Un terzo bigliettino di Gino Baratta
Un terzo bigliettino di Gino Baratta
Questo bigliettino è l unico di quelli rimastimi che riguarda un racconto, “ La festa nuziale”, che con “ La fiera di paese” ed “ Il giardino pubblico” compone una sorta di trittico iniziatico della mia narrativa.
Gino ne ebbe a rilevare innanzitutto lo stile espressionistico, che egli ricollegò a Gianfranco Contini, mi è difficile tuttora intendere se citandolo quale critico diagnostico o quale autore per me esemplare, nell'esercizio appunto di una scrittura espressionistica
In realtà con Gadda e Longhi al vertice di una Trimurti del mio Super-Io, tra gli autori in prosa del Novecento italiano Contini, era ed è tuttora il mio nume tutelare letterario,,ma ne indossavo i panni mentali solo quando io stesso assumevo le vesti di critico.
Gino ritenne invece che la forma linguistica della mia prosa narrativa risalisse agli anni trenta, a Delfini o a Landolfi, mentre rinvenne una reminiscenza di Attilio Bertolucci nella ricorrenza di "arca" entro il sintagma “ arca immane di quanta gente”.
Ora io direi che Gino si rifece esattamente agli scrittori nel cui calco letterario mi muovevo, solo che nel racconto la voce narrante in prima persona era l ‘Io di un poeta colto e marginale, che avvertiva goffa la ricercatezza della sua diversità in seno al popolo rustico dei suoi compaesani, di cui purtuttavia ,in un empito populistico intensamente sabiano, avrebbe vorrebbe essere parte sino a confondersi fisiologicamente con la sua natura plebea, il che al termine gli è consentito felicemente solo dall’ebbrezza del vino, quando l'ha vinta sulla sua lucidità critica divaricatrice. E di quei tempi l'Io letterario la cui assimilazione ( che facendomi io sua voce), poteva propiziare la mia immedesimazione espressiva con tale personaggio, tra i due citati da Gino era solo quello di Delfini, mentre nella letteratura straniera per me aveva assunto tale evocatività il grande Robert Walser.
Tommaso Landolfi fu certo voce di scrittore per me determinante, ma la facevo mia quando avevo da impersonare altre identità letterarie, più elegantemente attillate, e meno atticciate, che non quella di un poeta balzano agli occhi del mondo, allorché, ad esempio, mi attempavo in un signore urbano d’altri tempi, cerebrale nella sua sentimentalità.
Nel seguito delle annotazioni l’interesse di Gino era quindi calamitato dai modi di tale scrittura espressionistica, dal senso del ricorso in essa dello esclamativo: segnava forse la temperatura di uno slancio effettivamente esuberante, o comunque quella più febbrile di un farsi forza, entro un andamento musicale-narrativo del racconto che era per lui costituito da un preludio di incoraggiamento, un primo movimento in crescendo e da un ulteriore in diminuendo,in corrispondenza con il decorso dello spirito d’adesione alla festa del poeta, al venir meno del quale scemavano gli stessi esclamativi. Di tale involversi della vitalità festosa del poeta, per effetto delle variazioni in una tonalità negativa delle fluttuazioni stesse della sua consapevolezza riflessiva, per Gino era emblematico che accanto a un Viva Bacco, mozartiano, al poeta fosse irrefrenabile l'erompere in un Viva Bachtin, che era una cifra dell'ostentazione per lui irrinunciabile del proprio addottoramento, a certificazione, invece con ciò, più di una insicurezza quanto al proprio proprio valore che di una rassicurazione in merito. Ed in sintonia Gino registrava , a compimento di nota, il trasformarsi del melodramma del movimento in crescendo nel melodrammatico della riflessività “ del noster poeta" ch'era al suo cospetto alla consegna del biglietto. Peccato, era allora il mio cruccio, che per la sua avversione per il melodramma quanto per il mondo dello sport, Gino non potesse avvertirvi di quante citazioni volessi dilettarvi il gusto del melomane, con quell'" Ecco l Ebe che versa", ad esempio, che nella sua bislaccheria la mia memoria canora aveva desunto dalla stessa Traviata. (Gastone E tu dunque non apri più bocca? (ad Alfredo) Marchese È a madama che scuoterlo tocca... (a Violetta) Violetta Sarò l'Ebe che versa).
Questo bigliettino è l unico di quelli rimastimi che riguarda un racconto, “ La festa nuziale”, che con “ La fiera di paese” ed “ Il giardino pubblico” compone una sorta di trittico iniziatico della mia narrativa.
