Dopo oltre un mese, in India
In un dicembre indiano di una mite luce, ricordo come oramai remoti e distanti i giorni febbricitanti della mia partenza
dall Italia ai primi di novembre, agitati dall’ansia se ce la potessi fare ad affrontare il viaggio, nel mio invecchiamento
aggravato dalle crisi fisiche che erano insorte. Due volte mi aveva appena costretto al ricovero l’ipertensione, preannunciata dai miei
affaticamenti anche nel percorrere piccoli tratti di strada della mia città,
dal non potere più procedere senza essudorazione. Con le gambe che mi vacillavano ad ogni
gradino, ce l’avrei fatta sotto il peso dei bagagli a raggiungere la stazione,
l’aeroporto, nei contrattempi ed affanni delle soste intermedie e dei cambi dei
tragitti e dei voli,poi a muovermi in
Delhi e a raggiungere la stazione di Nizamuddin per il treno della sera per
Khajuraho? O durante il viaggio sarebbero insorte di nuovo vertigini e nausea e
vomito? Era la trepidazione freddolosa di chi pure presagiva che il cimento,
una volta affrontato e superato con tutte le avvertenze del caso, nel lasciare
l Italia e nel transito per Mosca come nelle traversie per raggiungere in Delhi
Pahargangj, si sarebbe disciolto nella dolcezza brumosa dell’India anche dove
sui suoi rifiuti gracidano corvi, nel
primo mattino in cui si rianima la sua
capitale, nella gioia al risveglio
di ritrovarmici tra
Kailash e i nostri bambini
avviati alla scuola, anziché solo tra le mie stanze in Italia, a fronteggiarvi
la mia vita come se già vi fossi nel mio
loculo mortuario , di ordinarvi a poco a poco le opere e i
giorni mentre nel cortile accompagna il
mio risollevarmi e riprendermi
l’acciottolio delle stoviglie che sta lavando Vimala. Immaginavo che in
giorni tranquilli non avrei dovuto che confermare nel lavoro o nella scuola
intrapresa Kailash, Chandu, Poorti
edAjay, avevo già assegnati i miei ambiti di ricerca e le mie
possibilità di viaggio, e solo Mohammad supponevo
che restasse problematico, ma perché credevo
che dovessi forzarlo a restare a Khajuraho finchè non fosse guarito
dall’infezione che aveva contratto lavorando in Delhi in uno stabilimento
chimico, mentre egli avrebbe voluto ritrovarsi
al più presto nella capitale, ed in quanto temevo che l’intensificazione del
nostro rapporto l’avesse già condotto al fallimento, sotterrato
soggiacente al fatto che solo io avessi
tentato di riprendere dall’Italia i nostri contatti, e che le poche volte che mi aveva risposto
fosse stato come per scherno o rancorosa
disperazione, come quando era in Delhi afflitto dal male e senza niente e
nessuno. Invece i primi giorni che mi sono felicemente ritrovato in Khajuraho è
stata la più gioiosa delle sorprese che
egli ogni mattina e di pomeriggio mi abbia invitato a casa sua o tra meravigliosi campi cinti da altissime
piante, perché stessimo insieme a discutere di grandi cose come dei nostri casi
immediati, luminoso e sereno nei suoi tratti in cui si era accentuata l’insorgenza dell uomo nei suoi aspetti infantili e giovanili. Già
in Delhi, in brevi magnifici giorni mi era stato dato di ritrovare nella nuova
biblioteca nella nuova sede immensa dell’Archaelogical Survey non solo i testi
che ricercavo su Kalinjar, ma con il frutto del suo lavoro raccolto in volumi
ed in un agile libretto l’archeologo che aveva condotto le indagini più
approfondite sui templi di kadwaha cui
intendevo fare ritorno in un mio viaggio e nei miei studi, e di prendere
contatto con lui. Ed in Khajuraho non avrei potuto ricevere accoglienza
migliore da Kailash e i nostri cari, come da chi mi ci rivedeva nel viavai
quotidiano o tra i propri clienti abituali. E se per le mie ristrettezze
economiche dovevo adattarmi a trascorrervi quasi tutti i miei giorni in India-
