Estate 2017
Se in Italia ora me ne sto tutto il giorno chiuso in casa e non ho voglia di uscirne che per necessità impellenti, una delle ragioni snervanti, più che il gran caldo, è che giunto oramai alla fase terminale della mia esistenza, mi deprime incontrarmi per strada con conoscenti ed amici cui nulla interessi di quel che penso o che sento, quale sia la mia vita sensibile e mentale, ma ben attenti a quanto sia più grasso o decrepito. Né mi va di sentire levarsi nel dibattito la veemenza di chi suppone che chi è avversario o nemico è tale perché è un cretino, fascista o leghista o penta stellato o piddino che sia, e che contro lo jus soli ci sia ancora chi invoca che le colpe dei padri debbano ricadere sui figli , o quelle del forestiero che delinque su chiunque sia ancora straniero in Italia, escludendolo dalla cittadinanza italiana benché in Italia sia nato, ne frequenti le scuole e ne parli la lingua nazionale. Tanto meno mi vanno i panem et circenses estivi di una classe politica che non riesce ad allestire che ciò sa e conosce, nella sua formazione politica cresciuta anziché su poeti, letterati, economisti, filosofi e sociologi, su tutto quanto fa intrattenimento e spettacolo, è parola e musica di cantautori, o mossa o finta di un calciatore.
E a sinistra e a destra, da amministratore o funzionario di stato, favoleggia la via Emilia perché è stata la via di congiungimento degli astri di Zucchero, del Liga, di Vasco Rossi, con quello maggiore di Francesco Guccini, nulla sapendone di quelli artistici di Attilio Bertolucci, Silvio d'Arzo, Pier Vittorio Tondelli, Antonio Delfini, Walter Siti e via continuando. E quanto al bread and circuses imbanditi in loco, non serve allettarmi con i luoghi comuni e gli equivoci (vedasi in merito Scansani Stefano) del mito artefatto di una cucina di principi e popolo, o che , pur di allestire appeasements di richiamo e successo da fare invidia a quelli areniani, da Seamus Heaney si sia approdati ad Elton John, prima di Sting, per la modica cifra minima di 95 euro a cranio, se in ascolto del baronetto non si è dei Vip.
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Mantova, 10 agosto 2017
Quanto all’operazione
di inviare nostre navi da guerra
anche nelle acque territoriali libiche affinché sostengano la guardia costiera
di Tripoli nel contrasto ai trafficanti di uomini, e nel rimpatrio al contempo di migranti e
richiedenti asilo che siano in fuga dalla Libia, non può acquietarci il consenso all’impresa e l’opposizione ad
essa solo di facciata, che con la sola eccezione effettiva di Sinistra Italiana-Possibile, hanno espresso tutti i nostri partiti e
movimenti politici parlamentari, non che la generalità dei media nel loro procedere di
conserva, i cui editorialisti sono stati pressoché unanimi nel ridurre ciò che sta avvenendo a
schermaglie tra un governo italiano intenzionato
a far finire una buona volta per tutte l’arrivo sulle nostre coste di migranti
dall’Africa, e ong, organizzazioni non governative, che con il loro umanitarismo ne pregiudicherebbero
l’efficacia del respingimento. L’unanimismo di tale” percettibile sintonia di
fondo”( Paolo Mieli) tra Pd, Cinque
Stelle, Lega e Forza Italia, in realtà sta sortendo l’effetto di una grande cecità quanto alla barbarie che di tale
impresa si sottace, così come prenderebbe fatalmente corpo
con la riconsegna alle vedette libiche
dei migranti che saranno intercettati dalle nostre navi, un orrore a venire che con le più avvertite organizzazioni
cattoliche e protestanti hanno vigorosamente
denunciato soprattutto Amnesty International ed il Manifesto. E’un
respingimento che reinternando i migranti in uno Stato che non riconosce la
Convenzione di Ginevra sui diritti umani, (sicché nel febbraio 2012, come ha
ricordato Barbara Spinelli sul Manifesto, la Corte europea dei diritti
dell’uomo ha affermato che il trasferimento di rifugiati verso la Libia viola l’articolo
3 di tale convenzione), li riavvierebbe all’inferno dei
lager libici da cui molto di loro si sarebbero
illusi di essersi sottratti, un inferno di torture, di sevizie, di stupri,
di uccisioni, secondo testimonianze
inoppugnabili, in cui i migranti internati possono essere rivenduti come schiavi
o riconsegnati come ostaggi, se non riciclati agli stessi scafisti, ammucchiati,
un corpo sull’altro, nell’ immondezzaio di escrementi quale giaciglio comune. E la soddisfazione istituzionale di Gentiloni e
Minniti, dello stesso presidente Mattarella, di Renzi ed Alfano all’unisono, quanto
degli opinionisti delle nostre opposte estreme destre e della borghesia grigia del Corriere, perché finalmente, bontà divina, si
registra una diminuzione di sbarchi di migranti sulle nostre coste, dovrebbe quanto meno chiedersi come mai essa è
già avvenuta, se perché sono calate le
partenze di migranti dai paesi sub
sahariani, oppure per quello che di loro
ne hanno fatto le tribù del Fezzan al confine tra il Niger e la Libia, o durante
l’ attraversamento più a Nord intentato dai migranti del deserto libico, dopo
le intese raggiunte tra tali tribù di cui a Roma il 31 marzo scorso si è fatto
garante il governo Gentiloni. Forse che la morte di migliaia di emigranti è meno
tragica, se anziché per acqua , nel nostro Mediterraneo, avviene per sterminio
in un entroterra libico di carceri e sabbia ?
Bergamaschi Odorico
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L'este che la nonna diventò una puttana
A. Roy
Mi spiace, per certe anime cortesi mantovane, ma quando in discussione non sono gli spacciatori o chi delinque facendo violenza o rubando, ma gli stranieri che incutono paura ed avversione per il solo loro aspetto, perché per il solo fatto di starsene senza far niente "fanno cattiva mostra di sé", quando basta che una siringa con del sangue sia ritrovata per terra o che avvenga un minimo screzio o alterco tra migranti e autoctoni perchè il fatto finisca in prima pagina come un evento, che uno dorma su di una panchina perché lo si debba espellere immediatamente,- guai, allora, anche a fare ancora un picnic sull’erba?-, a tal punto il problema non sono tanto gli stranieri ma chi nutre certe fobie ossessive, che in termini clinici si chiamano disturbi paranoidi di personalità, in termini politici odio razziale o razzismo tout court. E i giornali che alimentano queste sindromi, anziché porle sotto razionale controllo, se ne rendono corresponsabili. Quando come nella Delhi della shining, risplendente India, dello scorso decennio, i poveri e i balordi vengono cacciati altrove, senza sapere dove, per il decoro urbano di una città che non vuole recare più tracce del dolore e della miseria del mondo, e si imbelletta e si rifa il trucco, ammantata che sia di Daspo o di dichiarazioni quali quelle di un alto giudice della Corte suprema indiana “«Chi non può permettersi di vivere in una metropoli non dovrebbe venirci», beh si merita proprio quello che Arundhati Roy ha scritto della sua e mia amatissima Delhi” “Era l’estate in cui la Nonna divenne una puttana".
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Sui megaconcerti in Piazza Sordello
I mega-eventi dei concerti di pop star in
Piazza Sordello, e magari in un futuro prossimo anche nel Palazzo Te, per non porre un limite all’imprevidenza, sono a mio avviso un classico esempio di come tutto ciò che fa
turismo e spettacolo può prevaricare su ciò che è arte e cultura, riducendolo
come Piazza Sordello a mero contenitore a rischio di siffatte
prestazioni. E per l’auge di quali grandi artisti, poi,
se li misuriamo con il metro del riguardo e del rispetto che hanno
espresso per tale splendido scenario? La Nannini lo definì delle vecchie pietre
insignificanti, il baronetto Elton ha disdegnato il privilegio di visitare la
Camera Picta in aurea solitudine. Alvaro Soler almeno è andato a vedersi il Palazzo
Te, il bravo giovine ha pur anche interagito con la nostra cittadinanza. Ben
altra cosa in piazza Sordello fu a suo tempo l’allestimento
dell’Orlando
furioso di Luca Ronconi, durante il quale spettatori, e messinscena e piazza, erano
coinvolti nel fiabesco intreccio di un gioco incantevole. In tali eventi rock,
stando a immagini e video, Piazza
Sordello non è che un abbuiantesi
fondale assordato. Ha dunque ragioni da vendere Paola Bulbarelli, dell’opposizione,
quando sostiene che l’allestirli altrove, tali strepitosi
eventi, avrebbe reso possibili più afflusso ed incasso, senza pregiudicare il
nostro patrimonio artistico e consentendo agli spettatori di posare con più
agio a sedere su gradinate ed erba, anziché avere da tripudiare su di un duro pavé lastricato di
ciotoli, esonerandoli, oltretutto, dal volgere il proprio augusto retro di Vip al
Duomo di Mantova, come con i selfie il turismo ovunque lo volge alle opere
d'arte. E tali concerti che a cranio
possono costare come minimo 95 euro d'ingresso, a pro di chi vanno, briciole a
parte, se non, oltre che dei baronetti
Elton e delle loro bands, di chi in Mantova, e fuori di Mantova, è già popolo ben pasciuto e grasso?
Odorico Bergamaschi
Insegnante ora in quiescenza
Mantova, piazza d’Arco 6/f
0376 360396
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-Era l’anno 1470, il 22 ottobre, ed il marchese Ludovico II( Gonzaga )aveva di che dolersi che il rivestimento pittorico della Camera Picta da parte del Mantegna che aveva iniziato l opera ben otto anni addietro, fosse stato portato a termine solo per metà, nella sola parete settentrionale in cui aveva affrescato la scena della corte. Restava ancora da dipingere la parete ovest, in cui avrebbe dovuto figurare l’evento dal cui accadimento erano ugualmente trascorsi oramai 8 anni, l’incontro , a Bozzolo, avvenuto il 1 gennaio del 1462, dello stesso Ludovico II con il secondogenito Francesco , reduce da Milano fresco della nomina cardinalizia conferitagli il 18 dicembre 1461 , e di cui era andato a gratificarvi gli Sforza per gli uffici interposti. L’evento, da cui forse ebbe origine l’ideazione stessa della Camera Picta, sanciva la legittimazione da parte del papato dell’autorità e del potestà dei Gonzaga sui territori del proprio stato, della cui sublimazione in una temporalità umanistica la scena di corte è la celebrazione evocativa, quale che sia l’evento a cui allude. L incontro di Bozzolo preludeva ad una investitura dei Gonzaga della stessa autorità religiosa sulla città, con la nomina di Francesco a vescovo di Mantova nel 1466, dopo esserlo stato di Bressanone. Ma era un accadimento oramai stagionatosi agli inizi degli anni Settanta del Quattrocento e smuovere il pennello del Mantegna e a sollecitare la ripresa del progetto originario cadde a proposito l’occorrenza di un evento analogo al suo precedente di Bozzolo, e di esso più ancora elettivo e mirabile, perché faceva seguito alla nomina dello stesso Francesco a legato in Bologna nel 1471. Trattasi dell’incontro con Francesco che ebbe sempre lo stesso Ludovico II, in Bondanello sul Secchia, il 22 agosto 1472, di cui parla la Cronaca di Mantova dal 1455 al 1484 dello Schivenoglia. Tale incontro aveva rinverdito e altresì implementato quello di Bozzolo, in virtù della maggiore pienezza di poteri religiosi di cui si vi salutava il conferimento a un Francesco Gonzaga non più solo diciassettenne, come ai tempi della nomina cardinalizia. Tutto ciò consentiva di aggiornare la ripresa del vecchio soggetto nella messinscena dell’incontro di Bondanello, con l’inserimento in esso, che vi siano stati realmente presenti o meno, dei componenti in più tenera età della famiglia gonzaghesca, come Rodolfo Signorini ci ha consentito di identificarli, insieme agli altri personaggi inscenati E’ il caso del fratello minore di Francesco Gonzaga, Ludovico , che gli tiene una mano, raffigurato come già ragazzo, mentre all’ epoca dell incontro di Bozzolo aveva solo un anno. Egli subentrerà a Francesco quale vescovo di Mantova, e nella scena dell incontro di Bondanello senza alcun anacronismo prolettico appare già nelle vesti di protonotario apostolico , il titolo che gli aveva appena garantito il fratello cardinale. Insieme a Ludovico possono fare la loro comparsa l’ancor più infantile Sigismondo, nato nel 1469 e figlio secondogenito di Federico, il futuro terzo marchese di Mantova, pertanto non solo nipote di Ludovico che ne tiene la manina che gli porge, ma predestinato ad una carriera ecclesiastica che ne farà il successore quale vescovo di Mantova, dal 1511, dopo essere stato nominato ugualmente cardinale nel 1506, non che Francesco futuro quarto marchese di Mantova, posto accanto a Ludovico II, due fanciulli, Sigismondo e Francesco, che all’epoca dell’incontro di Bozzolo non erano ancora nati. La realizzazione dell’affresco si protrasse fino al 1474, anno in cui la permanenza nei territori gonzagheschi sia di re Cristiano I di Danimarca ( cognato di Ludovico II, in quanto aveva sposato Dorotea di Brandeburgo, sorella di Barbara moglie del marchese di Mantova)-in tale circostanza ebbe a insignire Ludovico II dell’Ordine dell’Elefante-, che di Federico III imperatore, impegnatosi a suo tempo per l’elezione a cardinale di Francesco Gonzaga, diede l’occasione al Mantegna di effigiarli a coronamento dell’ investitura universale del potere politico e religioso dei Gonzaga in Mantova, come a sottolineare il legame con l'impero e il vanto per la parentela regale.
