicamente  subordinata.
A riprova delle mie supposizioni affiancavano Vishnu il dio Brahma  alla sua destra,  ed alla sua sinistra Shiva, entrambi in confortevole posizione lalitasana e  con inscalfito il rispettivo veicolo animale,  l 'hamsa e Nandi.
Le figure scultoree ulteriori rappresentavano una divinità con katvanga e la ciotola dei poveri, o kapala, che sembrava ricevere sostentamento da una dea, per il tramite un cucchiaio,  sul quale, nel gruppo alla mia destra di osservante,  stava un minuscolo uccellino, al pari di uno consimile sulla mano destra del dio. Il contesto trimurtico di tali  raffigurazioni avvalorava l ipotesi di Trivedi che rappresentassero scene della Bhikshatana murti ,  in  cui a Shiva mendicante recavano  il conforto del cibo Parvati sulla mia sinistra, e ancora Parvati o Annapurna sulla mia destra . Date le isoformità* stilistiche tali immagini facevano ascendere alla loro stessa significazione quelle analoghe del rupa-saka del portale,  elevandole oltre la loro riconduzione a semplici rappresentazioni di mendicanti ed inservienti.
Come non bastassero le riprove così raccolte di una predominanza vishnuita nel  culto tantrico della Dea che si praticava nel tempio,  al di sopra di Vishnu- Garuda ecco stagliarsi  le immagini gemine di Varahi, sul trono di loto che reggevano  due vidyadharas,  senza che fosse per loro d'impaccio  reggere al contempo una frondosa ghirlanda, tale coronamento stagliandosi entro il  più bello dei serial scultorei della facciata, per come  plasticamente caratterizzava le sue figure divine,   la sequela in sciolta lalitasana dei dikpalas del tempio.  Di tutti quanti si erano preservati i veicoli animali, volti alla gemina Varahi come verso la meta ed origine del culto del tempio , ciascheduno recando il proprio dikpala posto di traverso,  perchè ci apparisse in posizione frontale, sulla propria  cavalcatura differentemente a suo agio ed atteggiato in differenti mudra.
Già a più di un osservatore è parso fin troppo stupefacente che nel consesso dei dikpalas Nirriti sedesse su di un maiale , per poter concedere che sempre un suino, a quanto poteva parere a prima vista,  fosse il vahana di Vayus, involto dalla propria ventosità nel sollevarsi del suo manto; ed infatti è un capriolo, o mrighi, l'animale su cui  Vayus è  accomodato.  Che poi in tale sequenza i dikpalas siano dotati come i comuni mortali di soli due arti superiori è parso un'indizio sufficiente della natura remota del tempio, più che bastante a ricondurlo ai primi tempi dell'arte Pratihara, ma mi bastava* anche solo risfogliare il volume appresso di R. D.Trivedi, Temples of the Pratihara Period in central per accertare, ad una ricognizione più ampia, quanto fosse diffusa nel tempo, in Keldar come in Gyaraspur, l'inibita proliferazione di braccia. dei guardiani del tempio.
E tutte le consomiglianze che vi avrei ritrovato con altri templi Pratihara,  al seguito delle indicazioni puntuali di Trivedi e della mia memoria visiva delle loro ricorrenze, mi avrebbero indotto a condividerne la datazione tarda, che lo fa risalire al x secolo dopo Cristo.

 
Ed ancora più in su, oltre una serie di nicchie con udgamas in cui danzavano ganas, alternate con altre invece vuote, il sukanasa, alfine, in un triplice ordine fastoso di finestre- chaitya /di gavakshas e di volute, in cui altre immagini di divinità femminili celebravano la pluralità di manifestazioni della Dea,  quasi ad esaltarne la trascendenza rispetto ad ogni sua assunzione di forme,  mediante l' ostentazione stessa della loro profusione, una al centro del secondo livello dotata di khadga, o spada, al di sotto di un oculo floreale meraviglioso, mentre le sottostavano lateralmente, nelle loro nicchie templari fregiate di sardulas, le rappresentazioni di Varahi e di Mahishasuramardini.
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Attenendomi quindi alla deambulazione della pradakshina,  il fianco meridionale del Jarasi math mi si prospettava in tutto il fulgore del suo adempimento dei paradigmi del tempio Pratihara,  che pur vi erano sopravanzati nell'incremento di profilature del basamento dell'adisthana- Sullo zoccolo del  bitha-  costituito di una modanatura piatta, di un jadya kumbha e di un presentimento di karnika-  non risaltavano in successione immediata, come negli altri templi Pratihara,  le modanature usuali della vedibhanda,- kura, kumba e kalasa, sormontate da un kapota-,   perchè vi erano interposte le  profilature  duplicative  e duplicate di un  plinto - in cui a un primo kura, e ad un primo kumba, subentravano le raffinatezze di un grasa pattika di kirtimukkas, fregiata di ardaratnas soggiacenti e dall inflessione superiore, rifluentevi, della curvatura di un jadhya kumba ornato di petali di loto. Mediante tale sopraelevazione il Jarai Math così  prefigurava la scansione ternaria del basamento dell'adisthana in bittha, pitha, vedibhanda,-  o altrimenti in zoccolo, plinto e podio,   che contraddistinguerà gli ulteriori templi medioevali, in particolare quelli di Khajuraho.
Tale rialzo del podio  non appariva un mero sfoggio di  sovreleganza  nelle profilature del tempio,  esaltava la germinazione nella vedibhanda delle forme che avrebbe assunto la loro piena espansione ascensionale nelle proiezioni verticalmente corrispondenti del  jangha e del  sikhara.