Gino ne ebbe a rilevare innanzitutto lo stile espressionistico, che egli ricollegò a Gianfranco Contini, mi è difficile tuttora intendere se citandolo quale critico diagnostico o quale autore per me esemplare, nell'esercizio appunto di una scrittura espressionistica
In realtà con Gadda e Longhi al vertice di una Trimurti del mio Super-Io, tra gli autori in prosa del Novecento italiano Contini, era ed è tuttora il mio nume tutelare letterario,,ma ne indossavo i panni mentali solo quando io stesso assumevo le vesti di critico.
Gino ritenne invece che la forma linguistica della mia prosa narrativa risalisse agli anni trenta, a Delfini o a Landolfi, mentre rinvenne una reminiscenza di Attilio Bertolucci nella ricorrenza di "arca" entro il sintagma “ arca immane di quanta gente”.
Ora io direi che Gino si rifece esattamente agli scrittori nel cui calco letterario mi muovevo, solo che nel racconto la voce narrante in prima persona era l ‘Io di un poeta colto e marginale, che avvertiva goffa la ricercatezza della sua diversità in seno al popolo rustico dei suoi compaesani, di cui purtuttavia ,in un empito populistico intensamente sabiano, avrebbe vorrebbe essere parte sino a confondersi fisiologicamente con la sua natura plebea, il che al termine gli è consentito felicemente solo dall’ebbrezza del vino, quando l'ha vinta sulla sua lucidità critica divaricatrice. E di quei tempi l'Io letterario la cui assimilazione ( che facendomi io sua voce), poteva propiziare la mia immedesimazione espressiva con tale personaggio, tra i due citati da Gino era solo quello di Delfini, mentre nella letteratura straniera per me aveva assunto tale evocatività il grande Robert Walser.
Tommaso Landolfi fu certo voce di scrittore per me determinante, ma la facevo mia quando avevo da impersonare altre identità letterarie, più elegantemente attillate, e meno atticciate, che non quella di un poeta balzano agli occhi del mondo, allorché, ad esempio, mi attempavo in un signore urbano d’altri tempi, cerebrale nella sua sentimentalità.
Nel seguito delle annotazioni l’interesse di Gino era quindi calamitato dai modi di tale scrittura espressionistica, dal senso del ricorso in essa dello esclamativo: segnava forse la temperatura di uno slancio effettivamente esuberante, o comunque quella più febbrile di un farsi forza, entro un andamento musicale-narrativo del racconto che era per lui costituito da un preludio di incoraggiamento, un primo movimento in crescendo e da un ulteriore in diminuendo,in corrispondenza con il decorso dello spirito d’adesione alla festa del poeta, al venir meno del quale scemavano gli stessi esclamativi. Di tale involversi della vitalità festosa del poeta, per effetto delle variazioni in una tonalità negativa delle fluttuazioni stesse della sua consapevolezza riflessiva, per Gino era emblematico che accanto a un Viva Bacco, mozartiano, al poeta fosse irrefrenabile l'erompere in un Viva Bachtin, che era una cifra dell'ostentazione per lui irrinunciabile del proprio addottoramento, a certificazione, invece con ciò, più di una insicurezza quanto al proprio proprio valore che di una rassicurazione in merito. Ed in sintonia Gino registrava , a compimento di nota, il trasformarsi del melodramma del movimento in crescendo nel melodrammatico della riflessività “ del noster poeta" ch'era al suo cospetto alla consegna del biglietto. Peccato, era allora il mio cruccio, che per la sua avversione per il melodramma quanto per il mondo dello sport, Gino non potesse avvertirvi di quante citazioni volessi dilettarvi il gusto del melomane, con quell'" Ecco l Ebe che versa", ad esempio, che nella sua bislaccheria la mia memoria canora aveva desunto dalla stessa Traviata. (Gastone E tu dunque non apri più bocca? (ad Alfredo) Marchese È a madama che scuoterlo tocca... (a Violetta) Violetta Sarò l'Ebe che versa).
Espressionismo ( Contini)
Anni trenta- da Delfini a Landolfi-area da Bertolucci
Anni trenta- da Delfini a Landolfi-area da Bertolucci
La cifra in esclamativo cresce e cala = segna una temperatura? Prima (il protagonista) ha bisogno di un incoraggia-mento – poi cresce su di sé e quindi cala sempre su di sé
Il melodramma avvia al melodrammatico della riflessione del noster poeta.
Compare Bachtin-in metacoscienza ( - se porco- la plastica- le bibite- più che vino)
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