Così desumo e presumo che siano andate le cose, in concordanza con il Crowe, il Cavalcaselle ( 1871) e l’ Yriarte( 1901), ma così non vuole che si siano svolte la tradizione interpretativa poi invalsa, che nella scena dell’incontro vuole che risulti rappresentato quello di Bozzolo, con tutti gli anacronismi del caso che ne risultano, a iniziare dalla presentazione di Francesco nel suo pieno rigoglio di adulto, mentre all’epoca dell incontro di Bozzolo non era ancora ventenne, e via seguitando per ogni personaggio inscenato. Lo stesso Ludovico II appare più solcato di rughe nel cipiglio della fronte, e agli occhi, e l’orecchio ne risulta più floscio, che nell’episodio antecedente della scena di corte, pressocché coevo dell’incontro anteriore in Bozzolo. A tal punto sarebbe davvero dirimente sapere se l’investitura a legato in Bologna pontificio spieghi la tunica cilestrina di Francesco, già cardinale e vescovo, o la mantellina purpurea che vi è sovrapposta. Le mie interpretazioni così delucidate sono pur sempre solo fondate congetture. Ai critici d’arte di me più emeriti confermarle o smentirle riaprendo il dibattito.
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Sullo Jus Culturae
demografico irreversibile della
popolazione europea, per l incremento di quella asiatica ed africana, da cui
dovranno giungere i nuovi lavoratori e i nuovi cittadini delle nostre comunità
, cristiani e in massima parte islamici, che lo siano perché credenti o per
identità religiosa, al punto che nel 2050 la popolazione europea si prevede che
sarà per metà cristiana e per metà musulmana. Sono solo esorcismi vani
securitari i blocchi degli sbarchi, gli ostracismi volti a impedire che abbiano
voce ed espressione genti d’altre culture e religioni, in particolare gli
islamici, con scritti ad esso ostili spesso solo diversamente antisemiti. A
nulla serve, per metterne al bando i musulmani, ricercare nel Corano le sure
più ostili agli infedeli, è un vano esercizio quanto la ricerca, da parte dei jiadishti
islamici, dei passi non meno sanguinari che di certo sono presenti nella
Bibbia, almeno nell’Antico Testamento. Non è la lettera che determina la
lettura quanto gli intenti del cuore, come le circostanze e i tempi lo inducono
a credere. Non è una presunta
islamizzazione dell’Occidente che sta
svuotando le chiese, mettendone in crisi miti, riti e misteri, quanto
l’avanzata della modernità e del libero pensiero critico, che ove si diffonde
sta facendo rovinare l’assetto teologico-politico tradizionale di ogni
religione. Ducunt volentem fatum, nolentem trahunt, Il fato conduce colui che
vuole lasciarsi guidare , trascina colui che non vuole, dicevano gli antichi
stoici: il che non significa sottomissione o assimilazione preveniente, ma
proprio per evitare tale dilemma, con lungimiranza creare le condizioni
migliori per una convivenza degli uni con gli altri, che sia di illuminante
fecondazione reciproca .La tensione a riguardo si sta arroventando ora in
Italia intorno allo jus soli, in una sua forma temperata che ne fa uno jus
culturale. E’ la forma primaria di integrazione universale cui si guarda in
Italia da gran tempo, che si prevede per tutti i ragazzi di origine straniera
che sono nati o giunti da bambini nel nostro paese e vi vivono, ne parlano la
lingua, ne frequentano le scuole, di cui i genitori vi soggiornano
regolarmente, con permesso permanente o di lungo periodo. Si dimentica da parte
degli oppositori ostili ai musulmani perché ritengono che non siano integrabili
nei nostri ordinamenti, che il Paese che secondo la stessa Oriana Fallaci meno
dell’Europa avrebbe da temere di finire sotto il tallone dell’Islam, ossia gli
Usa, ha uno jus soli assoluto, e che i musulmani residenti sul suo territorio
vi sono talmente integrati che attualmente il 52% approva le stesse nozze di
Lgbt. Quanto ai giovani musulmani che vivono in Italia, di seconda o terza
generazione, la frequentazione delle nostre scuole e della nostra civiltà nelle
sue forme umanizzanti, ha consentito che sempre più si estranino dalla
mentalità integralista e antioccidentale dei loro genitori, che il
fondamentalismo attecchisca tra di loro sempre di meno E’ negando loro la
possibilità di sviluppare appieno il proprio senso di appartenenza alla nostra
comunità, che li si lascerebbe invece più esposti, come estranei non voluti,
proprio a quelle identificazioni con l’ integralismo terroristico che si
paventano tanto, ( (anche a chiamare in causa il nichilismo che si radicalizza
in islamismo, risulta flagrante che la reale disattivazione di ogni forma di
nichilismo è la umanizzazione integrale della nostra società, in cui consiste
la sua reale cristianizzazione). Se poi si considera storicamente quale
pericolo di fatto abbia rappresentato per i nostri interessi nazionali l’
insediamento dei mussulmani in Italia, è da rilevare che da decenni non si
verifica sul nostro territorio alcun attentato di matrice islamica, dopo quello
di Fiumicino del lontano 1985, tra l’altro di matrice esterna e quanto mai
dubbia, né si ha notizia di conversioni forzate, sul nostro suolo, di persone
esterne alle famiglie già islamiche, mentre sono milioni nel mondo gli islamici
che si convertono ogni anno al cristianesimo. La mancata applicazione dello jus
soli, estendendosi a tutti i ragazzi stranieri che vivono in Italia, inoltre non solo aggiungerebbe discriminazione a
discriminazione per chi in Italia è di fede islamica, dato che al tempo stesso
si seguita a negare piena libertà di culto, primariamente a molti dei 1.200.000
musulmani residenti in Italia che sono nostri concittadini, in violazione degli
articoli 19 e 20 della nostra Costituzione. Accadrebbe, altresì, che pur di
negare la possibilità di integrarsi grazie allo jus soli ai ragazzi islamici
cresciuti in Italia, i quali secondo una rilevazione statistica recente della
Fondazione Leone Moressa non sono più del 38,4% degli aventi diritto, non si
concederebbe tale facoltà al 44% di bambini di origine straniera che sono di
fede cristiana come ai figli di indiani o di cinesi o di sudamericani di varia
appartenenza religiosa. Supporre altresì, che islamiche o cristiane che siano,
le donne d’Africa indigenti pur di fare figli italianizzati con lo jus soli sia
disposte a traversare per mesi e mesi , se non anni, deserti che sono covi di
assassini, a rischiare di finire schiave o stuprate in lager quali quelli
libici, o la morte per acqua di imbarchi
clandestini, significa ignorare con il senso della legge dello jus quello della
realtà e della umanità. Temere poi che così si dia la cittadinanza italiana a
nuove leve di violenti stranieri, è l’azzardo di ogni razzializzazione della
violenza, che se consideriamo quella sessuale,
può facilmente esserci ritorta contro, se si considera che solo il 7% degli stupri
commessi in Italia finiscono denunciati , che sono consumati preminentemente
tra le mura domestiche, e che spesso
vedono coinvolti chi più di altri dovrebbe esserne alieno. Queste sono
le ragioni per le quali lo jus soli è una legge giusta in teoria quanto di
fatto, la più forte e lungimirante misura di sicurezza protettiva che si può
adottare oggi e in futuro, rispetto a tali nuovi italiani per formazione,
sempre che si abbia fede e fiducia nelle ragioni espansive della nostra civiltà
e delle sue credenze religiose, e nelle capacità superiori di intelligence e di
discernimento delle nostre autorità e forze dell’ordine.
Odorico Bergamaschi
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Quanto alle vicende giudiziarie del nostro Sindaco,
l'affare Palazzi,
credo che la massima prudenza e discrezione siano d'obbligo
per ciascuno di noi. Se gli avversari del nostro valente Sindaco, non la
cittadinanza di certo, hanno modo di compiacersene fregandosi ambo le mani,
magari con le affettuosita' del caso rivolte "al nostro Mattia",
persuasi che sia oramai in loro balia o volga alla fine, lo facciano tenendo
ben presente quanti di loro, se non loro stessi, possono essere caduti in concussioni
simili a quelle che Palazzi e' accusato di avere solo tentato, o non vi sono
incorsi solo per merito dell'altrui resistenza, vuoi nella loro attivita'
professionale oppure nell'esercizio del loro mandato, purtuttavia essi finora
facendola ripetutamente franca.
Invece le anime timorate che trovano
inconcepibile la cosa ricordino che in situazioni sdrucciolevoli del genere tanto un si'
quanto un no possono valere come l'espressione di un ricatto, e che non tutti
siamo venuti al mondo tiepidi e votivi nella nostra carne. Se sono giustamente
dure le sanzioni per chi compie certi crimini e reati di natura sessuale, e'
perché e' di una forza dura a domarsi tale meraviglioso appetito tremendo che
abbiamo nel sangue. Omnia vincit Amor, sempre che sia Amore quanto potrebbe
disvelare quel memento del Sindaco, per la presunta vittima, che
un'associazione quale la sua va avanti solo con il proprio consenso, e che lei
deve dunque attenersi alle regole di cui gia' ben sa il tenore, un'avvertenza,
pruriginosa o deontologica che sia, in cui non vorrei avvertire un certo che di
Scarpia, e che non vedo come sia tranquillamente derubricabile a questione
privata. Venendo cosi' ai supporters o fans a spada tratta del nostro Sindaco,
trovo francamente inopportuna, se non inopinata, la fede che ripongono
nell'impeccabilita' e infallibilita' dell'uomo, nella sua natura integerrima
che non può avere compiuto nulla del genere, tale sorta di culto dei santi,
d'altri tempi, che essi professano nella persona del nostro Sindaco. Tali
attestati di stima temo siano in realtà una sorta di camicia di Nesso, pronta
ad infuocarsi nel rigetto e nell'anatema, nella ripulsa e nella damnatio
memoriae che si fa terra bruciata intorno al reprobo, la sua messa al bando, se
le convinzioni innocentiste di molti di tali sostenitori si rivelassero
infondate al riscontro processuale dei fatti; quando, pur se venisse appurato
che Palazzi non sia stato al di sopra di ogni sospetto e che non abbia saputo
resistere al tentativo di estorcere favori sessuali, egli resterebbe comunque
un uomo degno assolutamente di stima nelle nostre considerazioni e relazioni.
Resterebbe in ogni caso indelebile quanto di buono e di eccellente ha fatto per
la nostra citta', tutto il suo lascito amministrativo, con la profusione di un
impegno davvero ammirevole, insieme con i suoi limiti innegabili e indisponenti
, quali la graniticita' delle certezze di ogni sua giravolta politica,
altrettanto supponente e presuntuosa quanto refrattaria ad ogni critica, e
nessuno di chi lo frequenta o conosce, di chi ha creduto nel suo operato e ne
e' stato al seguito, avrebbe motivo di negargli il rispetto, il saluto, la
frequentazione o l'amicizia.
Odorico Bergamaschi.
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E’ un gran bene per Palazzi e per la nostra città, che la sua vicenda giudiziale sia per ora finita con un luogo a procedere, che nulla di questa vicenda giustifichi che non gli si rinnovi la fiducia nel voto amministrativo, stando alle conclusioni concordi della Procura e dei Carabinieri,.E’ ad esse tutte quante che voglio attenermi, di fronte alla reazione a propria difesa della casta mediatico-politica che si e’ scatenata di conseguenza, per cui si e’ passati da una sguaiataggine colpevolista ad una sguaiataggine innocentista non meno riprovevole, a copertura del fatto che in termini extragiudiziali non c’e nessuno delle parti in causa che non ne sia uscito con le ossa bastantemente rotte,.e che in quel che e’accaduto non ci abbia messo abbondantemente del suo.
Ora la bufera si addensa sul capo di Giuliano Longfils, per l’ intervento disinformato di un Enrico Mentana quanto mai sopra le righe, a ruota di quello di un Pierluigi Battista indignato come non mai, ai quali ha fatto seguito quello di Paola Bulbarelli dettato nella sua tempistica soprattutto dalla convenienza a smarcarsi politicamente. In realtà la condotta di Longfils non e’stata affatto grillina ma di ispirazione angloamericana, come lo e’ la sua formazione culturale e politica, ed e’stata altrettanto subdola e infida quanto formalmente corretta ed ineccepibile.
Colpevole o innocente che fosse il sindaco Palazzi, il suo esposto giudiziario ne era già un impallinamento, e un sindaco dimezzato ad anitra zoppa e costretto a dimettersi per difendersi meglio era quanto Longfils si prefiggeva, come ingenuamente ha sventagliato anche in latino Ma e’ arduo ipotizzare che potesse agire diversamente, solo che avesse avuto un diverso modo di intendere che cosa significhi in politica essere un uomo d’onore nei confronti dei propri avversari, e sostenere che quanto di scottante era venuto in suo possesso avrebbe potuto rimetterlo al diretto interessato perchè mettesse giudizio, cosi risparmiandoci tutto quanto ne e’ seguito, di cui avremmo potuto benissimo fare a meno. In fin dei conti, si sarebbe potuto arguire, v’era il sospetto di una concussione.solo tentata, non c’erano indizi di una condotta seriale del sindaco, e non si trattava certo di circonvenzione d’incapace. In realtà tale suo agire, assolutamente squisito, sarebbe stata mera omertà politica, come disvela l'accusa improvvida di delazione mossagli dal Battista Ma mi sa che per Longfils “tutto nel mondo e’ burla”, come per il Falstaff di Verdi, e cosi con egli passo e chiudo, come non ho modo di concludere diversamente in merito alla signora Cinzia Goldoni. Quanto invece alla signora Nizzoli, non so se si debba parlare di leggerezza o di stoltezza o di perfidia più unica che rara, come lo e’ di certo la sua incredibile bellezza Solo meno di lei dalla vicenda esce infine malconcio il Sindaco Palazzi: nell’ imprudenza delle sue avances avrebbe dovuto essere devoto con più discernimento al credo renziano in ogni nuova tecnologia comunicativa. Anche un ragazzino illetterato di ultima generazione sa taroccare messaggi, attribuendo alla ragazza che lo ha appena lasciato parole compromettenti con il suo nuovo boy friend. Non c’ e’ bisogno di azzardare congiure, se fosse stato vittima delle quali Palazzi uscirebbe da tali vicende ancor meno affidabile politicamente
Per gli stessi errori che sa di aver cosi’ commesso, per sua ammissione diretta a denti stretti, e come si desume dal fatto stesso che ha invitato piu’ volte al rispetto pietoso della sua privacy, trovo fuori luogo e sgradevole che i big del Pd e lo stesso Maroni siano accorsi a proclamarne l ‘innocenza in ogni senso del termine, e smodati gli interventi a cui ho alluso di Mentana e Battista, come in una sorta di domino politico in cui chi e' della casta si soccorre a vicenda.Se poi larga parte della cittadinanza benché.non sia affatto puritana e’ refrattaria a rubricare l’accaduto come un mero fatto privato, forse e’ perché la propensione e la disponibilita che il Sindaco ha mostrato nel chattare con tanta insistita reciprocita’indiscreta con l’ex vice presidente di un’associazione privata, da cui tutto ha avuto inizio, non dimentichiamolo, non l’ha espressa nell’aprirsi e nel cimentarsi altrettanto, nei termini che egli non voglia, o non predisponga, con la cittadinanza di Mantova ed i suoi esponenti, nel dare conto vuoi all’ingegner Paolo Rabitti vuoi alle opposizioni del suo operato, nel prestarsi a critiche che possa ritenere sensate o degli apporti migliorativi, chiudendosi invece a riccio nel suo trigol magico o in che altro di autoreferenziale, ancor ora con rigenerata sicumera ed arroganza, invece che con accogliente umiltà resipiscente. Piaccia o non piaccia dalla vicenda la immagine pubblica di Palazzi ne e’ uscita scossa, per cui sta ora ai suoi elettori e sostenitori ed amici rinnovargli stima ed affetto con accresciuta maturità umana e politica, consapevoli delle vulnerabilità del Sindaco che ne sono emerse, insieme ai suoi pregi, evitando giustizialismi o innocentismi che siano a senso unico, o rimozioni dell’accaduto, e di quanto ne e’ emerso, che siano una sorta di verginity soap o di imenoplastica. Si tratta di tagliandi, di sopra e di sotto, che e bene lasciare in tutto e per tutto al Cavalier Silvio.e a chi vuole ancora credergli.
Bergamaschi Odorico
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Chagall a Mantova come sogna Palazzi? Benissimo, in se’. Solo che una retrospettiva bellissima su Chagall è stata giaà allestita a Milano nei non lontani 2014-2015, e che una mostra autenticamente tale, che sia cioe’ di ricerca, per quanto io ne so da profano richiede che prima ne sia ideato il soggetto, auspicando che non sia la mera escogitazione di un presunto richiamo attrattivo, e che poi in ragione di esso siano ricercati i vari prestatori di opere. Rifacendosi a un solo Museo si finisce invece per farsi dettare il menu della mostra da quel che offre l’istituto-convento, in tal caso la Tretyakov Gallery di Mosca. Ne sortiscono cosi’ per lo più mostre di rara bruttezza come quella su Van Gogh, sempre a Milano e in contemporanea con quella su Chagall, che fu desunta da quel che di Van Gogh e’attingibile dal Kröller-Müller Museum in Olanda, un cui riciclaggio sotto altre spoglie e’stato imbandito piu’ di recente a Vicenza, con qualche capolavoro in aggiunta a fini propagandistici. In realta', come trapela vuoi dalla genericità propositiva della ispirazione di fondo- tre mostre in tre anni dedicate ai maestri della pittura del Novecento,- sai che genialata !- vuoi dalla peregrinità della proposta in concreto, -Chagall e il teatro-, non che dai tempi di breve respiro dell’allestimento, la mostra di Chagall a Mantova sembra obbedire ad una pianificazione di mero riempimento turistico, di mera e vana attrattiva commerciale, ad un input estemporaneo dall'alto del Sindaco Duca, piuù che della società civile di Mantova quale città d'arte, di gusto e di cultura, nelle sue intrinseche istanze di valorizzazione partecipativa.
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Signor direttore,
Una mostra d’arte che non sia allestita con perizia, ed ampiezza d’ingegno, si presta a clamorose critiche ed inimmaginabili cadute di immagine, come la recente mostra di Modigliani nel Palazzo Ducale di Genova , un allestimento di presunti capolavori che si sono rivelati quasi tutti dei grossolani falsi, o si esporrebbe a raffronti quanto mai impietosi, che e’ il destino a cui rischia di andare incontro la mostra su Chagall ed il teatro che il sindaco Palazzi vorrebbe riservarci per l’autunno e l’inverno prossimi, grazie a dei prestiti impolpati per bene della Tretyakov Gallery di Mosca. Gia’ mi sono espresso su tutta la microscopicita’ dell’idea di desumere una mostra dai prestiti di un unico museo, una “nanoidea” che rischia di rivelarsi ancor piu' lillipuziana, se nel contempo, a una distanza che e’ poca nello spazio ma che concettualmente puo' apparire siderale, ne e’ reperibile una, di ispirazione consimile, al cospetto della quale quella del Sindaco Palazzi sfigurerebbe come i falsi di Modigliani rispetto a cio’ che e' originale: mi riferisco alla mostra esposta nel Palazzo Magnani di Reggio Emilia, che presumo magnifica, “Kandinsky-Cage musica e spirituale nell’arte”, alla cui profondita’ di ideazione orfico-platonica il sottoscritto soggiace ammutolito. Ne e’ il tema di fondo la musica quale modello delle arti figurative, come in forme, linee e colori- innanzitutto nei suoi rapporti numerici proporzionali-, fu trasposta nell’opera di Kandinsky, Schonberg, Klee, Fischinger e spiriti affini.
Sic stantibus rebus meglio sarebbe, o potrebbe risultare una gran cosa, fin che si e’ in tempo, chiedere a tal punto il trasferimento autunnale e invernale a Mantova di tale mostra, in cio' che puo’ seguitare a permanerne esposto, tanto piu’ che essa include delle opere del mantovano Giulio Turcato, magari arricchendola, come proprio apporto inventivo , con una sezione per l’ appunto su Chagall ed il teatro, desunta dalla Galleria moscovita, che finirebbe per vertere soprattutto su l’Uccello di fuoco di Stravinsky in termini splendidamente congruenti- il rapporto intessuto dall’arte pittorica dell’Otto Novecento con il teatro essendo essenzialmente una relazione con la musica di balletti ed opere, ne’ guasterebbe, eventualmente, un’ ulteriore sezione di gran fascino su De Chirico scenografo. Cio’ costerebbe solo ammettere i propri prestiti ereditari, anziche' intestarsi cio’ che non e’proprio e ci trascende vertiginosamente.
Odorico Bergamaschi
Siamo alle solite. Il circolo La Salamadra presenta il 3 febbraio il futuro Gay Pride che si terra’ a Mantova il 16 giugno prossimo, ed il Pd cittadino non perde l’occasione per intestarselo, sia pure con qualche discrepanza rispetto a cio’ che fanno intendere alla nazione le sue liste elettorali, tra i cui nominati ( si mormora da piu’ parti perche’ il Pd dopo le elezioni possa celebrare la propria unione civile con Forza Italia senza i fastidi arcobaleno di richieste di matrimoni ugualitari), non e’ stata di certo sollecitata o motivata a fare rientro la filosofa radicale Michela Marzano, ne’ sono stati ricandidati Logiudice dell’Arci Gay ed il fautore dei diritti civili Luigi Manconi, che solo in questi giorni e’ stato recuperato da Gentiloni come coordinatore dell’Unar. Ed e’ bastato che il Pd abbia egemonizzato lo starting del Gay Pride, perche’ le destre non abbiano perso un momento nell’ invocare il controaltare di un Festival della famiglia riparatore o compensatore. Certo è già una buona cosa che esponenti autorevoli del centro-destra di Mantova, Lega inclusa, rifiutino ogni discriminazione di genere nel loro schierarsi per la famiglia che definiscono tradizionale, cosi’ riconoscendo implicitamente che anche quelle Lgbt sono famiglie, beninteso non tradizionali, quali nuclei d’amore solidale. Cio’che a tali esponenti non dovrebbe pero’ sfuggire e’che il Gay pride e' un raduno affermativo di diversita’, mentre i festival della famiglia di cui si ha conoscenza sono intrinsecamente discriminatori, le saghe persecutorie di partite di caccia alle streghe, ora di fattezze gender, intese a cancellare diritti civili e dignita’di esistenza pubblica a chi e’ Lgbt. Sono mine vaganti che prima o poi, nel loro fondamentalismo patriarcale, rischiano di far saltare per aria l' insegnamento stesso della Bibbia cui si rifanno, dato che le Sacre Scritture continuamente denunciano una natura criminosa e criminogena delle famiglia, insieme ai suoi pregi non solo spirituali, solo che si considerino l'incestuosita' di Eva ed Abele, o di Lot e le sue figlie, la realta' fatalmente rivalitaria delle relazioni tra consanguinei che vi ricorrono, da Caino ed Abele giu ' giu', di patriarca in patriarca, fino a Giuseppe venduto dai fratelli, per non dire di Davide e Salomone, adulterino criminale l’uno e idolatra poligamo l’altro, e ultimo ma non ultimo, per non tacere che autentico sfasciafamiglie fu Gesu' di Nazaret, con la sua chiamata degli Apostoli. che non ammetteva nemmeno che si indugiasse a seppellire i morti in famiglia. Magari, in concomitanza con il Gay Pride, si istituisse davvero un reale convegno sulla famiglia, che affrontasse a piu’voci le ragioni della crisi dell’istituzione familiare e della denatalita'in Occidente, del welfare domestico di madri e nonni e badanti straniere, del perche’di tanta violenza o impotenza o serpi in seno alle famiglie, considerandone’ le tipologie tutte che sono gia’presenti sul nostro territorio, quelle islamiche, africane, indiane o cinesi incluse, che in modi diversi strutturano culturalmente l’ inconscio dei residenti . Ed a suggello di tutto, che senso ha parlare come il centro destra in nome di genitori e figli, come se fossero o fossimo tutti eterosessuali e monogami ? Non e' gia' di per se' il discrimine di una rimozione, la rimozione di quella che potrebbe essere la propria realta’ in famiglia?
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E scherzo, od e’ follia”, può accadere che in futuro non possa piu’ chiedersi ad Oscar nel Ballo in Maschera di Verdi , se avesse un seguito la recente denuncia di ogni travestitismo teatrale da parte del Popolo della famiglia, onde non suscitare tra gli spettatori adolescenti turbative gender di alcun genere . E’ un grido di allarme lanciato su queste stesse colonne di giornale dal suo esponente itinerante Massimiliano Esposito, traendo spunto dalla rappresentazione teatrale “ Suzanne”che e’ andata in scena il 18 febbraio scorso allo Spazio Sant' Orsola a Mantova, in quanto metteva in scena come sia successo che in tempo di guerra un uomo si sia travestito da donna per sottrarsi all’arruolamento. E con il Ballo in Maschera, nemmeno più Nozze di Figaro di Mozart con un Cherubino mezzosoprano, il Fidelio di Beethoven, o il Rosenkavalier di Strauss, a rischio e’ il nostro stesso Rigoletto, con Gilda che esce dal sacco vestita da uomo, figuriamoci ! Quanto al cinema, poi, scordiamoceli A qualcuno piace caldo, o Tootsie, o Mrs Doubtfire, mammo per sempre, e chi più ne ha più ne indichi. Dimenticavo: soprattutto non udiremmo più le arie per i castrati che furoreggiarono nella Roma della corte pontificia dal 1562 almeno fino al 1903, e che di li si diffusero per tutta Europa, particolarmente dopo che per il divieto di Papa Sisto V, del 1588, a che le donne si esibissero in teatro, tutti i ruoli femminili furono affidati a degli uomini travestiti, dei castrati fin da bambini, se dovevano primeggiare nel teatro musicale o nei cori delle voci bianche della Cappella Sistina.
