Otto bigliettini di Gino Baratta a commento di mie poesie d'un tempo.
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E’ bastato giorni or sono che mettessi mano alle mie antiche carte che tengo in un bauletto ch’è appena poco oltre l’ingresso della mia libreria, sotto il reliquario, tra altre scatole di reperti di viaggio, dei pochi cimeli che mi restano del mio caro Sumit, per ritrovare raccolti in una busta che mi aveva recato una missiva di Jean Starobinskij, sparsi al suo interno tra le altre buste di alcune lettere di Claudio Magris, ( “Caro Bergamaschi, grazie, custodirò molto volentieri il suo manoscritto nella bottiglia. Tante care cose”), i bigliettini che Gino Baratta mi trasmetteva sul fare delle lezioni, quando oltre trent’anni or sono fummo colleghi nello stesso Istituto scolastico, con su scritto il suo commento ai miei testi poetici che gli facevo vedere. Otto in tutto, non di più, su ritagli d’occasione, ma scritti con una grafia fine quanto l’acutezza e l attenzione prestatami, quale da nessun altro avrei più ricevuto.
In alcuni di essi era contenuta l’analisi di un semplice testo, preso in esame in se stesso, in altri Gino aveva inserito la disamina anatomica del mio componimento nella visione che si veniva facendo del decorso intertestuale della mia produzione poetica, per farmi presente quanto, secondo i suoi orientamenti critici, vi significasse o meno un avanzamento espressivo,.
Di tali "pizzini",vorrei pubblicarne inizialmente uno inerente una mia sola poesia, di cui allego il testo testo, per non complicarne la decifrazione con l’illustrazione di rinvii e rimandi Sta esso scritto sul retro dell’incarico conferito al sig. Prof. Baratta di supplire il prof. Sarzi Braga, in data 9 novembre 1983. Addì 8 novembre 1983.
E’ a commento di un mio componimento che ricorre nella edizione in rete della mia raccolta Acanti ed asfodeli , ma di cui il mio spirito critico ha poi accolto che vi figurasse solo se vi compariva quale una delle Esercitazioni che fanno seguito ai suoi componimenti essenziali, all’atto di un loro restauro selettivo del 1998.
In tale suo referto, più che recensione, attraverso una figura emblematica del componimento, l’”astrale bilancia”, Gino colse nella forma discorsiva implicita del componimento, l’interrogativo, la trama esistenziale che vi venivo esprimendo, e seppe individuare in Montale l autore di riferimento . Borges ora mi sembra di aggiungere, e Quevedo cui Gino rinvia con il suo cenno alle mie “agudezas”, insieme con la constatazione che c’è troppa lucidità discernente nelle parole costernate di allora, perché esprimessero davvero un discorso di tenebra. Nella versione originaria come ne La casa dei doganieri c’era un “addipana” cui fa e riferimento Gino, che ora ho corretto in sdipana
Quale vera Maat può soppesarti
Quale vera Maat può soppesarti
la coppa a propendere dell'astrale bilancia,
se questa tua cieca carne che dilacera e rantola,
o inerte il suo pugno di polvere.
Al volgere del fuso
gli occhi che ti tramano inesausti
con gli incubi i sogni,
certe solo la pena e le ansietà dell'ansito,
nessuna condanna inappellabile,
la tua carcerazione che così continua.
Il filo che si sdipana e ti conduce
e chi può rivelarti
se volge ad un'uscita celeste o a delle fetide fauci,
chi ti riconduce il ritorno della vela che vapora.
Così la tenebra ci fa complici del nostro destino,
e ci si inanella alla catena ininterrotta
o la si spezza e si soggioga.
E Giasone che tradisce Medea per lui fratricida,
e Teseo Arianna che fu sua complice anch'ella
contro il suo sangue,
saranno i gloriosi vincitori che fluttua la marea perenne.
Gino ne scrisse:
“Mi pare centrale l emblema : astrale bilancia. L’oscillazione delle domande, o, in ogni caso, un aut-aut che si pone quale indugio mi paiono precorsi da astrale bilancia. L’uscita celeste o il volgere alle fetide fauci ( con l interrogativo) stanno, incerti, sull’astrale bilancia.
Se un filo si addipana, non è per certezze o risposte; anzi, per consegnarsi alle contraddizioni del fato, per introdurre all’ambiguità di un rapporto: Giasone-Medea; Teseo-Arianna.
Complessivamente la struttura e le agudezas mi riportano a Montale: Soprattutto l ‘implicante interlocutorio: tua, ti.”
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E’ bastato giorni or sono che mettessi mano alle mie antiche carte che tengo in un bauletto ch’è appena poco oltre l’ingresso della mia libreria, sotto il reliquario, tra altre scatole di reperti di viaggio, dei pochi cimeli che mi restano del mio caro Sumit, per ritrovare raccolti in una busta che mi aveva recato una missiva di Jean Starobinskij, sparsi al suo interno tra le altre buste di alcune lettere di Claudio Magris, ( “Caro Bergamaschi, grazie, custodirò molto volentieri il suo manoscritto nella bottiglia. Tante care cose”), i bigliettini che Gino Baratta mi trasmetteva sul fare delle lezioni, quando oltre trent’anni or sono fummo colleghi nello stesso Istituto scolastico, con su scritto il suo commento ai miei testi poetici che gli facevo vedere. Otto in tutto, non di più, su ritagli d’occasione, ma scritti con una grafia fine quanto l’acutezza e l attenzione prestatami, quale da nessun altro avrei più ricevuto.
In alcuni di essi era contenuta l’analisi di un semplice testo, preso in esame in se stesso, in altri Gino aveva inserito la disamina anatomica del mio componimento nella visione che si veniva facendo del decorso intertestuale della mia produzione poetica, per farmi presente quanto, secondo i suoi orientamenti critici, vi significasse o meno un avanzamento espressivo,.
Di tali "pizzini",vorrei pubblicarne inizialmente uno inerente una mia sola poesia, di cui allego il testo testo, per non complicarne la decifrazione con l’illustrazione di rinvii e rimandi Sta esso scritto sul retro dell’incarico conferito al sig. Prof. Baratta di supplire il prof. Sarzi Braga, in data 9 novembre 1983. Addì 8 novembre 1983.
E’ a commento di un mio componimento che ricorre nella edizione in rete della mia raccolta Acanti ed asfodeli , ma di cui il mio spirito critico ha poi accolto che vi figurasse solo se vi compariva quale una delle Esercitazioni che fanno seguito ai suoi componimenti essenziali, all’atto di un loro restauro selettivo del 1998.
In tale suo referto, più che recensione, attraverso una figura emblematica del componimento, l’”astrale bilancia”, Gino colse nella forma discorsiva implicita del componimento, l’interrogativo, la trama esistenziale che vi venivo esprimendo, e seppe individuare in Montale l autore di riferimento . Borges ora mi sembra di aggiungere, e Quevedo cui Gino rinvia con il suo cenno alle mie “agudezas”, insieme con la constatazione che c’è troppa lucidità discernente nelle parole costernate di allora, perché esprimessero davvero un discorso di tenebra. Nella versione originaria come ne La casa dei doganieri c’era un “addipana” cui fa e riferimento Gino, che ora ho corretto in sdipana
Quale vera Maat può soppesarti
Quale vera Maat può soppesarti
la coppa a propendere dell'astrale bilancia,
se questa tua cieca carne che dilacera e rantola,
o inerte il suo pugno di polvere.
Al volgere del fuso
gli occhi che ti tramano inesausti
con gli incubi i sogni,
certe solo la pena e le ansietà dell'ansito,
nessuna condanna inappellabile,
la tua carcerazione che così continua.
Il filo che si sdipana e ti conduce
e chi può rivelarti
se volge ad un'uscita celeste o a delle fetide fauci,
chi ti riconduce il ritorno della vela che vapora.
Così la tenebra ci fa complici del nostro destino,
e ci si inanella alla catena ininterrotta
o la si spezza e si soggioga.
E Giasone che tradisce Medea per lui fratricida,
e Teseo Arianna che fu sua complice anch'ella
contro il suo sangue,
saranno i gloriosi vincitori che fluttua la marea perenne.
Gino ne scrisse:
“Mi pare centrale l emblema : astrale bilancia. L’oscillazione delle domande, o, in ogni caso, un aut-aut che si pone quale indugio mi paiono precorsi da astrale bilancia. L’uscita celeste o il volgere alle fetide fauci ( con l interrogativo) stanno, incerti, sull’astrale bilancia.
Se un filo si addipana, non è per certezze o risposte; anzi, per consegnarsi alle contraddizioni del fato, per introdurre all’ambiguità di un rapporto: Giasone-Medea; Teseo-Arianna.
Complessivamente la struttura e le agudezas mi riportano a Montale: Soprattutto l ‘implicante interlocutorio: tua, ti.”
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