 
In esse su kura, kumba e kalasha della vedibhanda successiva, si elevavano fino al kapota superiore nicchie templari con un frontoncino di udgama , in cui la divinità campeggiava tra due pilastri ch'erano fregiati di volute fogliari, fiancheggiati a loro volta da simha sardulas, al loro stagliarsi nel badhra centrale,  in corrispondenza di fieri intenti con i  leoni rampanti  associati lalle nicchie sottostanti dell'antefissa. Un kapotika, fregiato di takarikas,  era la trabeazione tutelare delle divinità .
Per surplus di grazia, come in altri templi Pratihara, all'altezza delle proiezioni mediane delle pratiratha e di quelle del vestibolo dell antarala,   alle modanature del kalasa si sostituivano delle  testate di tulas recanti immagini di mithunas, di musici e ganas intenti alle danze. Tali teste preludevano alla serie di tulas che compariva nella varandika tra due kapotas, a ulteriore ripresa di una ricorrenza  dagli esiti incantevoli dei templi Pratihara.


 
Ero così risalito al fulgore del vibrato luministico delle carenature di archi chaitya che rivestivano l'antarala e le proiezioni e i recessi medesimi della parete del jhanga,  i loro dilungamenti verticalizzati sopraelevandosi in ogni sporgenza o rientranza, nell'antarala del vestibolo, su altrettante edicole sottostanti quali loro sovrastruzioni, così assurgendo tali edicole alle vestigia di templi nel tempio. Tale fulgore luminescente  era ripreso, e intensificato ancor più, da quello dei rathas corrispettivi del sikhara,  lo esaltava ed avvivava lo stacco stesso, tra il vestibolo e la jangha del santuario, dei reticolati brillanti di jalikas, che si ripetevano su, su, lungo i bordi laterali dell antefissa.
Ma nel badhra centrale, per la perdita in gran parte di tale rivestimento,  la sua prominenza aggettante conferiva un  risalto ancora maggiore al  tempietto in miniatura di cui l'ordito dei gavakshas costituiva un tempo, più che il frontone, una guisa di sikarika, oltre la gronda così rimarcata della khura chaddya. Infatti   lo caratterizzava, della conformazione di un sikhara,  l'alternanza di amalaka scanellate e di kapotika dei karna-rathas angolari, rispetto a una madhya lata centrale. Di tale proiezione mediana  era il sostegno originario un tempietto che dava ricettacolo a una scarnita Chamunda, tra i fantasmi di  pretas scatenati.
 La dea  dalle ottuplici braccia vi era accampata in lalitasana sopra un malcapitato supino, e dei suoi attributi si erano conservati integri la coppa kapala e un trisula
Mirabile fino all intenerimento, del santuarietto soggiacente, o devakosta, era la miniaturizzazione in ogni suo particolare di un intero tempio, tramite la riproduzione di un portico in un portichetto, quale deliziosa attuativa di come il tempio hindu abbia a racchiudere  a iosa la propria replicazione frattale,  ain diversi ordini e gradi, quanto  il divino che è l uno a misura di tutte le cose nell' ordine cosmico.
Sulla sintesi metonimica dell'adishtana del tempio, risolta in una coppia di tulas fregiate di parna- bandha fogliari, con pendenti o lumas sottostanti,  e di un grasapattika  il cui viluppo vegetale scaturiva meravigliosamente da un kirtimukka, costituivano il portico del devakosta due pilastri anteriori per giunta pluriformi, o misraka, con tanto di kumbika, di suggellatura di due vasi dell'abbondanza terminali, o gatha pallava,  tra i cui estremi dalle fauci di un kirtimukka non mancava nemmeno di calare  il cordone di una campana su una sfaccettatura poliedrica,   discendendovi dalla profilatura cuboide di una madhya bandha,  sotto la duplice scannellatura della padma e dell amalaka di un  capitello barani.