Odorico Bergamaschi febbraio 2018
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Se a quanto pare, per l’amico ed ex collega Longfils tutto nel mondo e’ burla, come per il Falstaff di Verdi, cultura ed intelligenza, che ha sopraffine, dovrebbero avvertirlo che da tale sua idea della vita e’ bene che una buona volta preservi le istituzioni in cui opera, graziandoci di una contro revoca della cittadinanza virgiliana concessa a suo tempo a Mussolini. Già tale revoca di per se’ e’ una forma di antifascismo da pochade, che per certi suoi colleghi di opposizione ha già richiesto fin troppo dispendio di tempo e di denaro, consiliari : perché tirarla più ancora per le lunghe, sotto il solito ammanto di pretese ragioni legalitarie? E’ una melina che serve solo a mostrare quanto si sia a corto di idee propositive, se non si ha altro di più serio da criticare o a cui pensare, screditando tutta quanta l’opposizione al proprio seguito, proprio come la stessa revoca della cittadinanza virgiliana a Mussolini ha mostrato tutto il fiato corto di tale antifascismo da establishment, quando piuttosto si sarebbe dovuto evitare di lasciare la piazza solo alla Boje, contrastare le interferenze di Forza Nuova nell’operato di certi nostri sacerdoti, e raccogliere contro l’intimidazione pubblica, da parte del solito manipolo di skinheads, di un’assembea in Medole ch’era consensuale con le ragioni di una nostra scrittrice italiana di origini marocchine, Chaimaa Fatihi, lo stesso sdegno che ha suscitato un’ identica incursione in Como. Meglio sarebbe se Longfils, quale edotto insegnante di inglese in quiescenza, invece di ritornare sulla revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini sollecitasse che si onorasse finalmente post mortem , con qualche convegno, quella gloriosa del nostro concittadino Seamus Heaney, premio Nobel della letteratura, e senza forse il più grande poeta in lingua inglese della seconda meta’del secolo scorso, alla stregua delle care memorie dei nostri Giorgio Bernardi Perini, Gianfranco Maretti, Enzo Dara. (!8 febbraio 2018)
Odorico Bergamaschi
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A Guidizzolo non vi sara’mai una moschea islamica”, sicuro del fatto suo comunica alla Voce di Mantova il sindaco del borgo, Meneghelli, in risposta alla richiesta di un suo concittadino mussulmano di poter adibire a centro islamico di studio e preghiera una abitazione in disuso nella frazione di Rebecco. Cosi’dicendo pare che il primo cittadino di Guidizzolo ignori che il referendum del 4 dicembre 2016, soprattutto con il voto delle forze del centro destra, Lega inclusa, ha confermato in vigore come presso che’ immodificabile l’attuale nostra Costituzione, inclusi gli articoli 3, 7, 8, 19, 20, 21, 117 comma 2 lettera C, che riconoscono a tutti il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume, il cui senso del pudore potra’ magari essere violato da qualche santo jain digambara, vestito d’aria, non certo da adepti islamici, che di tutto possono essere sospettati tranne che di assenza di decoro. In tali articoli si prescrive solo che gli statuti di tali religioni non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, senza fare alcun riferimento a limitazioni che possano essere addotte per motivi di sicurezza o di ordine di pubblico. Ragion per cui il sindaco Meneghelli può legittimamente chiedere che anche i non islamici abbiano diritto di accesso a tale luogo di culto e di preghiera, che chi vi predica sia un imam qualificato dalla sua conoscenza e dal rispetto della Costituzione italiana, ma non puo’ minimamente negare l’apertura di una centro congregazionale ad alcun rito confessionale, tanto meno se ad avanzare tale richiesta e’ un nostro concittadino musulmano, cosi’ come, sempre per restare attinenti ai fatti di casa nostra, il sindaco Palazzi non può cavarsela in merito dicendo che sia una richiesta come un’altra, quella dei mussulmani di Mantova di avere almeno un luogo di riunione e di culto in via Torelli. L’uscita laconica di Meneghelli in termini giuridici e’ dunque squisitamente sovversiva del nostro ordinamento costituzionale, cui ha giurato fedeltà, e costituisce un’asserzione priva di qualsiasi lungimiranza, quale che sia stato l’esito delle nostre elezioni. In Italia 300 .000 nuovi pensionati ogni anno non vengono più sostituiti nel mondo del lavoro, e di questo passo, se sara’ di fede musulmana almeno un terzo di chi per le nostre stesse esigenze economiche emigrerà in Europa, stando a quanto e’ prevedibile, le moschee dovremo costruirle noi, a nostre spese, tanto più’ opulente quanto più i musulmani, come fecero i cristiani delle origini nei confronti del paganesimo, facendo erigere basiliche, avranno pur diritto di rifarsi, architettonicamente, di quanto a lungo siano rimasti clandestini nelle catacombe dei nostri garages.
Odorico Bergamaschi febbraio 2018
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Odorico Bergamaschi
Non potrò votare il 4 marzo.Votassi voterei Liberi e uguali. I limiti di Leu sono evidenti, più che una formazione politica, più che un’espressione della società civile, e’ ancora una lista che accorpa apparati di partito e uomini di opposizione, di sinistra, tenuti insieme più dall'ostilità a Renzi che da una critica, con il senno di oggi, di ciò di cui il Renzismo e’ un derivato tossico, ossia la illusione in una terza via che cavalcando la globalizzazione potesse realizzare le aspirazioni e gli ideali progressisti di giustizia, uguaglianza e libertà. Ma Liberi ed Uguali raccoglie il meglio, certo difforme, del ceto politico di sinistra che e’ intenzionato a rimanere fedele ai propri valori non retrospettivamente, in forme sovraniste, nazionalpopuliste e anti europee, come Potere al Popolo, ma a partire dall’unificazione irreversibile del mondo prodotta dalla globalizzazione, dalle potenzialita’ e dalle contraddizioni che essa ha creato, prima di tutto in termini di disuguaglianze, pur se la globalizzazione ha elevato le condizioni di moltissimi degli ultimi della terra, al tempo stesso che ha peggiorato quelle dei nostri incapienti. Con Liberi e uguali credo che si possa operare realmente una politica lungimirante, senza dunque assimilarsi alla globalizzazione liberisticamente ne’ demonizzarla apocalitticamente, ne’ recedere nei confronti dei migranti che saranno i nuovi cittadini e lavoratori dell’Italia e dell’Europa, piaccia o non piaccia, dalle prospettive di una società aperta e inclusiva, interculturale e interreligiosa ,che attuino appieno il dettato della nostra Costituzione, avendo con gli articoli 10,19,20, quanto a chi e’straniero e di religione diversa da quella cattolica, l’articolo 1 e l’articolo 9 come vettori primari, quanto alla salvaguardia ed alla rigenerazione del lavoro e del nostro patrimonio artistico e ambientale, valore finale assoluto non mercificabile Tenendo sempre presente, come bussola, quanto e vero più di quanto non crediamo, che”occorre lavorare per gli ultimi per migliorare tutti”.
Odorico Bergamaschi Lettera redatta il 1 marzo 2018
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Rocambolesco, grottesco, funambolico Renzi! Si e' da lui chiesto il voto utile contro il pericolo massimo per la democrazia di un governo M5S- Lega, e invece di trattare per evitarlo, fischiettando confida e poi smentisce che se ne andrà a sciare. E gli interessi che intendiamo difendere? O conta di più' il tornaconto della propria bottega partitica? Era alla fin fine tutta una messinscena del teatrino della politica la drammatizzazione del pericolo leghista e pentastellato? La politica e' forse rendere pan per focaccia abbassandosi al livello del proprio avversario, del nullismo insolente di una opposizione pregiudiziale e negativa, sempre a prescindere, qual e' stata quella goliardica, indecisa su tutto e senza discriminanti di sorta dei 5 stelle? Chi ci capirebbe noi di sinistra e tornerebbe indietro? Lo vuole forse l'onore, dopo tante ingiurie grilline d'ogni sorta ? "Sono venuto al mondo per essere calpestato", dice il Gesu' del Silenzio di Shusaku Endo-Scorsese .E i politici di professione lo sono per far politica. In Germania la decisione o meno di aderire alla grande coalizione, ossia sulle sorti della legislatura entrante, e' stata demandata dal Partito socialdemocratico ad un referendum di tutti gli aderenti , non e' stata avocata a se’ da un segretario dimissionario, per tenere vendicativamente sotto scacco l’intera legislatura successiva al suo mandato. Tanto, venga Di Maio, venga Salvini, che ha da perdere l' establishment del Pd.?
Odorico Bergamaschi,
sostenitore di Liberi e Uguali
Lettera redatta il 1 marzo 2018
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Smarcamenti Signor Direttore,
prima che abbiano inizio le schermaglie della nuova legislatura mi si consentano alcuni smarcamenti dall’opinione corrente sull’ultimo esito elettorale. a) La sconfitta cruciale e la fine della Sinistra non e' avvenuta il 4 marzo. Le aveva dato gia' scacco matto la presa del potere del Pd ad opera di Matteo Renzi, che ne e' stata l'asfaltatura. Il Pd dopo il job act, la resa sui migranti e sullo jus soli e' a tutti gli effetti una forza di centro destra ,nella sua linea politica e nei suoi valori. b) Il 4 marzo ha segnato piuttosto la disfatta ulteriore del cattolicesimo democratico e la sconfitta politica in Italia come gia' nell' Europa continentale e dell’Est del Papato di Francesco. Il cedimento delle gerarchie vaticane sulla linea Minniti e' stata la resa fatale, pur se di fronte a una marea montante inarrestabile. Papa Bergoglio non e' riuscito a convertire al cristianesimo della Parola del Vangelo un cattolicesimo sempre piu' identitario, nazionalista, xenofobo, razzista, degno erede del cattolicesimo anticristiano di Benito Mussolini, assimilabile al Corano di Erdogan, piu' che al messaggio evangelico, quanto alla stessa difesa della famiglia tradizionale. c) Lo scontro reale e' stato tra due populismi di palazzo (il berlusconismo, il renzismo) e due populismi di piazza : e chi di populismo ha ferito (Pd) , di populismo e' perito. Per populismo, e' bene sintetizzarlo, intendo ogni fiction politica, quale che ne sia la coloratura , della contrapposizione di un popolo onesto e virtuoso, esente da sfruttamento, mafie, evasione e corruzione, ad una elite o casta inguaribilmente corrotta, e nell'arengo internazionale la messinscena dell'antagonismo tra tale popolo nazione, sola fonte legittima di ogni investitura di potere, tendenzialmente diretta e plebiscitaria, ed ogni potere sovranazionale, demonizzato come il sito tentacolare della piovra del capitalismo finanziario. d) Volge al tramonto e si sta sotterrando la grandiosa civilta' liberaldemocratica uscita dalla sconfitta dei totalitarismi nel corso della seconda guerra mondiale, dall’istituzione dell’ Onu e dalla Dichiarazione dei diritti universali umani, come dagli ordinamenti costituzionali delle nostre democrazie. Nell'illusione di arginare cosi' l'avvento dei populismi dal basso, i populismi dall'alto li hanno assecondati oramai a tal punto da avere dato corso essi stessi agli ordinamenti di nuovi regimi reazionari di massa, secondo la definizione che Togliatti diede dei fascismi, con i loro campi di concentramento dei migranti,i nuovi ebrei, gia' esternalizzati in Turchia o nel Nord Africa. e la loro nuova estetica discriminatoria del decoro urbano. Tale civilta' e' declinata per effetto della globalizzazione stessa che ha promosso, che ha terremotato la dominazione imperialistica neocoloniale su cui si fondavano i benefici stessi che essa assicurava, pace e welfare in Occidente .La globalizzazione e l’unificazione del mondo che ha prodotto sono ora il convitato di pietra dei populismi di piazza semivincenti: questi non sono che retroutopie che mirano a restaurare velleitariamente e illusoriamente una situazione antecedente alla globalizzazione. Il loro sovranismo nazionalista li assimila allo stesso Potere al Popolo, veterocomunista, nella narrazione di quanto sia andato da allora perduto nella redistribuzione dei redditi e delle sorti, non perch
éil mondo da allora e' cambiato , nella sua giungla competitiva e nei rapporti di forza, ma solo per quanto si avrebbe antagonisticamente e moralmente ceduto.