finora me ne sono allontanato per un giorno solo per recuperare dati ed
immagini dei templi hindu in granito di Doni, una escursione insieme ad Ajay che è diventata una
vera avventura, per lo stato della strada interamente distrutta per il suo
rifacimento, che reca a Doni da da Nowgong -, una breve diversione sulla
sinistra dal tratto di strada che reca al Chausat Yogini Mandir mi faceva
scoprire nella stessa Kajuraho il basamento di un tempio che ancora ignoravo,
la pagina in merito di Krishna Deva mi poneva sulle tracce dei resti di un
tempio jain ancora più a sud presso il ristagno di un fantomatico tal NIshoi
che non ho ancora ritrovato, e le festa a fine novembre in onore di Kartikkeya
mi dava l’occasione di inoltrarmi di villaggio in villaggio lungo la strada che
reca alle Raneh Falls, e di unirmici
alle luci e ai colori delle donne che celebravano puja in onore del dio della
guerra. Mohammad era in vena di celie amabili e deliziosamente divertenti, al
Madur cafe quando credevo che volesse magnificarmi come un sadu nella mia indianizzazione, dicendomi che
non ero un uomo occidentale, era invece per schernirmi che fossi come un adivasi
, un selvaggio aborigeno, per il modo in
cui leccavo con la lingua anche lì involucro di un delizioso muffin. “ Dovresti
rivestirti di foglie di alberi” soggiungeva sarcastico. Felice in tanta
familiarità di essere pur sempre e ancora il suo guru di elezione, gli ho
chiesto tra le altre cose se fosse ancora muslim. e “ muslim o non muslim, mi
ha risposto, io sono un essere umano innanzitutto”. Mi inquietava soltanto che
avesse iniziato a fumare mariuana, e che
non si trattasse solo del residuo delle scorte che ne aveva fatto in Delhi,
dove era stato il padrone dello stabilimento in cui lavorava ad averlo avviato
a consumarne, le sere in cui gli chiedeva
di restare con lui nell’appartamento che si era creato nella fabbrica,
facendogli anche bere alcol e saggiare le sue prostitute. Era ancora
giovane e non intendeva sposarsi, gli aveva detto che voleva cambiare pietanza ogni sera per cena.
Aveva un bel ripetermi che non assumeva
marjuana e alcol per assuefazione, che
poteva smettere come e quando voleva. Di fatto lo ritrovavo ogni volta con i
suoi amici abituali e intento con loro a fumare di nuovo, sapendo come rifarsi
a chi lo approvvigionasse di droghe ed alcolici, pur senza avere in tasca una rupia. Sapeva benissimo così facendo che cosa volessero
farne di lui, ma si sentiva padrone del gioco, laddove io solo avevo esperienza
di come ne uscisse trasformato. Il decorso ero lo stesso che aveva manifestato Kailash. Non riusciva a
farne a meno in preda all’angoscia per la sua situazione, al ritrovarsi senza
lavoro e senza un soldo in tasca, tra famigliari insofferenti della sua
realtà, in uno stato iniziale di
evasione scherzosa in un mondo ludico. Mi invitava allora a che anch’io ci
provassi , per amicizia, poi per amore, chiedendomi di farlo di nuovo perché
non aveva ben visto quanto il fumo l’avessi aspirato. Quando a distanze di ore o di giorni lo
ricontattavo, dopo che egli era andato
ben oltre, specie con l’alcool , come Kailash non aveva che parole d’odio
e di
crudeltà ricattatoria, prive di
qualsiasi affetto e gratitudine. Dietro
le sue professioni di dolore esacerbato sapevo fin dall’inizio che si
nascondeva una richiesta di denaro, che non sapeva a chi altri rivolgersi che
gli appianasse il debito che aveva contratto per recarsi per lavoro una prima volta
a Delhi, ma come con un sorriso
conciliante lo invitavo ad essere esplicito, si ritraeva e affondava il morso,
dicendomi che non mi preoccupavo che di questo, che volevo solo disfarmi di lui
perché nonb mi pesassero più le sue richieste, che lo trattavo solo come un
mendicante e che lo facevo sentire tale. “
Questa è l ultima volta che ci
vediamo.” Oppure “ ti telefono per l ultima voolta solo per dirti ancora
questo” “ Non voglio più vedere la tua
faccia…”. Così è stato soprattutto quel giovedì in cui si è fatto vagabondo, dopo avere litigato con
i suoi perché a suo dire a differenza di
quando lavorava lo facevano sentire un peso, e per la collera lui aveva
stracciato le proprie vesti e degli abiti del padre e del madre, rendendosi
irreperibile. Al Madhur cafe dove di sera mi aveva dato una sorta di ennesimo
ultimo appuntamento, mi ripeteva che sarebbe rimasto lì al freddo per la tutta
la notte, senza più una famiglia o una casa cui volesse fare ritorno. Ma appena l ho assicurato che l’indomani avrei pagato
in parte il suo debito, tutto è
rientrato nell’ordinario, ed ha mosso subito
i suoi passi verso la dimora di un amico
in cui ha pernottato. Come
Kailash puntualmente non ricordandosi
più nulla l’indomani, di ciò a cui aveva esposto le persone più care mettendo a dura prova il
loro amore ed affetto. Come Kailash nei suoi riguardi, dicendo le cose che potevano più ferirmi ed essere più atroci
sul suo conto. “ Tu sei solo un suo schiavo,” his gulam”, lui è il tuo re, “
he’s you king for You. Ti sta solo usando, come ti stanno usando tutti coloro
che sono di Khajuraho. Prima beveva ed ora spende al gioco i tuoi soldi”. Come
se il fare esperienza, il vivere la vita come una prova che ti tempera , ti
rivela a te stesso nel metterti a cimento e ti fortifica o ti fa cedere,
sempre al bivio tra resistenza e resa, per cui lo avevo invitato a vivere la
miseria che no lo aveva ancora stroncato
come una sfida permanente che gli riproponeva la sua vita quotidiana, -al che
con la crudezza del suo realismo affamato mi aveva replicato in tutta risposta
“ come se nei negozi mi offrissero cibo e vestiti in cambio della mia
esperienza!...-, come se tale
intendimento del destino che mi ha legato di fatto per sempre a Kailash, non fosse
già di per se esposto alle più
dure e scorticanti delle verifiche. Già quando ero in Italia
avevo appreso per il tramite di insinuazioni malevole di M. che Kailash stava acquisendo un terreno per costruirci
una casa, tramite una rinuncia del padre a
favore di Vimala dei fondi governativi che gli spettavano come contadino- barbiere, secondo una nuova legge nazionale voluta da Modi, che
obbligava in tal senso i vari Stati
indiani. Ho voluto vedere quanto prima
tale appezzamento, che era quanto Kailash non aveva ancora fatto, a riprova che tale iniziativa l’aveva
piuttosto subita che assecondata. Mi ci
ha portato Ajay a vedere il terreno,
situato in una zona che più che
al tempio al dio Vamana , come
Kailash mi aveva affabulato, era prossima ai miasmi e agli
acquitrini di un’umidità infestante di insetti del Tal Ninora. Kailash mi aveva
detto di una colonizzazione o urbanizzazione imminente dell’area, ma tranne una
o due dimore ancora in costruzione in cui erano già insediant i loro abitanti,
tra sentieri sconnessi che inoltravano tea l incolto circostante, e pali e
cavi di energia elettrica a centinaia di metri di distanza , di tale
urbanizzazione del tratto di terreno in cui Kailash avrebbe potuto delimitare
il suo appezzamento non vi era traccia alcuna. Co n Ajay cercavo di minimizzare lo
scoramento, dicendogli quale mia prima impressione e referto che in ogni caso
era davvero il caso di non avere fretta, di aspettare. Ma il procedere delle
mie considerazioni si faceva impetuosità di giudizio. “ E qui come potranno
giuocare e avere amici Poorti e Chandu? Di qui chi li accompagna a scuola o al
mercato? Chi viene in soccorso in caso
di aiuto? L ‘area è davvero pericolosa, specialmente di notte..” Conclusione di
Ajay, che bisogna aspettare almeno 20 anni perché vi avvenisse una
colonizzazione, mia, a più corto raggio, che per insediar visi avrebbero dovuto