Nè all'interno del portichetto,  il portale d'accesso alla celletta di  un santuario era sprovvisto dei suoi costituenti canonici, con altrettanto di Ganga e Yamuna e di attendenti, con un suo saka agli stipiti ed una propria divinità al centro della lalata bimba, un Kubera, in comoda lalitasana, mentre il   fregio della schiusa di un fiore di loto occupava il soffitto,  al pari del saka contornandolo una banda di petali di loto.
Ai lati della badhra, conferivano solennità  monumentale  all'alzato del tempio le due pratiratha nelle forme di  alti pilastri,  dopo l'intervallo di un recesso i cui udgamas templificavano la cui ugdamificzione templificava  una nicchia che albergava una surasurandari sotto una kapotika e tra due colonnine.
Da edicole templari simili a quelle dei recessi, nei badhra,  a guisa di loro sovrastruzioni ,si sopraelevavano i reticolati dei  gavakshas di udgamas,  fino ad una testata incentrata in un kirtimukka, tra le sue defluenze evolventisi,  coronata/ suggellata* dall'opulenza vegetale ricadente di  un vaso dell'abbondanza, o gatha pallava o   purna-kimbha che dir si voglia.
Un capitello barani  con un abaco istoriato di foglie,  portava a termine la sontuosità delle pratiratha-pilastriformi.
Un altro recesso simile al precedente, ed era la volta del karna-ratha, che ospitava dikpalas in nicchie simili in tutto a quella inferiore del badhra, al di sotto del  raddoppio dell'udgama in due dilungamenti acuiti  al vertice,  che elevava le edicole a santuari di un tempio, -evocando o prefigurando la proliferazione  posteriore  di mulamanjari e uromanjari , detto altrimenti la replica del sikhara principale in una sua miniatura addossata al suo petto nella sua ratha centrale.
La grata di una Jalika  rilevava lo stacco strutturale della rientranza dell'antarala, che  faceva da supporto alla dilatazione di un' ulteriore duplicazione dell'udgama, ugualmente appuntita nelle  sue due sommità, al di sopra di un santuarietto a guisa di ratika, con una gronda  estesa a due ali rientranti volte ad ospitare due statue sussidiarie ,  situate una per lato a fianco delle colonnine tra le quali era compreso il gruppo statuario centrale, e di una kapota sovrastante il tempietto, anch'essa ampliata secondo la stessa profilatura,
Il Jangha dello stessa antarala, come quella del prasada del santuario, era conclusa dal fregio di una pushpa mala di fiori , a raccordo unitario di entrambi i fronti.
Quindi si sopraelevava il  varandika  nella sua scansione iniziale già rilevata, di kapotas inframmezzate da tulas. Lo portavano a compimento  un'antarapatta che nella sua scacchiera riprendeva l alternanza di fondo, dell'arredo templare, tra sole carenature e jalaka, una pattika fregiata di ardaratna triangolari e di kapotika, alfine i rathas o latas del sikhara. Li gremiva la lumineggiatura dell'ordito di gavakhas,  in quelli che portavano a termine lo slancio ascensionale di badhras e pratirarathas Era un' intermittenza  che si faceva più  rada  nei karna- rathas sovrastanti, poichè le carenature degli archi chaityas vi erano inframmezzate con amalakas e kapotikas, al termine di una direttrice di marcia ascendente  tracciata da un udgama appuntito sovrappposto  al varandika, non che da un tempietto di raccordo superiore,  con il suo frontoncino immancabilmente anch'esso carenato.