Lettera redatta il 26 marzo 2018
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Signor direttore
Per il tramite delle colonne della Voce di Mantova, mi consenta che chieda al giovane Simone Segna, quanto alla sua sentita esecrazione apparsavi lunedì scorso, 16 aprile, di come la cultura scivoli via ai nostri amministratori, di farmi ora ben capire in argomento: forse che il nostro Polpatelli avrebbe dipinto i suoi desolati vecchi, e il nostro Domenico Pesenti l’adorato nipote Azzurrino, al solo fine di essere “redditizi” in futuro, parole sue, e le loro opere varrebbero per quanto potere e prestigio territoriale conferiscono? E secondo la sua panoramica storica dei Gonzaga, da fiction televisiva medicea, Gianfrancesco I si sarebbe fatto effigiare da Pisanello a puro beneficio dei suoi beneamati sudditi e dell’umanità futura, nient’affatto per mera vanità egoica e per la gloria dinastica,? Né si saprebbe ancora né come, né perché, la celeste Galleria dai magnanimi Gonzaga, tutti spirito e arte, sia finita inopinatamente svenduta? Ed alfine, sarebbe forse un mero caso e non già l’effetto di una loro estero-maniacalità plurisecolare, foriera delle fregole odierne acchiappa esterni di grido, se sotto di loro, a corte, fatta salva l’eccezione di Giovan Battista Bertani, l ‘ingegno locale ne è uscito talmente depresso che ne è sortito al più qualche Andreasino? Ma per venire al fine politico di tale parata agiografica, sarebbe al fin della licenza una non meglio precisata sinistra radical chic, alla quale se è la compagine culturale di Tomaso Montanari e spiriti affini sono ben fiero di appartenere, che avrebbe svilito il valore umano e di umanizzazione dell’arte del passato, al netto di tanta vanagloria così obliterata? In realtà, pur alla luce di una visione dell’arte in pompa magna che resta del tutto in superficie rispetto alla “tragica gioia” (Yeats) che l’ispira, infarcita delle idealizzazioni ed incongruenze suaccennate, quello che di vero e di giustificato in toto si evince dall’ intensa e bella filippica di Segna, è piuttosto la denuncia dell’identico paradigma che in politica culturale accomuna il PD, spacciato ancora come la Sinistra che ne è stata annientata, alla stessa forza Italia cui egli dichiara di appartenere, ossia è la deprecazione degli assessorati e delle deleghe alla cultura che la riducono al solo mondo della civiltà del turismo e dello spettacolo, a tutto quanto è di incasso e di successo, e che solo in tali termini è di un certo interesse e valorizzabile. Si tratta di una visione dei beni culturali che ai piani alti ministeriali, da Melandri e Urbani, e quindi Bondi, si è trasmessa fino a Galan e Franceschini, e che a quelli più bassi la giunta Palazzi ha desunto finanche con il copia e incolla da quella Sodano, proponendo una medesima cultura di corte elargita dall’alto dal Principe duca, di cui i cittadini sudditi non sono che dei fruitori digitali. Ne è proliferata una serie di orrori nostrani che dall’oscena mostra sui ritratti di Virgilio, “ poeta romano”, e dagli idrovolanti Mantova- Como, ai tempi del leghista Chizzini, si è propagginata fino alle isole di Ocno e alla sola sesquipedale di Eat Mantova, tutta fondata sul falso a suo tempo di successo di una cucina mantovana che fosse la stessa sui deschi e i tavolacci di Principi e Popolo, con buona pace del nostro Stefano Scansani e del suo capolavoro sul nostro effettivo e nient’affatto”mangiare cattivo”. Trattasi dell’accaparramento funesto della cultura e dell’arte quali mere risorse da sfruttare, quali giacimenti petroliferi da cui estrarre a fiumi fior di quattrini, di cui già a suo tempo trasecolava il socialista De Michelis, a tutto vantaggio dei transatlantici sospingentisi fino in vista del Palazzo Ducale di Venezia, o per restare a noialtri e’ “la Mantova da vendere” a destra e a manca di cui svalvolava a tutta randa il nostro sindaco Palazzi, prima di rinsavire in merito e non di poco nella sua versione aggiornata. Certo, così si è evidenziato solo il nesso connettivo in negativo delle politiche culturali delle due amministrazioni poste in discussione, al netto di quanto di buono hanno pur operato, a sostegno e supporto di fondazioni o associazioni e confraternite varie, ben di più, o troppo di più, quella di Palazzi che quella di Sodano, a imparziale onore del vero. Pur se spropositando di Sinistre oramai fantasma, comunque ben venga che a denunciare l’acquiescenza della politica del Pd alla civiltà del turismo e dello spettacolo sia un giovine sostenitore di Forza Italia, tuttora di ferrea proprietà di Silvio Berlusconi quanto lo è Mediaset, ben sia, tanto più che per tale bisticcio di interessi ci si trova di fronte al classico bue che dà del classico cornuto al classico asino, pur con tutte le ragioni che il primo ha da vendere, se la stessa Modena democratica eleva in tempi di Daspo a suo cittadino onorario Vasco Rossi. E’ questo comune stravedere per concertoni che lasciano il tempo che trovano, per mostre mercato e feste di gala nel Palazzo Ducale o in quello della Ragione, ridotti, grazie anche ad Assmann , a bei contenitori espansi per ogni sorta purchessia di visitatori e di acciabattati turisti, e’ in breve dire questo comune credo nella panacea turistica, che spiega la sottomissione oppositiva del centro destra nostrano alle vedute megaloturistiche del Sindaco in corso, con il quale tale centro destra come non può non essere d’accordo, criticando soltanto quanto Palazzi resti distante da tali obiettivi da incubo. Pare di sentirlo, il centrodestra, in controcanto, decantare il modello che sarebbe invece di una virtuosità esemplare della Verona di Tosi e ora sboarianiana, di cui nei dì feriali tutte le chiese principali restano chiuse al culto per garantirne l’accesso ai turisti, dove è stato un gioco da ragazzi svaligiare dei suoi tesori pittorici il Museo di Castelvecchio, mentre ai più che la visitano si prospetta in futuro, “maravegia de le maravegie”, nientepopodimeno che il museo dell’Amore da Giulietta a Federico Moccia. Tutto questo, in spregio alla nostra Costituzione che tutela come nessun’altra al mondo il patrimonio artistico e ambientale nazionale , all’articolo nove dove si recita a chiare lettere che i beni culturali sono un valore finale e non merce strumentale.
Odorico Bergamaschi
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Grande sotto il cielo, giunti a tal punto, pare lo spiazzamento della giunta Palazzi quanto all’ inceneritore ProGest . Personalmente, proprio perche sono radicalmente ecologista, mi sono sempre messo una mano sulla coscienza, ad ogni diatriba ambientalista, chiedendomi se non la ispirasse un qualche fondamentalismo verde inquietantemente reazionario , pregiudizialmente ostile alla modernità industriale quanto tenacemente sordo ad ogni necessità di assicurare lavoro, magari fino al punto di agitare paure di sradicamenti comunitari, che potrebbero risvegliare spiriti sopiti di Foreste nere. Ma la partita dell’inceneritore ProGest da attivare a Mantova, ed a tutti i costi, dopo che e’ stato rigettato per ogni altra cartiera del gruppo, oramai si sta giocando a parti invertite, per la sagacia degli oppositori e l’ oscura miopia del Sindaco Palazzi che ad essi seguita a contrapporsi. Nuove tecnologie di recupero e riuso dei rifiuti della cartiera, lungo le filiere di un’economia e di un’edilizia circolare, giocano esse, in luogo della solo loro combustione robotizzata, a favore della industrializzazione e dell’occupazione più estesa ed avanzata nel nostro territorio, non che in primis della sua salubrità e della salute di cittadini e residenti stranieri, e convolano a nozze con le prerogative e la vocazione di fondo della nostra città, quale capitale d’arte, di gusto e di cultura nei secoli dei secoli. Non solo, sono tali scelte ad integrarsi e a non confliggere con lo spirito che anima gli intenti rigeneratori più meritori della nostra giunta attuale, in virtù di Mantova Hub o del risanamento dei nostri laghi. Che senso avrebbe , altrimenti, sulle sponda opposte a quelle dove l’inceneritore ammorberebbe ad oltranza il clima della nostra città, proporre l’istallazione dei laboratori di neurobiologia vegetativa di Stefano Mancuso, dell’idrocoltura delle cui serre galleggianti, e della esplorazione dei suoli dei cui robot plantoidi, la salubrità dell’ambiente è una condizione e una finalità primaria? Se non quello di sbandierare uno spirito amministrativo green washing, ben tinteggiato di verde, buono solo a mascherare le proprie compromissioni con gli interessi più letali alla cittadinanza di Mantova ed alla sua armoniosa civilizzazione ?
Odorico Bergamaschi ( Lettera risalente al 12 aprile 2018)
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Odorico Bergamaschi
Egregi redattori ( della Gazzetta di Mantova)
data
la riemergenza del caso Palazzi, a tal punto credo che sia
indispensabile e doveroso che la Gazzetta di Mantova faccia conoscere ai
suoi lettori per filo e per segno, integrandone le lacune con un
approntamento degli atti giudiziari, il contenuto dell’articolo Sesso,
ricatti e potere, Quella strana confessione, apparso sul Fatto
quotidiano il 25 aprile, scorso, se e’ bastato a suscitare non solo
il pronunciamento immediato contro il Sindaco, per le sue dimissioni,
di 5 consiglieri d’opposizione , ma cosa più ancora sorprendente , il
pronunciamento in coro del resto dell’opposizione, Grandi compreso,
a sostegno della indiscutibilità della moralità del nostro Primo
cittadino e del suo proscioglimento.
Odorico Bergamaschi
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Egregio
direttore,( Si tratta del direttore della Gazzetta di Mantova)
In nome
della stessa libertà di stampa Le chiedo che il suo giornale informi la cittadinanza
dei contenuti dell’articolo Sesso, ricatti, e potere, Quella strana
confessione, pubblicato sul fatto quotidiano il 25 aprile scorso, che verte sull’ archiviazione dell’ipotesi di tentata concussione sessuale
ai danni della signora Nizzoli, che si rileverebbe nei messaggi chat con lei
intercorsi del nostro Sindaco Palazzi. Esso ha provocato l’insorgenza contro il
nostro primo cittadino di 5 consiglieri di minoranza , e da essi, per
contraccolpo, una presa di distanza della restante opposizione che più timorata
non poteva essere, senza che nulla sia pervenuto alla nostra opinione pubblica dei
motivi di tanto sopito sconquasso. In chi lo legga, è impensabile che l’articolo
non sollevi inquietudine, se non sgomento, in un dibattersi di interrogativi a cui perché ciascuno se ne faccia una libera
opinione sarebbe bene che possa risalire il lettore del Suo giornale, magari integrando il testo dell’articolo con
atti giuridici documentali. In esso ci si interroga infatti su come si sia
potuto archiviare il tutto da parte degli organi inquirenti, qualora essi fossero stati a conoscenza che il Sindaco Palazzi non avrebbe consegnato
il cellulare con cui aveva chattato con Elisa NIzzoli, e che un altro dispositivo
sarebbe subentrato al precedente, sottratto alle rilevazioni delle indagini o
da esse scomparso, che avrebbe smesso di dare segnali di vita proprio dopo
che l’esposto era stato notificato o era divenuto noto al Sindaco. In esso ci
si chiede altresì come la magistratura possa avere archiviato il caso a seguito
delle dichiarazioni rese dal nostro primo cittadino, se dalle sue deposizioni e intercettazioni in possesso degli inquirenti risulterebbe che non sia stato in grado di saper rispondere
di quel che abbia fatto nelle
circostanze delle e-mail incriminate . In esso ci si chiede inoltre
come la magistratura abbia potuto
archiviare il caso, qualora fosse stato per la confessione della Nizzoli di avere taroccato dei messaggi del Sindaco,
quando la stessa non avrebbe mai
smentito che si insinuassero tentativi di concussione nelle avances di costui, e nella intercettazione
di una sua telefonata al suo fidanzato che era agli atti, a questi
avrebbe confidato che il nostro primo cittadino ci avesse
tentato sia come Mattia Palazzi sia come Sindaco di Mantova, il che può indurre a pensare che in quella confessione la Nizzoli non abbia detto
il falso senza dire il vero. E altro ancora vi si riporta, di cui preferisco
tacere. Tale resoconto glielo chiedo, Signor direttore, senza alcun intento di
macchinazione, ma come libero cittadino che vuole restare tale.
Odorico
Bergamaschi.
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Al Fatto quotidiano Mantova 7 maggio 2018
Gentili redattori,
desidererei poter
contattare Davide Milosa per dirgli come stanno le cose in Mantova dopo
il suo coraggioso articolo sul sexgate che coinvolge il Sindaco
Palazzi.
Ciò che posso anticipargli è che non se ne parla e non se
ne vuole parlare, che anche i 5 consiglieri di maggioranza che hanno
chiesto a seguito dell’articolo le dimissioni del sindaco si sono
guardati bene dal mettere in discussione pubblicamente l operato della
magistratura e la credibilità della confessione di Elisa Nizzoli La mia
richiesta alla Gazzetta di Mantova che si desse conto in termini non
scandalistici del contenuto dell’articolo ove si mostrava sconcerto
per l’archiviazione del caso, non è stata pubblicata ed ha trovato
risposta in un articolo quanto mai scomposto del direttore, che non mi
chiamava in causa ma che era un chiaro avvertimento indiretto a non
rompergli le scatole in nome della libertà di stampa . Sono un ex
insegnante in pensione, di sinistra, sulle posizioni di Tomaso
Montanari, risiedo a Mantova e vivo senza niente e nessuno alle sue
spalle che lo muova o lo difenda Di altro vorrei parlare direttamente e
a carte scopertissime via mail o face book con Davide Milosa.
Con i miei più cordiali saluti
Odorico Bergamaschi
Lettera risalente al 18 aprile 2018
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Mi si consenta una breve
disamina dell’ arte di Domenico Pesenti, ora che si è conclusa
la grande mostra al Museo Diocesano sulla sua opera pittorica. In essa,” il
padre della pittura mantovana del Novecento,” si è riproposto
come rappresentante insigne di un’epoca che in tutte le arti fu di
transizione, dalla tradizione classica alle avanguardie
d’inizio Novecento (si pensi in tal senso ad un architetto che
percorse per intero tale parabola come Otto Wagner). Fin dagli
esordi accademici Pesenti è straordinario
in ciò di cui meno ricerca l’insegnamento e necessita, nel ritratto e nella
resa dei dettagli . Il rifiuto al contempo di andare a
Milano a scuola dell’Hayez è già quanto mai
significativo di un rifiuto precoce e definitivo della pittura storica,
magniloquente e monumentale, della sua opzione invece per un sermo humilis nel linguaggio e nei contenuti
espressivi, per una pittura di interni, prevalentemente
ecclesiastici, di scene di vita popolare e domestica,
quotidiana anziché epica. In essa egli è fedelissimo alla
tradizione figurativa nella sua resa magistrale di prospettive
esaltate da effetti di luce particolari, e lo è ancor più
nella sintesi compositiva di insieme. Ma in tale sua attinenza fino al limite
del bozzettistico a ciò che dettava il bello stile
figurativo, oltreché, particolarmente durante il periodo fiorentino,
a ciò che esigeva il mercato di vedute, era all’opera fin dagli esordi una resa
dei particolari di un’innovatività assoluta, con accenni
luministici mirabili di stoviglie e cucine e lavatoi o
rigovernature, con tratti scomposti di pennello alla stregua degli arruffii
di piume di gallinacei da cortile, ( ad esempio ne “Il pollaio), per
come stenografava con una pittura di tocco cori di chierici, vetrate
o tribune di cantorie, incisioni di lapidi o scritture di codici e messali, profili
di cornici lumeggiate e rilievi di colonne in sale di gallerie
d’arte. Ciò dà origine già negli anni settanta a opere
splendide, quando tale resa del dettaglio viene dilatata
a visione pittorica più complessiva o globale ( vedansi allora la cucina
eccezionale della “Lettera alla famiglia”, dentro un bozzetto di
genere che più oleografico non potrebbe essere, o” La bottega del
falegname”, di una monocromia che fa tutt’uno con
la delineazione prospettica del tratto pervasivo e delineante di
pennello. Di ritorno a Mantova e trascesa ogni descrittività esteriore , pur se resa con bravura di tecnica encomiabile, le
tragedie degli affetti familiari, straziati da perdite, il distacco
depressivo dalle domande di mercato e dalle urgenze del mondo, tanto più quanto
è incalzante il disagio economico, lo orientano in tal senso ad
essenzializzare e ad astrarre sempre più il quadro in pura
resa di luce e colore. Tale ricerca avrà sempre più il sopravvento
sul soggetto figurativo e la sua logica
d’impianto, vuoi elevando ad elemento
primario ciò che davvero interessa il cuore e lo sguardo, lo sfondo
del cielo o la materialità in primo piano di ciottolato e binari, (
in” La massicciata della ferrovia Mantova Monselice”, o” Il Ponte di diga Masetti”), vuoi privilegiando i notturni, per come le tenebre dei
vicoli di Mantova agevolano il disfacimento formale degli edifici e delle tarde
presenze in effetti di luce e di ombra intenebrantisi , oppure su carta vetrata frangendo in sfavillio e crepitio di luce i
macchinari del’ industria pesante. Sarà infine, a dare compimento al suo oltrepassamento della sintesi figurativo-prospettica di luce e
colore in una sintesi pura di luce e colore, la volta suprema delle
marine e dei laghi di Mantova: le loro vedute, dopo che nella “Morte della
Vergine” del Mantegna furono raffermate in un lividore serale del
1462, conosceranno l’ inizio di una somma fortuna novecentesca proprio
negli eccelsi esiti estremi di Domenico Pesenti : strisce di luce e colore, di cieli e terra e acqua. che preludono
all’arte stessa di Rothko, come precorrono Morandi le ciotole o i
trepidi caseggiati notturni di Pesenti. In essi, come nei suoi
tardi ritratti, quelli più velati, aleggia un senso della realtà
oramai fantasmatico,
la cui manifestazione primaria è nei ritratti
post mortem dell’amatissimo nipote Azzurrino.
Quello di collezione privata esposto in mostra è un capolavoro assoluto.
L’arredamento interno è altrettanto realistico, di un realismo che è
ottico, nella resa luminosa dei dettagli materiali dei mobili
lignei, quanto stavolta innovativa e irreale e’ la stessa
composizione del loro rassemblement simbolico, secondo
una poetica che evoca il Pascoli della Tessitrice: e al centro di
tutto, Azzurrino è tanto teneramente bambino quanto trascende la
residua realtà terrena di Domenico Pesenti, nel
richiamo al suo al di là eterno, nell’ ora presente, del lancinante dolcissimo
vaghissimo sguardo.
Odorico Bergamaschi
,
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Signor
Direttore
L’annessione
del Museo Archeologico Nazionale a quello del Palazzo Ducale di Mantova, che i
nostri ministeriali, Assmann in primis, hanno avvalorato come il comporsi di un
unico Museo straordinario della città, dalle sue origini più remote sino ai nostri giorni, è di fatto un inglobamento
al mero fine di ridurre i costi della gestione e dei servizi dei due Musei, a spese innanzitutto dei custodi che vigilano
ogni giorno il nostro più prezioso
patrimonio artistico e ne accolgono i visitatori. Non solo: rappresenta la
logica fine consequenziale del progetto
che ha snaturato in poco più che un Museo civico, incentrato sul passato più
antico della nostra città, una
collezione che le sole due sale espositive iniziali prefiguravano un tempo come una ben più splendida raccolta archeologica
territoriale. In sintonia purtroppo con il paradigma
municipalistico e turistico della intera
nostra politica cittadina, il Museo da
rassegna dell’archeologia del territorio mantovano, la sola dimensione che
potesse conferire ai suoi ritrovamenti una vasta risonanza culturale,come era
stato per il Forcello e come è ora per la Tosina di Mozambano, è stato rifocalizzato dapprima sull’attrattiva
di successo del ritrovamento dei presunti “amanti del Valdaro”, sul conto dei
quali e’ stato lasciato intendere che
fossero un unicum, quando già erano venuti alla luce gli amanti di Hasanlu, in
Iran, correva allora l’anno 1970, e, ironia del destino, altre bisome sarebbero
state ritrovate a ruota in Turchia e nel Peloponneso; e non ci si è sintonizzati su quanto eppure
rivelano al visitatore gli stessi pannelli adiacenti, dicendoci che i corpi
appaiono intrecciati nelle loro ossa solo a seguito di un rammollimento dei tessuti.
Si è poi pensato bene di destinare l’intero primo piano, ed ora anche il
secondo, ai reperti di una fittizia Mantua Città Romana, al cui impianto nel nostro territorio il
corso degli eventi sarebbe stato
predestinato fin dalla
preistoria. Dico fittizia perché Mantua non fu mai civitas, a tutti gli
effetti, né romana che per annessione e
subordinazione, bensì “oppidum”- ovverosia un
sito fortificato, “dives avis”, ricco di antenati, ci dice Virgilio, “sed non genus omnibus unum” , ma” non tutti di
un’unica stirpe”, ossia “capitale di
popoli”, Etruschi di Tarquinia con
ecista leggendario Tarconte o Umbro
Sarsinati con Ocno quale ecista ancor più mitico, proveniente da Bologna Felsina e prima
ancora da Perugia (come vuole Elio
Donato, scoliasta di Virgilio ),
giuntivi in una o due colonizzazioni successive, non che popolato di Galli Cenomani , e Veneti, al più romanizzati,
se ci si attiene ai caratteri mitico storici di Mantua, che Virgilio fissa come
sua permanente realtà identitaria ancora ai suoi tempi . Mantua fu romana né più né meno di quanto fu austriaca
Mantova sotto gli Absburgo, a volere
avere rispetto delle testimonianze di
Plinio il Vecchio, di
Servio, ulteriore commentatore
virgiliano, di quelle indirette di Aulo Cecina e di Verio Flacco raccolte dallo
Scoliasta Veronese, e al postutto della vigorosa affermazione conclusiva di Virgilio,
presumibilmente etrusco egli stesso, ( da Maru, . una carica sacerdotale
etrusca, potrebbe aver desunto il titolo
di Marone, ed in quanto tale nelle
Georgiche celebrerebbe l’ Italia come Saturnia tellus), in cui esalta quale fu di Mantua il nerbo reale, “Tusco de sanguine vires”, ( Eneide X,
198-203), entro i suoi “muros”- un termine che come oppidum potrebbe rifarsi esso stesso, secondo Varrone, alla natura eminentemente etrusca della fondazione di Mantova, etrusca a tal punto che da Manth, dio etrusco, signore dei
morti del pantheon tirreno, avrebbe desunto lo stesso suo nome ( secondo
l’etrusco Aulo Cecina, fervente amico di Cicerone) . Tali
asserti di Virgilio suggellano un suo tragitto mitico-poetico intenzionato al superamento della propria estraneità
originaria al mondo romano- nelle Bucoliche I
e I X egli spregia come barbaro, e
straniero, i veterani di guerra
cui sono assegnate le sue terre dall’autorità romana – il cui iter si
adempirà solo con la riconduzione della stessa romanitas, per il
tramite di Enea, alle medesime origini etrusche mediorientali del sommo poeta. Quand’anche, ad essere
concessivi, i versi dell’Eneide fossero celebrativi di
Mantua romanizzata lo sarebbero di essa quale capitale di popoli multietnica e multi
religiosa, sempre che implicitamente non costituiscano piuttosto un’asserzione limitativa di quale fu l’apporto
italo-romano a Mantua etrusca . Non si
dimentichi che la stessa tribus Sabatina di Mantua potrebbe essere di origini
etrusche ( Palmucci). Ne sortirebbe un
ridimensionamento della sua romanitas e della sua estensione, autorizzata dallo
stesso Virgilio nella prima Ecloga ove dice che
Roma sta a Roma “quantum lenta
solent inter viburna cupressi (I, 25), oltreché dal celebra passo di Marziale (
“Tantum magna suo debet Verona Catullo, Quantum parva suo Mantua Vergilio)
(Epigrammi Liber Xiv 195), ove i termini di un raffronto chiastico sono la grande Verona di un Catullo minore e la piccola Mantova di un virgilio maggiore, non
ché .
dalla marginalità in cui Mantua rimase rispetto alla via Postumia, E tale
ridimensionamento avverrebbe a tutto
vantaggio di quella degli insediamenti rurali in villa, il che può trovare conferma nella localizzazione effettiva dei
resti di maggior pregio artistico, e valore culturale, esposti in mostra quali reperti mobili di
Mantua Romana. Essi sono stati ricondotti ad essa surrettiziamente sotto la
dicitura Mantova fuori di Mantova, benché non pochi di tali cimeli siano stati ritrovati ben
oltre i confini dello stesso Agro Mantovano, ad esempio quelli di San Giovanni del Dosso o di
Schivenoglia. ( In tale dolente
transvalutazione, a detrimento dei reperti di Mantua vera e propria, se
si eccettuano un anello digitale e una gemma incisa, va ahimè incluso lo
stesso monumento a edicola Sarsinate, di lavorazione
Cisalpina, di cui né la Menotti né la
Giordano poterono tacere nei loro scritti i vistosi limiti scultorei). Tali annessioni improprie , sortite dallo svisamento del
carattere originario del museo quale museo archeologico del territorio
mantovano, coinvolgono la stessa sezione funeraria, in cui i reperti postumi longobardici seguitano
ad essere ascritti nelle diciture
cubitali sempre a Mantua,, laddove per lo più risalgono a Sacca di
Goito. Culmine di tale distorsione travisatrice, è che in
nessun pannello del piano terra compare
il termine Etruria, che l’espressione “Cisalpina”
è solo geografica, né vi si fa
riferimento ad alcuna fonte di quelle summenzionate, se si eccettua un trafiletto
su Virgilio, e che nessun apporto fotografico o grafico o multimediale rimanda alle ville rustiche extra moenia, e ai loro scavi, quale
diversivo del contesto urbano romanizzato Nel frattempo, dopo la grande mostra espositiva sul Forcello di cui si è
persa anche la memoria storica, rimanevano e restano tuttora in giacenza nei depositi della Soprintendenza migliaia di reperti del sito, che il parco
archeologico del Forcello non può
esporre perché sono proprietà dello Stato, i quali fino agli anni antecedenti il restauro del Museo non avrebbero goduto dei confacenti spazi espositivi che poi si sono offerti. Il
Forcello etrusco è così rimasto confinato in una vetrinetta e mezza, al primo
piano superiore, adiacenti a quella di
una Mantua etrusca originaria che vi rimane del tutto irrelata
con quella successiva d’epoca
romana. Tali reperti del Forcello si sono conservati come la
sola testimonianza, nel Museo
Archeologico Nazionale, di un insediamento che ai suoi tempi era stato
non meno fondamentale dell’ oppidum di
Mantua, e il cui ritrovamento è quanto
dell’archeologia mantovana è entrato in tutti i libri in argomento di storia
antica. Esso aveva raccordato le rotte
fino all’ Egeo e al mondo greco – orientale con i traffici con i popoli d’Oltralpe
continentali, e dell’Etruria transappennica, via Bologna, di cui si avvalse lo
stesso abitato etrusco sorto nel sito
che fu poi quello di Mantua, i cui reperti non sono meno pregevoli di
quelli del municipio romano successivo. Purtroppo ebbe a dire invano il sovrintendente Gambari : “Non si spiega Mantova
se non si parte dal Forcello. Era un porto su una penisola del Mincio nato
attorno ai commerci etruschi. Venne distrutto dai Galli, che occuparono il
territorio circostante. Mantova, molto più difendibile, ne ereditò il ruolo,
costruendosi l’immagine di città. E ora non può essere Capitale della Cultura
senza considerarne anche il territorio e senza valorizzarne il fondamentale
rapporto con gli Etruschi». E quanto
agli scavi archeologici recenti dell’Alto Mantovano, niente, di pervenuto in
sede, della stessa Tosina di Monzambano , che
potrebbe rivelarsi secondo il dire dei più il sito neolitico più
importante dell’Alta Italia, niente che ci ragguagli in merito anche solo grazie a dei
pannelli illustrativi, per salvaguardare l’autonomia del Museo Archeologico
dell’Alto Mantovano di Cavriana. Solo una
ricollocazione, e niente più, di reperti da sempre in mostra che sono tra
i più splendidi che esistano delle civiltà dei Celti Cenomani, quali quelli
delle tombe di Carzaghetto e di Castiglione delle Stiviere, essi sì, di valore assoluto
Come
una pianta epifita che cresce sull’albero su cui si insedia fino a togliergli
la vita, Mantua romana ed altomedioevale
hanno finito così per parassitare e
marginalizzare espositivamente l’archeologia del territorio mantovano che ne
era la linfa vitale, e che di Mantua spiegava
imprescindibilmente le stesse origini e la
multietnicità; ed il Museo archeologico Nazionale anziché farsi l’hub di tutte
le realtà museali del territorio mantovano, che senza operare alcuna
centralizzazione, in sé deprecabilissima, attingesse ai loro depositi e scavi
per rinviare ai Musei periferici un visitatore che mai altrimenti ne avrebbe
raggiunto lo splendore di cimeli e reperti, è divenuto nei suoi pregi residui un
civico Museo archeologico, buono al più,
secondo i viaggiatori di trip advisor che
sono il target reale del suo restyling, per starci dentro non più di qualche
decina minuti, sempre che l’ingresso sia gratis; a parte i fatidici
Amanti, nessun reperto, o cimelio “imperdibile”, che tali turisti rammemorino
nei loro post, laddove non mancano di elogiare con gratitudine la gentilezza e la cortesia estrema del
personale.