ridursi tutti quanti nella condizione di tafarias, insediati tra lamiere,
stracci e cartone, e che il terreno si prestava piuttosto solo per essere coltivato. Il giorno seguente inducevo Kailash ad accompagnar mici, perché constatasse
di persona a che cosa aveva consentito,
contando ovviamente sul mio contributo indispensabile per portare a compimento l
opera che aveva lasciato intraprendere Tra una constatazione cruda e amara e l’altra
aveva modo di farmi pervenire a sapere che occorrevano prima o poi 50.000 rupie per ultimare l’acquisto. Mentre seguitava a parlarmi come se non mi
mettesse alle spalle al muro di fronte a
tale fatto compiuto, vaneggiando di
quali ortaggi o leguminose o cereali potesse impiantare nel terreno, mi faceva
sapere di un altro terreno del quale con il padre aveva trattato in precedenza, in
un’area in cui c’erano già insediamenti e servizi, e dove avrebbe preferito
stabilirsi, perso il tempio Duladeo., lasciandomi costernato quando mi diceva
della ragione oppostagli dal padre a cui aveva ceduto, a parte il fatto non
irrilevante che il proprietario del lotto di terreno, ch’io ben conoscevo,
chiedeva di meno ma non nei termini di pagamento dilazionati delle autorità di
governo “ E poi mio padre non voleva perché
tutto intorno vi erano dalit”. E dire che in Sewagram viviamo dirimpetto a una famiglia di fuori casta
lavandai e di musulmani agiati. Ma il
colpo più duro era ancora di là da venire e ad infliggerlo sarebbe stato Ajay. In capo a una settimana, si era alla fine di novembre, mi è toccato di accedere alla mia banca tramite internet per ricaricare la mia carta
prepagata, per anticipare e mandare a
buon fine gli accrediti di abbonamenti o i miei acquisti di e-books. Alla videata delle mie carte di pagamento scopro che è stata usata due volte una mia
carta di credito, quando io ho fatto ricorso unicamente ed esclusivamente alla
più recente delle carte di debito.
Risalgo immediatamente facendone consapevole Kailash all unico autore possibile del furto, Ajay, reo confesso di ritorno da scuola,sotto
l incalzato dal fare furibondo e
minaccioso di Kailash, alla stregua di un agente di polizia più che del padre
che così spesso ha mancato di essere nei confronti del figlio. Ajay l’avrei invitato
la sera al lassi corner per un chiarimento e un atto riparatorio, ma la sua
contrizione pentita era quella di un cobra, avrebbe riparato andandosene via per lavorare, manco parlarne di riavere indietro quanto
potesse recuperare dell’ammanco infertomi di oltre 200 euro, non era certo
disponibile a dirmi come quei soldi li
avesse spessi, se non che doveva risarcire i danni arrecati a un’auto guidando
la motocicletta di un compagno, resisteva di fatto a strenua difesa di quel che
aveva commesso, e n capo a un giorno si sarebbe già ravveduto di ogni
pentimento. Quel che di certo voleva in quegli istanti era sottrarsi alla vista
del padre, talmente lo sentiva
maldisposto nei suoi confronti, e ne aveva ben le ragioni, Kailash era giunto a brandire un coltello da
cucina che non era certo l’arma più propria per ucciderlo, disperato di avere
un figlio diciottenne su cui non era lecito fare alcun affidamento, in cui
non nutriva alcuna fiducia e in cui avvertiva più lo scoglio di un
problema disperante che un figlio da
amare, nei confronti del quale benché fosse arrivato all undicesima classe
seguitavo io stesso a incollerirmi spazientito,
accertando che non fissava niente di niente del corso di biologia che
gli tenevo, a dispetto della mia passione per protisti, o monere, vedendo che
per parte sua non assumeva alcuna iniziativa, né di tenere aperto il nostro
negozietto di handicrafts né di aiutare il fratello in difficoltà, o la madre a fare ricorso alla lavatrice.