Il  fianco meridionale dell'antarala ospitava Narashima nella nicchia superiore, intento al contempo in cui eviscerava Hiranyakashipu, a scaraventare, calpestare, sollevare demoni per la capigliatura. Oltre i pilastri lo affiancavano alla sua destra un presumibile Gada purusha, insolitamente di sesso maschile,  e un  Shankapurusha alla sua sinistra. Nella nicchia del vedibhanda una dea madre sembrava intenta a sollevare la figura di un essere di minute dimensioni, al'apparenza un figlio che consolasse.
Coppie statuarie consimili, oltre i dikpalas Agni ed Indra del Karna, ricorrevano in ambo i recessi ai lati di ambo i pratiratha.
In uno di tali gruppi un altro essere minuscolo sembrava  offrire a una  dea  ciò che conteneva un cesto che reggeva con ambo le mani. Che  si trattasse di immagini ulteriori della Bikhshatana murti di Shiva?  Nell'edicola delle pratiratha   faceva  bella vista di sè una surasundari,  come altre comparivano  nella  nicchia sottostante* ed in quella del kharna che ad essa era allineata lungo il vedibhanda.
Il  badhra centrale presentava una concentrazione di terrificanti immagini della Devi,  lungo le pareti della sua proiezione del vedibhanda, quale Durga e Chamunda ai lati di sud est e di sud ovest,  nelle  parvenze frontali che ne offriva,   in cui era intenta a sorseggiare sangue da una coppa.
Il  karna-ratha poi di svolta verso la parete ovest mi avrebbe accomiatato da quella meridionale con le immagini dei dikpalas Nirriti e Yama, di cui era invertito l ordine abituale di successione-
Nella parete ovest faceva quindi la sua triste comparsa la duplicazione del badhra e delle sue edicole, che aveva  provocato l inserto non meno funesto di due latas del sikhara,  divergenti nel loro assecondamento, per farne, con quelle sovrapposte alle pratiratha, le balapanjaras, o lata complementari, di fiancheggiamento dei due madhya latas elevati sul raddoppiamento dei badhra . Il resto, come nella parete nord, secondo il copione meravigliosamente esibito dalla parete sud.
Il  repertorio statuario della parete occidentale visualizzava* nelle nicchie centrali dei due badhras  Kartikkeya che alimentava il proprio pavone ed  Harihara, Vishnu-Shiva, mentre tra i due rathas interni campeggiava interposta, una bella immagine di Surya, assistito puntualmente da Danda  e Pingala. Lo affiancava alla sua destra uno Shiva tricefalo, che avrei ritrovato nella nicchia retrostante del  tempio Jagadamba in Khajuraho  ***.  Al di sopra di una raffigurazione feroce di  Bahirava  con kapala e khatvanga, quella di Varuna  era di lascito verso la parete nord, ove Vayus gli faceva seguito.
Le nicchie del badhra vi ospitavano a nord ovest Kubera, al centro Shiva e Parvati, con Brahma pronubo, un'implacabile Mahisasuramardini sul lato nord est, risolutissima quale in poche altre sue rappresentazioni, a dare il colpo di grazia del fendente di una sua spada al demone estratto dal bufaklo Mahisha.
Nel ratika del pratiratha Shiva Ardanarishvara,   prima delle divinità vediche  di rito Kubera e Isana, quali dikpalas, nelle edicole del karna-ratha..
Nell'antarala, all'immagine superiore  di Narashima sul  versante opposto meridionale,  faceva da pendant quella sovrastante di Laksmi- Narayana, a suggellare nella elegante bellezza  dei dilungamenti sinuosi delle sue figure divine, la predominanza della costellazione vishnuita nell'affiliazione alla trimurti del culto templare  tantrico alla Devi, secondo un'attestazione che già campeggiava  al centro dei rilievi oltre il portale centrale, .
A conferma  del suo shivaismo come una subordinata di culto, sottostava Parvati in Panchagnitapa.
L'ingresso nel vestibolo e nel garbagriha mi riservava la trasposizione interna della sontuosità inesausta del tempio, nell'ornamentazione dei mirabili pilastri. Una kumbika come loro basamento, e  arieggiando gli stamba saka del portale d'accesso e dei devakosta, quindi il vaso da cui tracima il fogliame di un gatha pallava, il fusto di una badra-saka prominente, esuberante di volute vegetali, una pattika recante inciso un kirtimukka, un collare ottagonale, il rigoglio di un gatha-pallava, ancora,  due fasce di rilievi fogliari e alfine il capitello barhani, concluso da mensole  con volute fregiate da kirtimukka. . Contraddistinguevano i due pilastri dell antarala una dvarapala in una nicchia, il seguito verticale di cinque mithunas, fiancheggiati da tre vivide coppie di gaja-sardulas con i loro disarcionati condottieri.
Nel soffitto dell'antarala due lastre con incisi kirti-mukka separavano tre concavità circolari.
I pilastri del garbagriha sostenevano invece cinque travi con le usuali decorazioni,- palmette, parna.bandha fogliari, ardaratna triangolari, putti reggenti ghirlande, ancora parna-bhanda, - che conferivano una rilevante altezza alle concavità cuspidate del soffitto. Della statua principale non restava che un piede e il piedistallo, ove erano scolpite le figure di una donna danzante e di suonatori di flauto o di tamburo,.

