Prima Elegia Indiana
Qui dove la tigre che ti fronteggia
è il pupazzo di stoffa di Chandu,
e nel dolce lume il gioco e il canto
sono la felicità di bimbi tra l’immondo
che lieve brezza (
prima che cedano al sonno ed ai silenzi,
della luna sui terrazzi e gli orti di Sevagram,
cum complexa sui corpus miserabile nati
lo stesso colpo di tosse nell'ultimo nato
e già è il tremendo del sereno
di cui i muri
tu vi schiudi il cuore e le braccia
e quanta delicatezza tenera
discopri nel morso
ch’è il calore della schiusa di piccoli cobra,
mentre non hai più altra vita, che questa,
che ti adempia o ti smentisca per sempre,
deus nobis haec otia fecit
tra gli strilli e il pianto o il crollo di schianto
dove
nell’attesa del rientro al tramonto
dalla giungla di bufali ed ox,
quando di febbraio è già
e la senape ingiallisce i campi,
tutto si è consumato nella tua remissività ad ogni oltraggio
da che cedendo
dove chi è rimasto rimarrà ancora più a lungo
ed altrove, qui in India,
eccoti di già sulla via del ritorno
con l’amico sotto le stesse fronde ospitali dell’himli,
in lontananza sfumando i declivi
dove alle acque del Ken discendono i boschi,
“Vedi, come il fiume senza farne uso e ricevere offerte
dona la sua acqua a pecore e cervi,
così l’albero ci dà la sua ombra”,
sotto la quale possiamo ancora indugiare
è nelle vicinanze il tempio di Chattarbuja
che preannuncia la nostra antica città,
poi conterà solo andare avanti,
e sarà questo il nostro canto più alto
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