Certo, per placare il
furore disperato di Kailash e farlo rinsavire non era solo un rito d’obbligo
rinfacciarli le nostre mancanze di fiducia e di amore nel figlio, quanto
avessimo approfittato del suo non chiedere mai niente e privarsi di
tutto, era la verità salutare su cui non
potevo però contare nei tempi
brevi, talmente la sua mente cadeva
sconvolta se gli riferivo altre mancanze
del figlio, che mi avesse richiesto di approfondire le differenze tra
scissione e fusione nei processi riproduttivi, per poi andarsene via per conto
proprio.
“ Io lo uccido! Lo uccido! “ era giunto a gridarmi di fronte
all’hotel dove lo avevo raggiunto. Er’ stato
per me istantaneo ricordarmi di quando al telefono, alla morte di Sumit, era
riuscito a dirmi poche dopo il decesso del nostro Bimbo” Non poteva morire Ajay
al suo posto?” “ Kailash è stato bene
che tu abbia detto a te stesso quello che senti. Non devi sentirti male per questo. Ancì’io ho
tante volte voluto che mia madre morisse, mi sono augurato che vecchia com’è la finisse
di ridurmi in miseria per il suo mantenimento, ma usare la mente e il cuore è
un’altra cosa. Pensiamo insieme
piuttosto al da farsi per Ajay” Ha finalmente compreso insieme con me che non
possiamo più far crescere Ajay senza soldi e senza senso di responsabilità nell’usarli, comìio non posso
pretendere di lasciarlo a stecchetto e
poi deplorarlo che benché abbia scelto biologia come specializzazione non abbia
inteso niente di niente della fonda mentalità in natura e per noi stessi della
fotosintesi clorofilliana.
Quanto a Chandu pur con tutto l amore che in me suscita
questo figlio del mio cuore , non ho potuto più di tanto nel volgere in
burla piangiucchiando sul fatto che il
mio Chandu fosse a donkey, un vero
somarello, di fronte agli esiti catastrofici di certi esami intermedi, ancora
zero/ cinquantesimi e 2/ cinquantesimi nei dettati di hindi e di inglese. Ed io
che confidando nelle mie contromisure educative, annacquate nella polpa
zuccherina del mio adorarlo, gli avevo
acquistato lo spartphone delle sue brame….