Odorico
Bergamaschi Lettera inviata il 27 maggio 2018
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Eccoli di nuovo in coppia Rebecchi e Palazzi, in prima pagina nei giornali locali, che non paghi di avere sistemato già 420+42 camere di videosorveglianza in tutta la città, record italiano assoluto, nei giardini Nuvolari si prefiggono di installarne altre 14 in autunno, più 27 lampioni entro la fine del mese , ripromettendosi di impiantare altri 10 occhi elettronici sul lungolago. Così, tanto per non lasciare il suo mestiere a Salvini, dicono ” ridaremo i giardini ai cittadini”, come se non lo fossero anche i residenti stranieri nella nostra città, o non fossimo tutti residenti stranieri su questa terra in cui siamo di passaggio, e con la destra leghista il duo di sceriffi pare più che mai lanciato all’inseguimento del fine congiunto di un occhio elettronico e di un crocefisso in ogni luogo pubblico, una body cam per ogni docente e addetto alle poste. Peccato che lo stesso giorno si legga sulla Gazzetta di Mantova di un tentato stupro in un sottopassaggio lungo la via ciclabile per Cerese. Chiedo: oltreché sugli autobus Apam, in ogni scuola di ogni ordine e grado, incluse quelle d’infanzia, in ospedali e gerontocomi, non dovremmo adesso istallare videocamere di sorveglianza in ogni sottopassaggio e lungo tutte le ciclabili del territorio comunale? In realtà i due non sembrano rendersi conto di quanto le destre ne tirino i fili con compiaciuto dileggio e disprezzo, per il semplice fatto che più si rafforzano tali sistemi di difesa , la cui validità è relativa, più aumenta il senso di insicurezza percepito, e il centro destra potrà giocare ancor più al rialzo della posta, come sta già facendo con la proposta di istituire” i guardiani dei parchi “.E il senso di tutto ciò? Non già una lotta al crimine che sia efficace, che è questione troppo seria per essere materia strumentale di tale continuo spot, e che tra l’altro nelle sue forme più repulsive, lo stupro, si consuma dove più ci si crede al sicuro, tra la mura domestiche, per mano di familiari, conoscenti, persone di fiducia, ma la perdita della vita libera, che è rischio, avventura, accettazione della nostra finitezza, del pregio della nostra fragilità e vulnerabilità, magari a causa dell’imponderabile di un ramo che si spezza ( Stefano Mancuso), il tutto per la follia paranoica della pace cimiteriale anticipata di un ordine pubblico nazificato. L o spettro totalitario del Panopticon di J. Bentham, -già ne parlava Michel Foucault-, soggiace alla superficiale presunzione amministrativa di aver trovato in sempre più occhi elettronici e fari luminosi la chiave di soluzione unica dei problemi di sicurezza, vivibilità sociale, riscoperta del volto della nostra città, sensatezza del viverci qui e ora,
Odorico Bergamaschi ( Seconda Versione)
Eccoli di nuovo in coppia Rebecchi e Palazzi, in prima pagina nei giornali locali, che non paghi di avere sistemato già 440 videocamere in tutta la città, record italiano assoluto, nei giardini Nuvolari si prefiggono di installarne altre 14 in autunno, più 27 lampioni entro la fine del mese , ripromettendosi di impiantare altri 10 occhi elettronici sul lungolago. Così, tanto per non lasciare il suo mestiere a Salvini, dicono ” ridaremo i giardini ai cittadini”, come se non lo fossero anche i residenti stranieri nella nostra città, o non fossimo tutti residenti stranieri su questa terra in cui siamo di passaggio, e con la destra leghista il duo di sceriffi pare più che mai lanciato all’inseguimento del fine congiunto di un occhio elettronico e di un crocefisso in ogni luogo pubblico, uno body cam per ogni docente e addetto alle poste. Peccato che lo stesso giorno si legga sulla Gazzetta di Mantova di un tentato stupro in un sottopassaggio lungo la via ciclabile per Cerese. Chiedo: oltreché sugli autobus Apam, in ogni scuola di ogni ordine e grado, in ospedali e gerontocomi, non dovremmo adesso istallare videocamere di sorveglianza in ogni sottopassaggio e lungo tutte le ciclabili del territorio comunale? In realtà i due non sembrano rendersi conto di quanto le destre ne tirino i fili con compiaciuto dileggio e disprezzo, per il semplice fatto che più si rafforzano tali sistemi illusori di difesa, più aumenta il senso di insicurezza percepito, e più il centro destra potrà giocare al rialzo della posta, come sta già facendo con la proposta di istituire” i guardiani dei parchi “.E il senso di tutto ciò? Non già una lotta al crimine che sia efficace, che tra l’altro nelle sue forme più repulsive, lo stupro, si consuma dove più ci si crede al sicuro, tra la mura domestiche, per mano di familiari, conoscenti, persone di fiducia, ma la perdita della vita libera, che è rischio, avventura, accettazione della nostra finitezza, del pregio della nostra fragilità e vulnerabilità, magari a causa dell’imponderabile di un ramo che si spezza ( Stefano Mancuso), il tutto per la follia paranoica di una pace cimiteriale anticipata di un ordine pubblico nazificato. Lo spettro totalitario del Panopticon di J. Bentham, -già ne parlava Michel Foucault-, soggiace alla superficiale presunzione amministrativa dei nostri di aver trovato la chiave di soluzione unica dei problemi di sicurezza. vivibilità sociale, riscoperta del volto della nostra città, sensatezza del viverci qui e ora, in sempre più occhi elettronici e fari luminosi
Odorico Bergamaschi
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Signor
Direttore,
Bene le trascorse Trame Sonore e il nuovo Festival
letteratura, restando in devota attesa, tra le continue feste di corte del
Sindaco Duca, delle mostre di Chagall e
di quella di Annunciazioni varie del
solo Tiziano e reperibili nella quadreria locale, per metterci
anche noi in coda pur di vedere l’” imperdibile”. Spiace solo
che in tale stato dell’arte occorra restare in attesa del 2019 per la sola attività culturale che abbia una
parvenza di ricerca , quella mostra su Giulio Romano che viene tuttavia assumendo sempre più i connotati inconcludenti dell’Azione parallela di Musil,
come lascia immaginare Baia Curioni , al recente grido di “Non più mostre di
grande richiamo”. Intanto, mentre di
convegni non se ne parla nemmeno, si seguita a prendere per le solite buonanime
sciocche cittadini e visitatori , con il
propinare loro delle mostre che sono eminentemente degli eventi spot, propagandati ai quattro venti prima ancora di disporre
delle idee e delle opere occorrenti,
certamente buoni per farsi pubblicità come Sindaci ad ogni andirivieni
moscovita procacciatore, nonché in
anteprima in conferenza magna, con il
bel risultato, però, per dirla in dialetto, che la mostra “ la nas in na suca e
la fnis in an suchel” . Così la mostra su “Chagall e il teatro” è diventata una
non meglio definita Marc
Chagall come nella pittura, così nella poesia,
così intitolata per incartapecorare insieme i teleri del Teatro ebraico da
Camera di Mosca e le opere di Chagall di
un collezionista mantovano, e la mostra su Tiziano e Richter deve fare a meno
del suo stesso “clou”, delle cinque
Annunciazioni , a raffronto, che Richter
ha desunto da quella in San Rocco a Venezia del Tiziano ( detto tra noi una meraviglia il cesto da lavoro della
Madonna, la quaglia e il melograno, ma quell’Angelo Annunciante ci fa una figura
“ pomposamente decorativa” ( Pallucchini 1969)). Se ne duole forse
Baia Curioni, che il museo di Basilea
gliele abbia negate? Si chieda piuttosto chi oserebbe affidare cose di pregio a
mani quali le sue, dopo aver constatato come per Mantova città dell’arte e della cultura
2016, che era un’occasione più unica che
rara per fare conoscere all’universo mondo la pittura mantovana del Novecento, non
abbia trovato di meglio che esporla al
faceto nell’allestimento di Quadri di un
‘esposizione di Arienti mostrandone a
sghimbescio, in festoni da chiosco, gli originali di cui è custode, in tutta la gioia
gloriosa o la bellezza del dolore
innocente che può tracimarne? E chi non si deciderebbe per un bel no categorico, irremovibile, una
volta aggiornatosi sul video prodotto per il Gay pride nelle stanze dei
Giganti, di una stupidità trasgressiva
imperdonabile, al cospetto di un Palazzo Te che può ben vantare il titolo di
monumento più licenzioso dell’arte
occidentale?
Come prestare ancora
fede a ogni asserito intento della
Fondazione di Palazzo Te, quando il fresco proclama sovranista “ll Palazzo te ai Mantovani “, fa seguito a una processione serale commovente di nostri concittadini tenuti in piedi per ore
e ore solo per una visione fugace, non più di qualche secondo, di alcuni soltanto dei quadri della raccolta
civica d’arte che Lor Signori non sono stati ancora in grado di mettere in
piedi . Di certo per
porre rimedio a tale rimediata magra, quanto a Tiziano e Richter, ci voleva
tutta la compiacenza di un direttore
ugualmente Franceschini-ello come quello del Museo di Capodimonte di Napoli, che sembra considerarlo alla stregua di una
sua collezione privata, se il nostro
Baia Curioni ha potuto ottenere in prestito l ‘Annunciazione del Tiziano che vi
è ospitata, al solo accenno invitante“ Va,
prenditi quello che vuoi di quel che vedi esposto”. Sono questi i contrattempi cui
si va incontro, senza poter più fare
marcia indietro, se tali grandi eventi, anzi
grandissimi, prima ancora di essere concepiti e di aver preso tutti gli
opportuni accordi, sono preceduti da tutta una serie di annunci pubblicitari
uno più sensazionalistico e roboante dell’altro, dopo di che ogni ritirata è
preclusa, e la voce deve ancora più intonarsi all’ Evento fenomenale, al grido nientemeno “il Futuro della cultura passa per Mantova” per coprire la scarsa racimolatura dei più pallidi intenti.