Ero così di ritorno di fronte alla facciata,  dal mio ripetuto periplo deambulatorio, che aveva raffrenato lo scollarsi della tomaia di una mia scarpa, per cui non mi era rimasto che di procedere in calzini sulla sua piattaforma, tra il terriccio del giardino intorno,  nell incognita di come potessi incamminarmi più oltre, fino al rientro in Orchha, quindi in Orchha fino a un negozio di calzature,o  fino ad un calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia, quando sopraggiungevano due giovani studenti, di Jhansi, che mi chiedevano, o intendevano mettervi a prova, nella mia valentia conseguita di indagatore e conoscitore straniero del tempio.
In che intrico confuso, prestandomi, finivo così per cacciarmi tra shivaismo o vishnuismo del culto tantrico  alla devi alle origini del tempio.
Ma, era la loro questione, perchè non avrebbe potuto essere semplicemente un tempio in onore di Laxmi, data la sua natura eminentemente vishnuita?
Ed io ad annaspare rifacendomi a quante vi proliferassero le immagini delle più varie manifestazioni della dea, nella sua trascendenza di ognuna di esse, una molteplicità troppo polimorfa, perchè il tempio potesse rifarsi originariamente alla sola manifestazione della Devi nelle guise della Sakti di Vishnu.
Con il custode che assisteva ammirato,  assentendo o annuendo,   pur senza essere sempre convinto delle mie delucidazioni e identificazioni dei gruppi statuari, pronto ad assegnarmi  quello che poteva risultare un suo  colpo di grazia, in virtù dell'autorevolezza conferitagli dall'essere un'espressione vivente locale della tradizione millenaria del culto del tempio.


Insieme con lui già mi ero addentrato nella cella del tempio, ed assecondavo i giovani a visitarla a loro volta.

Alla loro sortita, per chiedere  a lui lumi in tal senso,  a colui che era un'incarnazione vivente della di una tradizione di devozione che ancora onorava di offerte e di attestazioni di fede il relitto statuario del piede di una dea,  gli chiedevo a quale divinità, secondo il culto vigente, dovesse ritenersi dedicato il tempio " Laxmi e Ganesha" mi ribatteva imperterrito, sorridendo di come fosse in dissonanza con tutto quello che avevo detto
 Laxmi? sia pure, punto e a capo di ogni velleitarietà di farne più universalmente un tempo tantrico alla Devi. Ma Ganesha?  " Ma di Ganesha non c'è alcuna immagine nel tempio..."
I due giovani raccoglievano sorridendone la mia perplessità, lo sconcerto per  la risposta dell'uomo  che se presa per valida e vera,  era l' azzeramento di ogni sforzo e  discorso iconologico intrapreso con loro
Uno dei due giovani era stato il mio interlocutore costante, mentre l'altro si era limitato, in silenzio, a  confermare le mie  illazioni o richiami ad altri templi, o a chiarire il senso delle mie parole e dei miei usi tecnici, azzardati, di un lessico architettonico risalente al  sanscrito.
Che mi avessero sottoposto ad esame, in virtù delle  conoscenze umanistiche o del sanscrito del secondo dei due, incuriositi di verificare la mia attendibilità di studioso e ricercatore straniero?
Il  .vecchio, apparentemente di me più anziano, quando rimanevamo soli, aveva la gentilezza e il riguardo di cercarmi un legaccio, con cui provava a tenere insieme suola e tomaia della mia scarpa scollatasi.
Una premura che gli valeva la mancia che altresì aveva inteso assicurarsi con tale suo gesto.
Potevo cosi procedere fino al vicino villaggio, per vedervi i resti del Jaraho- ki- Marhia,  dove  ritrovavo il custode e da lui mi congedavo con rinnovato calore , essere di ritorno alla strada che recava a Jhansi, salire su un autorichshaw, adibito a savari, nella postazione davanti a mio rischio e pericolo, fino alla deviazione per Orchha,  ed al mio arrivo nel suo abitato con un altro tuk tuk, acquistarvi un paio di snackers nel primo negozio di scarpe che incontravo lungo la via che recava alla Betwa, fare riparare a dovere la scarpa  che era finita in disuso, che insieme con l'altra era stata attrezzata di una cordatura di raccordo di suola e tomaia .

La sera, fino al far della notte, trascorrendola tra le locande sulla via per il palazzo di Jahangir e l interno del tempio di Rama,  in cui mi sono recato in preghiera con un offerta in denaro, senza trarne le dovute avvertenze sulle interdizioni interne al tempio di Rama,  come  avrei inteso mettendo a  rischio tutto,   l ultimo giorno di viaggio, quando un agente del tempio pretendeva di consegnarmi furibondo alla sua guardia armata, per il mio rifiuto di cancellare le fotografie ch'era  proibito che vi avessi scattato all interno.


 

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