giovedì 28 novembre 2019

L'arte di Giuseppe Bazzani


Signor direttore,
quanto alla bellissima mostra che grazie soprattutto ad Augusto Morari fino al 6 gennaio del 2020 nel Museo Diocesano consente di ammirare l’opera pittorica e i disegni del più grande pittore nativo di Mantova, Giuseppe Bazzani, a 250 anni dalla sua morte, qui vorrei dire che cosa ritrovo di grande nei dipinti e nei disegni che vi sono esposti , onde sollecitare ad andare a vederla, chi mi legga. Mi terrò dunque alla larga dalle diatribe su ascendenze e influenze delle opere di Bazzani, e sulle periodizzazioni controverse inflazionate dal poco o nulla che si sa sulla sua vita, per cercare invece di far luce su come un pittore marginale quanto poteva essere ai suoi tempi la stessa città di Mantova dopo la caduta dei Gonzaga e la sua relegazione alla periferia estrema dell’impero austriaco, sia riuscito a convertire il suo isolamento nella più intima e libera adesione della sua arte al suo sentire interiore, sino a diventare un artista assolutamente universale , almeno il primo nostro pittore di vaglia europea Difficilmente sulle sue tele si schiarisce l’ imprimitura cupa, di fondo, del suo senso della vita come trepidante sofferenza senza quiete, di cui la fede cristiana sembra addensare più che fugare le angosce più profonde, innanzitutto quanto alla realtà ineludibile della nostra morte terrena Così i suoi fondali, abbandonati i trascorsi giovanili di scene e tele di palazzo allegoriche e magniloquenti, e con essi l’ostentazione della sua assoluta pienezza di mezzi formali e compositivi, tendono a farsi un mero contrasto di chiaroscuri agitati, da cui al più emergono solo colonne come quinte storiche, fronde squassate da turbini. Da tali meri paesaggi dell’anima le figure devozionali e dei personaggi biblici o dell’ antichità pagana sono evocate ora come le comparse di larve appena individuabili, ora in una corposità di protagonisti raramente soffusa e morbida, dal tormentato profilo tortuoso continuamente frangentesi, nei panneggi di inquieti balenii zigzaganti, e questo perché sia la luce , in una spiritualizzazione geniale del suo ravvivare il colore, a disvelarvi i nodi sentimentali e drammatici che avvincono le figure , illuminando il protendersi e il ritrarsi o l’abbandono dei corpi, l inclinazione espressiva delle teste nella loro gola, siano rappresentate scene della Sacra Famiglia allargata, la Vergine e il Cristo compianto, i santi in adorazione ed estasi. E la luce si addensa abrasiva, corrodente sino all’ incandescenza, in filamenti bianchi o in grumi di colore, che contrastano con la stesura più piana delle parti ove regna l ombra. e nei tuoi guizzi la pittura di tocco raggiunge certi estri estremi, come nei pizzi dell’abate Petrozzani di Santa Barbara o nel velo della figlia di Jefte. Sottostante, una semplicità compositiva di sbalorditiva bravura, nel disporre le figure in “ strutture piramidali attuate per incroci di assi obliqui” ( Chiara Tellini Perina) , lungo diagonali che non pregiudicano mai l equilibrio e la ponderazione visiva delle parti rispetto all’ asse mediano del dipinto o del disegno, Al centro assoluto di tale intensità drammatica, la cui tragicità non è più drammaturgia, come lo era ancora nei dipinti di palazzo d’ Arco, il dibattersi di luce ed ombra, di fragile grevità terrena e di esaltazione divina , l una compartecipe dell’altra, nella dolorosissima figura del Cristo, la cui rappresentazione è l’acme dell’arte del Bazzani . Egli è Gesu Bambino che sguscia in una vitalità ancora inconsapevole tra le braccia di una madre che sa del destino del figlio, e poi, già nel Battesimo, nei suoi atti miracolosi, nella sua Passione, alfine nella cena di Emmaus e al confronto ultimo in Tommaso con la debolezza umana , Egli è fondamentalmente l’incarnazione nel dolore estremo del servo sofferente di Isaia. Per Bazzani Egli è venuto nel mondo sostanzialmente per farsi portatore di tutta la sofferenza degli uomini, per patire e compatire, come nel suo sguardo volto all emorroissa, per bere fino in fondo il calice dell’angoscia dell’uomo per la propria mortalità. Nell’adorazione dell ‘ orto, soccorso Egli da un angelo, sotto la croce che lo strema, il Gesù di Bazzani ha già davvero la morte nel volto, e nulla più che le sembianze livide o sbiancanti del Cristo deposto dalla croce, con il viso disfacentesi in un grumo terreo d’ombra ,mentre la luce rivela solo già il procedere del suo decomporsi, nulla più che il disfacimento cadaverico proprio di chi alla morte avrebbe tolto il suo pungiglione, rivela l angoscia e i dubbi di fede del pittore, tanto che nel miracolo del bambino che S. Mauro resuscita disattende ogni rianimazione pittorica del piccolo, nel transito di Giuseppe protende a Cristo il proprio stesso corpo consunto. Nel suo essere vero uomo e vero Dio, nel grado più alto possibile, il Cristo di Bazzani è vero cadavere ai piedi della Croce prima ancora che vero risorto, luce di gloria proprio nelle tenebre del patimento estremo,- sicché non è un caso che Bazzani, distoltosi dalle mondanità dei palazzi per le sole committenze di chiese di città e di campagna del mantovano, non realizzi alcuna immagine pasquale del trionfo di Cristo risorto sulla morte . Con i dipinti delle Deposizioni del Museo Diocesano, del Cristo nel Getsemani sorretto dall angelo , sono un culmine, in sintonia, del Bazzani grafico che la mostra opportunamente esalta, sublimi per intensità tragica non meno che per virtù compositive e degli scorci di volti e di corpi, i disegni altissimi delle scene di via Crucis della Fondazione d’Arco, di una remissività del Cristo al dolore morale dell ‘ingiusto giudizio e a quello fisico del patimento sfinente della Croce, la cui apprensione emotiva è quanto meno straziante. Indimenticabile il solo sguardo che può rivolgere alla madre nel loro incontro lungo il calvario, per comunicarle il senso di tutta la propria Passione, di cui uando era tra le sue braccia lei poteva avere solo il presagio. E a significare l’indifferenza del mondo al suo Salvatore, ecco comparire come nelle scene di Alessandro, già in Vulcano ed Eros, o nel proprio autoritratto, lungo la stessa strada di Emmaus, la figura di un meraviglioso cane, che dal Mantegna, a Rubens, al Fetti, è insieme con il cavallo, la cui equinità ha un così grande risalto giuliesco, l'altro animale mirabile dell’arte figurativa di Mantova

Nessun commento: