Domenica scorsa presso il museo diocesano di Mantova si è felicemente chiusa la mostra su Vincenzo I, Il fasto al potere, “ felicemente” è davvero il caso di dire, come quando si pone fine ad uno scandalo. Che di scandalo cristianamente si tratta, quando un museo diocesano rende l’omaggio di una mostra a un personaggio storico siffatto, celebrandolo come “ splendidissimo duca”, “ ammantato di sacralità”, in tutto “ il fasto di un principe dispiegato nella magnificenza dell’oro”.Si sorvoli pure sulla sua leggerezza omicida che pose fine all’esistenza terrena di lord Crichton, come così suggestivamente fa il filmato della mostra, sulle “spavalde scorribande …della sua prorompente vitalità”, né sarò io a scagliare la prima pietra sui suoi eccessi sessuali, talmente il Serenissimo può risultare in virtù di essi ancora più simpatico ai chierici curiali, “ così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano”, ma ciò che non taccio è la grazia di cui sovrabbondano le sue vittime più strazianti, in virtù di quanto egli ha provvidenzialmente peccato, come si compiace di giustificarlo un curatore blasfemo della mostra
Mi riferisco innanzitutto a Jonadith Fraschetta, ebrea di 77 anni, che il giorno 22 aprile 1600- quando Vincenzo I era nella pienezza dei suoi poteri sovrani e delle sue facoltà mentali- sulla piazza del Duomo di Mantova, venne bruciata viva per essere stata “ Striga, over per avere magliato molte persone in vita sua et specialmente una monaca dell’ordine di S. Vincenzo in Mantova la quale di già era ebrea e poi fatta cristiana...”, come riferisce la cronaca manoscritta di certo G.B. Virgilio, fattore rurale dei Gonzaga.
“Al quale spettacolo- riporta Antonino Bortolotti, colui che ritrovò negli Archivi di mantova e nel 1891 presso la Tipografia delle Mantellate pubblicò la cronaca in “ Martiri del libero pensiero”,- furono presenti il Duca,”- ossia il nostro Vincenzo I, per l’appunto-, “e la Duchessa di Mantova, Margherita duchessa di Ferrara e Anna Caterina arciduchessa d’Austria, venuta da Inspruk, oltre una straordinaria folla di curiosi”. “La qual Jonadith ebrea- seguita la cronaca originaria- legata con molte funi in piedi ad una colonna di legno sopra una gran quantità di legne, alle quali dopo di esser stato dato fuogo da tre ebrei che la confortavano, duvi ( due) se ne fuggirono et il terzo qual era vecchio et tanto intento al suo ufficio fu quasi per restar con essa lei nelle fiamme…Nel qual mentre si bruciò le funi colle quali aveva legato le mani; et con la mano destra si faceva difesa dal fogo alla faccia soffiando anco colla bocca, ma poco gli valse perché incontinente se ne caddi nelle fiamme et così fini la sua vita”
A tale misfatto fece seguito una grida del 1603, con la quale Vincenzo I invitava ogni uomo alla denuncia di persone che “ con malìe, stregonerie, incanti …e in altro modo malvagio o arte diabolica” provocavano danni frequenti ed atroci, promettendo non solo che il nome dell’accusatore non sarebbe stato rivelato, ma che a chi avesse fornito delle prove, tali da garantire almeno la tortura dell’imputato, sarebbe stato concesso il riscatto dal bando capitale o da altre eventuali pene a cui fosse stato condannato, oppure che ci avrebbe guadagnato del denaro.
E’ una sovrabbondanza di grazia che può risultare finanche eccessiva pure per le anime più arrese al “serenissimo” duca, se si rammemorano anche i sette ebrei che l’anno prima , agli inizi d’agosto del 1602, colpevoli di null’altro che di essersi fatti beffe del fanatismo predicatorio antigiudaico del frate francescano Bartolomeo Cambi, ci rimisero la vita, per permissione del duca, perché furono” appiccati tutti ad un’alta forca coi piedi in suso, e con le berrette gialle… con questa inscrittione in lettere maiuscole. “ Per haver schernita in derisione della Religione Christiana la parola di Dio”.
E lo stesso Vincenzo non seppe poi far di meglio, nel riguardo degli ebrei, che differire di rinchiuderli nel ghetto fino al 1610.
Non mi si dica, a tal punto, che copre i suoi peccati la grandissima fede dell’uomo, giacché in catalogo è degradata a “manifestazione vistosa ma incoerente e superficiale”. Forse occorre davvero arrendersi a ciò che lasciavano balenare ori e splendori, e rifarsi alla “magnifica liberalità “ pari a quella “ di un re” che lo guidava, nella istituzione di ordini religiosi e per i reliquari e cripte di cui fu generoso con la nostra Chiesa, per spiegare il rendimento di grazie, e l’ indulgenza, pressocchè plenaria, concessa ad un duca siffatto da una mostra così empia.
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