Mohammad , di suo,
seguitava a mostrare ogni sintomo di peggioramento restandosene in
Khajuraho., seguitando a bere e a drogarsi, finanche una pistola è riuscito a
farsi concedere da un amico, con nel cuore lo strazio che riemergeva per le
nozze imminenti della sua Mouskan. Né le
cose miglioravano a seguito del suo duplice andirivieni da Kanpur, nell’andare
a prendere e riaccompagnare parenti, una
vera e propria stoltezza dei suoi genitori, che così vanificavano ogni mia
sollecitazione a che raccogliesse lì’invito a trasferirsi a lavorare in un
hotel di lusso di Sagar, fornendogli un diversivo .Da Kanpur mi raggiungevano
le solite sue invettive di cui si sarebbe dimenticato del tutto il giorno
dopo, nell’esercizio lucido e crudele di
addebiti e rampogne, che prima di ripianargli il debito contratto per recarsi
una prima volta a Delhi, avessi voluto accertarmi che per sanarlo non
si fosse servito dei soldi che gli avevo
trasmesso per pagare ad Abbaz l’affitto mensile del deposito in un suo vano dell’arredamento dell’ufficio
del bapuculturaltours, ritenendomi in dovere di rimettere per lui il suo debito se lui avesse rimesso i miei soldi ad Abbaz,
che nel dargli i soldi per recarsi in Kanpur,
poco più di 300 rupie, mi fossi doluto che non li avesse richiesti o potuto
richiedere a l suo ricco parente bilal o all’ancor più ricco Abbaz. Perché non
avevo creduto alla sincerità dei suoi propositi, quando un anno fa, volto dall’alcol al pentimento delle sue
malefatte, mentr’io lo trattenevo dal picchiarsi sul volto mi confessava quanto
mi avesse derubato delle mie rupie nei corsi di tutti questi anni?
“ Io voglio seguitare a fumare mariuana e a bere alcool fino
a morire” “ O il carcere o la morte” “
ho sentito tutta la voglia di aggredire qualcuno pur di fare mio il suo denaro”---
Ma domenica scorsa al
lassi corner mi parlava un Mohammad Anas meravigliosamente già uomo, che mi chiedeva di aiutarlo a raggiungere Delhi
per un secondo tentativo di trovare lavoro che sarebbe una vera occasione,
se quanto gli è stato ripromesso corrispondesse al vero: un impiego come
supervisore d’0area nell’aeroporto di Palam in Delhi, 14.000 rupie di
stipendio, vitto e alloggio e cure
mediche assicurati. Se nulla interviene a stornarci partiremo tra due ore in
treno. Dico e penso questo perché poche
ore fa, quando è stato da me mi ha confessato quanto Muskhan sia ancora infissa nel suo cuore, se
è perché la lontananza lo induca a dimenticarla la ragione principale che lo
induce a volere andare via da Khajuraho. Benchè lei ami il suo futuro marito, a quanto
lascia credere,- sarebbe altrimenti una tragedia-, è stata con lui al telefono da mezzanotte fino
alle cinque, per chiedergli di non amare mai nessun altra, una volta che lei
sia sposa, perché lui è ancora qualcosa” nel suo cuore. “ Ancora qualcosa’ ho
fatto eco- Solo ancora qualcosa?” “ Le
ho chiesto anch’io , che voglia dire solo ancora qualcosa”. Lui riesce ancora a
ingelosirla, se per averle finto di amare un’altra ragazza,
neanche cinque minuti dopo lei l’ha ricontattato al telefono. Siamo
ancora tra i due alle scene incendiarie, alle dichiarazioni reciproche di voler
uccidere l un l’altra, a lui che prende
sul serio le parole di lei e si presenta al suo ingresso di casa nel cuore
della notte con un proprio coltello, per uccidere prima lei e dopo lui, senza
che lei, affacciatasi in alto, abbia manifestato alcuna intenzione di aprirgli
l’uscio di casa.
“ Ma oggi sono come un robot”, mi ha detto per
tranquillizzarmi,
“ Anch’io- ho celiato. Nel ripetermi sempre che è il mio dovere fare si che tu
parta, fare si che tu parta, quando poi senza di te”, amore mio.
Le ultime cose che mi ha detto Kaiulash, che ieri ha
propiziato l’acquisto dei nostri biglietti, è stata di lasciare 400 rupie ad
Ajay prima di partire. Certo , non senza
avergli prima raccomandato di anticip
infiorescenze e l’introduzione alle
biomolecole. Ajay è stato di ritorno di li a poco con due confezioni di riso al
curry.
“ li conosco i ricchi. Il mio padrone d’hotel non lascia una sua sola rupia ai poveri”
Io credo invece che Mohammad dica il vero, ciò a cui aspira
e che si avvererà, quando mi promette che un giorno mi compererà una Ferrari.