Odorico
Bergamaschi
Signor Direttore,
Comunque la si pensi dei promotori politici del referendum per la Grande Mantova, sta di fatto che sono mesi che ogni giorno li si vede da mattina a sera in Piazza Mantegna impegnati a raccogliere le firme occorrenti, per cui non è davvero il caso di sollevare dubbi sulla credibilità e serietà dei loro intenti. Tanto è vero che coloro che li additano come dei critici poco attendibili dei nostri poltronai, sono gli stessi che non mancano di rilevare che i promotori del referendum hanno suscitato l’ostilità nei loro versi degli apparati della partitocrazia e delle baronie locali. Si dà infatti che partiti quali la Lega, e il Pd, puntualmente inseriscano la Grande Mantova nei loro programmi elettorali, magari fino dai tempi di Vladimiro Bertazzoni Sindaco, ma che poi i loro eletti puntualmente si rimangino tutto, al solo rendersi conto che con l’avvento della grande Mantova chi dovrebbe decadere dal maneggio e lasciare gli incarichi sono proprio loro. Sta in questo l’arcano che spiega perché aspettare ancora che la Grande Mantova si formi dall’alto è scherzo od è follia, e l’iniziativa deve essere suscitata dal basso.
Coloro che parlando proprio nell’interesse di questi potentati amministrativi, rimproverano ai promotori “ perché ora e non prima?”, non tengono poi conto di come che la situazione sia divenuta d’emergenza, perché oramai Mantova , con buona pace di coloro che ne enfatizzano ori e tesori e finiscono per farne un outlet turistico, per il suo numero esiguo di abitanti sta perdendo ora anche il Provveditorato degli Studi, dopo avere già cessato per tale ragione di essere sede della Banca d’Italia, della Motorizzazione, dell’ Azienda Territoriale Sanitaria, della Cisl, della Uil, della CIA, dell’ARPA, e dell’ALER. Solo il più radicato localismo mentale può inoltre suscitare polemiche perché tali promotori andranno raccogliendo firme alle fiere delle Grazie e di Gonzaga, giacché non considerano che in gioco è il ruolo di Mantova come effettivo Capoluogo di una nostra provincia che sia sempre meno periferica, in vista dell’Area Vasta con Cremona.
Forse, muovendosi solo con i loro mezzi e senza sostegno di partito, i promotori del referendum hanno commesso errori evidenti, chiedendo di sottoscrivere per il referendum senza che abbiano esplicitato una propria visione di una grande Mantova futura, e che si siano affidati ai media locali per comunicarne i vantaggi indubitabili, ma ciò che è innegabile è la tempestività e l’opportunità dell’iniziativa. Un referendum è l’occasione imperdibile perché dal confronto obbligato con lo stesse forze del No, tra i favorevoli alla Grande Mantova dei diversi schieramenti emergano le concezioni strategiche che quanto ad essa ancora latitano, tanto più che oramai incombono le prossime elezioni comunali di cui volenti o nolenti sul tema della Grande Mantova, comunque vadano le cose, si incentrerà il dibattito politico. Coloro che liquidano la grande Mantova come un bluff ignorano che il principale competitore del Sindaco Palazzi sarà presumibilmente Gianfranco Burchiellaro, il quale in un suo recente libro di notevole interesse che ne anticipa la discesa in campo, Tra le pietre e la palude, ha ben chiarito che la Grande Mantova sarà il suo cavallo di battaglia, lo spartiacque tra innovazione e conservazione, su cui si gioca per lui l’alternativa” tra una città festa di corte per pochi, e una città del lavoro, dell’ambiente e della cultura per molti”, e che in merito a tale referente ideale obbligherà i contendenti a cimentarsi nelle loro idee di città e progettualità alternative . Sì dunque al referendum, con la propria firma, per aprire un grande dibattito reale sulla Grande Mantova futura.
Odorico Bergamasch Lettera inviata il 13 luglio 2018,
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L’ampliamento a via Calvi, via Bertani e strade traverse della zona a traffico limitato, mi sembra davvero che sia positivo, se serve ad allentare la pressione automobilistica sul Centro turistico, Ztl, nonché su quello storico più ampio, magari in combinato disposto con la chiusura dei parcheggi ” a raso “ in piazze quali quella d ‘Arco e di San Giovanni, magnifiche, che insieme con quella dei Filippini facciano seguito a Piazza Alberti. Si tratterebbe di provvedimenti che fanno appello ad una Grande Mantova in cui dislocare parcheggi esterni, dal 1994 risultando scarsamente praticabile l’opzione di interrarli in Centro città. Che lascia però perplessi è ciò in cui potrebbe consistere tale ampliamento: sempre più movida turistica e plateatici d’intralcio lungo i camminamenti, la cui concessione a bar fracassoni del resto non è obbligatoria? Per giunta nell’area- memoriale della nostra Comunità ebraica? In materia maggioranza e opposizione sembrano scontare una visione scarsamente critica del turismo, la cui potenza devastante può essere chiarita a partire da un esempio quanto mai rasoterra. Un mio amico in face book, grande scrittore di libri di viaggio, di ritorno dalla Croazia non ha voluto perdere l’occasione di fermarsi una seconda volta a Mantova, trovandola ancora una volta bellissima. Alla richiesta di dirmi brevemente il perché, mi ha risposto che è stato attratto da Mantova in quanto è una città piccola che non ha perso la sua particolarità. Peccato che il turismo che vi si fa attecchire sia come i banyan in India, una pianta epifita parassitaria che nel proliferare a detrimento di quella di cui si alimentò il suo seme, la fa sparire fino a strangolarla tra i fusti delle sue radici pensili, ingigantendosi ad albero-foresta di dimensioni immani. Ecco, la linfa della pianta ospitante da cui trae vita il seme del banyan che la strangola, sono arte e cultura ed impresa. Fuor di metafora, se l’intero centro storico, al pari di quello già turistico, nel suo stesso arredo viene destinato ad un restyling e ad un decoro eminentemente ad uso e consumo dei turisti, prima ancora che alla soddisfazione dei bisogni primari e di sviluppo umano dei suoi abitanti, compresi i residenti stranieri, anche quando si voglia far credere di recuperare Mantova nel suo più tipico aspetto, la si fa così diventare come non è mai stata e come sono tutti gli altri centri storici del mondo occidentale, stesse tinteggiature e stessa illuminotecnica, con sonorità, luci, plateatici, totem mostruosi di coni gelato, invasivi ad ogni decibel e piè sospinti, e perderà proprio la sua particolarità che la rende attrattiva secondo il mio amico, sopravvivendo al più come un outlet turistico, alla permanenza nel quale i visitatori già preferiscono di gran lunga i bread and breakfast fuori porta. Con il che ribadisco le ragioni di una Grande Mantova, in cui preservare la piccola Mantova dalla sua inflazione turistica, sicché prima ancora che bulimica acchiappa turisti sia innanzitutto, per i suoi cittadini e visitatori agguerriti, città d’arte, di gran gusto e di cultura, distretto all’avanguardia di conoscenza e di economia circolare, fondata sulla salubrità del suo meraviglioso habitat quale condizione e fine delle sue attività d’ impresa .
Odorico Bergamaschi agosto 2018
Un consiglio al sindaco Palazzi per quando il 7 settembre dovrà incontrare il Ministro ai Beni culturali Bonisoli: non insista più di tanto sulla Domus di Piazza Sordello, se proprio non può lasciar perdere la cosa. Per inestetica che sia, la Domus non è un vespasiano come dice la canea conformista più conservatrice della nostra città, e con pannelli o vetrate a specchio riflettenti, allestendo all’interno piante o dimezzando il muro di cinta, si può limitarne l’impatto su una Piazza Sordello che tutto è tranne che uniforme, senza aprire un altro oneroso buco di spesa solo per rimediare, con una terza istallazione ex novo, a reiterati errori di giunta che sono stati bipartisan Ben più orripilanti, a dire il vero, sono le sagome nere a dismisura dei palchi rock che vi si allestiscono. Chieda, piuttosto, al ministro, che grazie al nuovo bando di concorso siano aumentati i custodi del Palazzo Ducale, che sono solo 57 invece dei 78 contemplati in organico, quando una volta erano un centinaio. Ciò lo richiede il rispetto stesso del visitatore, che ha tutto il diritto di transitare e sostare in quanti più ambienti possibili del Palazzo Ducale, in luogo di vedersi invece chiuse le corti o le sale e gli studioli e rifilare l’annessione al Palazzo Ducale del Museo Archeologico Nazionale, da Museo del Territorio Mantovano retrocesso a Museo dell’urbe di Mantova, con tutti i falsi svianti del caso. Le oscenità cui porre riparo , mi creda, sono altre che la Domus, e la prima di esse è che per un solo giorno di chiusura extra tutta la città si sia messa contro i custodi del suo patrimonio artistico, i quali si sentono addossare dai turisti anche le colpe della disorganizzazione, e mancata informazione, su che cosa del Palazzo resti visitabile o meno.
Odorico Bergamaschi 26 Agosto 2018
Lettera redatta il 26 agosto 2018
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Leggo di una mostra in Cremona, “ Il Regime dell'Arte. Premio Cremona 1939-41”, di un’altra “Novecento “in Forli , di un’altra ancora in Milano, “ Post Zang Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics: Italia 1918-43”, della fondazione Prada, tutte ispirate ad arte e propaganda nel ventennio del duce.
A garanzia del fatto che non si tratterebbe di mostre fasciste, o addirittura fascistissime, si adduce che sono promosse da amministrazioni del Pd, curate da uomini sempre del Pd, vicini alla stesso Anpi. Ora non mi va di fare il censore, in nessun caso e per nessuna ragione, preferisco attenermi alle testimonianze e alle lezioni spirituali dei martiri del nazifascismo e del comunismo, al senso durissimo della poesia di chi ne è stato vittima come Mandel’stam o l’Achmatova, piuttosto che a quello funambolico di pittori fuoriusciti come Chagall, e lascio discettare ad altri se oramai i tempi siano così neri, e la civilizzazione amministrativa democratica che dovrebbe far fronte al neofascismo sia così assimilata ed assuefatta, talmente acritica e aproblematica, da non lasciarci più scelta, anche nella cultura civile, che tra due diversi tipi di regime reazionario di massa , quello di marca Salvini o quello di marca Macron.
Dico soltanto che qualche dubbio insorge sulla accortezza e sugli anticorpi in grado ancora di resistere degli organizzatori delle mostre, nell’azzardo di sbrigliarsi, anche così, a non lasciare il fascismo ai fascisti, illudendosi ed illudendo di contrastare meglio così facendo xenofobia e razzismo di sovranisti e populisti, se si pensa che il titolo primario della mostra di Forli era a lettere cubitali “ DUX, gli anni del consenso”, e che la dicitura iniziale della mostra di Cremona è un motto e il titolo di un volume di Hitler ( “ il Regime dell’arte).
Odorico Bergamaschi Lettera redatta il 21-23 settembre 2018
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Signor Direttore,
Leggo oggi 22 ottobre, in debita pagina interna su quasi tutti i giornali nazionali, oramai dell’ennesimo vicino italiano che uccide padre e figlio italianissimi anch’essi , in tal caso in Sesto Fiorentino, Via dei Grilli. Un omicidio derubricato a folle gesto per futili motivi, come gli assassini in famiglia della nostra recente cronaca nera locale, senza che provochi alcuna risonanza di allarme o riflessione critica nei social, non dico di certo lo sdegno che si scatena anche solo per un’ orinata fuori ordinanza sui muri, per cui subito si leva la furente richiesta di castrazione immediata, se a compierla è stato un nordafricano invece del cagnolino o del cagnolone della brava signore perbene. Eppure ci sono tutti i motivi per percepire nel fatto di Sesto Fiorentino un serio pericolo crescente, da parte di un’ opinione pubblica che parrebbe con i nervi a fior di pelle o lucidamente sensibile e avvertita quanto a tutto ciò che ponga in gioco la nostra sicurezza, se anche solo in queste settimane si è potuto leggere di un nostro connazionale che a Catania ha investito per rancore un gruppo di vicini di casa uccidendo un’anziana ottantenne, di un signore di Lecce che ha ucciso tre vicini di casa perché mettevano l’auto di fronte al suo ingresso, di un dignitoso palermitano che ha assassinato a sua volta un proprio vicino dopo una lite per il fumo di un barbecue, di un giovane nostro conterraneo dell’Alto Modenese che ha ammazzato a rivoltellate un suo coetaneo, e via discorrendo, anzi no, piuttosto compiacendosi della multa sacrosanta comminata ai vecchietti che dai balconi irrorando i fiori abbiano fatto cadere l’acqua per strada, come è accaduto recentemente a Torino, a tutela del decoro urbano per via del sacrosanto turismo. Il fatto è, in verità, che una serialità di crimini di questi tempi interessa davvero solo se può scatenare l’odio verso “ l infame straniero”, parole di un nostro Ministro dell’Interno tutto altro che super partes, con la conseguenza non indifferente che odio e paura, razziali o razzisti, si sono talmente insediati sotto pelle , che l’ avversione per lo straniero , non più solo per l’africano o il nero di colore o l’islamico, è dilagata in odio del prossimo tout court, il porto d’armi si è fatto un’attrazione fatale, pulsione di selvaggio Far West, con tutto quello che può capitare se il fucile è a portata di mano. Purtroppo, quando la socialità delle nostre cortesie di rito si disumanizza, e si è stati legittimati a diventare belve, lupi l'uno contro gli altri, compiaciuti o acquiescenti o assuefatti se a colpi di mazze di baseball o impallinati finiscono puntualmente aggrediti rom o migranti, la violenza si fa illimitata, e anche per noi, oramai, diventa quanto mai vero il lamento biblico di Lamech” Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura ed un ragazzo per un mio livido.
Odorico Bergamaschi
Lettera inviata il 22 ottobre 2018