venerdì 29 novembre 2019

il caso " Falsetto" ( Ascendenze montaliane )


Ascendenze monta liane ( Il caso” Falsetto”)

Se per quanto concerne il mottetto delle Occasioni “ Addii, fischi nel buio, cenni, tosse” dalla critica letteraria è stato evidenziato l ‘implicito richiamo e rimando alla ode barbara carducciana “ Alla stazione in una mattina d’autunno” ( significative, in proposito, come ha messo in luce l’analisi variantistica di Dante Isella, la sostituzione di “suoni di tromba”, nel primo verso, con “fischi nel buio”, trasmutazione dei versi 31-32 dell’Ode carducciana . “immane pe’l buio / gitta il fischio che sfida lo spazio, o “gli sportelli abbassati” in Montale, variazione minima degli “sportelli sbattuti” carducciani , per non tacere la ripresa nel mottetto del tema degli altri viaggiatori resi estranei, al Carducci dall’inerzia dolorosa dell’accidia, per entrambi dall’ennesima frustrazione del distacco e del farsi assente della persona amata), invece non mi risulta che sia stato finora riportato in luce che già un antecedente testo illustre di Montale è la metamorfosi superiore di un altro testo carducciano; e mi riferisco a “Falsetto”, del 1924, che se sfogliamo anche solo le “ Poesie scelte “ di Carducci negli Oscar Classici Mondadori, e a pagina 213 la poniamo a diretto raffronto, del 1881, con un’altra pur meno insigne “ barbara”, ossia “ Saluto d’Autunno”, vi ha luogo l’agnizione inequivocabile del suo archetipo.
Falsetto

Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.

La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua’ è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.

Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.

Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.


Ossi di seppia (Mondadori, 2001)

Saluto d’autunno
Pe' verdi colli, da' cieli splendidi,
e ne' fiorenti campi de l'anima,
Delia, a voi tutto è una festa
di primavera: lungi le tombe!

Voi dolce madre chiaman due parvole,
voi dolce suora le rose chiamano,
e il sol vi corona di lume,
divino amico, la bruna chioma.

Lungi le tombe! Lontana favola
per voi la morte! Salite il tramite
de gli anni, e con citara d'oro
Ebe serena v'accenna a l'alto.

Giú ne la valle, freddi dal turbine,
noi vi miriamo ridente ascendere;
e un raggio del vostro sorriso
frange le nebbie pigre a l'autunno.




Innanzitutto pressoché lo stesso si disvela il tema di fondo: ossia il poeta che celebra la vitalità che gli è preclusa in una giovane donna, Delia/ Esterina alias Ester Rossi, impavida ed imperturbata dall’idea della morte e del tempo a venire. E comuni risultano ugualmente determinati motivi essenziali che costituiscono il tema principale: la disinvoltura con cui la giovane donna può rimuovere l’idea della propria sorte mortale e del suo futuro incerto; la sua virtù di sventare l’insidia che le recano gli anni; l’atteggiamento di contemplazione inerte della vitalità di lei che è riservato al poeta, che ne figura ugualmente impartecipe in posizione contrapposta, giù nel fondovalle mentre lei sale in altura, il Carducci, ( “giù nella valle, freddi dal turbine, noi vi miriamo ridenti ascendere), a permanere a riva mentre ella si tuffa nel mare, analogamente Montale ( “ ti guardiamo, noi della razza/ di chi rimane a terra!).
E c’è altro di testamentario: a certificare l’origine da “ Saluto d’autunno” di “Falsetto” corroborano l’autentifica le ulteriori evidenze di metafore simillime: la fiducia nel futuro che prevale sugli oscuri presagi, infatti , è espressa da entrambi i poeti ricorrendo all’immagine di un risuonare favorevole di strumenti celestiali ( “Salite il tramite/ degli anni e con citara d’oro/Ebe serena v’accenna a l’alto..”( Carducci), “ Un suono non ti renda / qual d’incrinata brocca/ percossa; io prego sia/ per te concerto ineffabile di sonagliere…”( Montale); mentre le difficoltà e le inquietudini che si addensano e che la giovane donna agevolmente travalica sono espresse dalle immagini affini “ delle nebbie pigre a l’autunno” e della fumea che il vento lacera o addensa”. E in entrambi i testi v’è un corso e ricorso di primavere e d’autunni.
Alfine, suggello ingeminato di “Saluto d’autunno”, incastonato ancora più a rifulgere in “ Falsetto”, (voilà, che) a sgominare le tenebre residue di ogni infugato dubbio, ci si offre il prezioso che costituisce il debito più alto e più esaltante di Montale, nei confronti di saluto d’autunno: ossia , ancorpiù magnifico nella risignificazione assuntavi, lo splendido sintagma del “divino amico”, che in Carducci è il sole che inaureola la bruna chioma di Delia, in Montale il mare nel cui abbraccio Esterina si tuffa. lla luce di tali evidenze clamanti, a differenza di quanto ha di recente scritto Ettore Bonora ( a pagina 47 di La poesia di Montale. Ossi di seppia Padova, Liviana, 1982), Carducci non risulta più affatto estraneo, pertanto, al neoclassicismo giovanile di Montale, di cui “Falsetto” è indubbiamente l’esempio più alto, e si fa invitante la ricerca di quanto l ulteriore opera poetica di Montale gli sia debitoria, oltre i casi già scoperti . A parte “ Falsetto”e “Addi, fischi nel buio, cenni, tosse”, già Pier Vincenzo Mengaldo ha riconnesso l’espressione “ t’attedia”ricorrente nei versi “ e t’attedia la ruota/ che in ombra sul piano dispieghi” di Fuscello di Montale, a “ o Miramare, a le tue bianche torri/ attediate per lo ciel piovorno… “ del secondo verso di Miramare., ed il “se ne illustra” del verso montaliano “il cavo cielo se ne illustra ed estua” di “Marezzo” al verso 37 carducciano di “ Pe’l Chiarone di Civitavecchia” , “ il sole illustra le cime”; mentre l’Isella , nel commento già citato dei Mottetti”, dai lombi dell’ “Inno a Satana “, verso 170, “ Un bello e orribile mostro si sferra”, ha fatto discendere del mottetto “ Il fiore che si ripete” il si sferra” del verso “un cigolio si sferra, ci discosta”. Tali e tante e così schiaccianti sono le prove che di “Falsetto” “Saluto d’autunno” fu la matrice, che si potrebbe considerare l’affare di tale filiazione un caso con archiviato. Ma a precludere ogni acquiescenza è l insegnamento del pensiero genealogico che un’ origine ultima non esiste mai; tantomeno in letteratura. Se Delia di “Saluto d’autunno “ è la genitrice certa di Esterina di “Falsetto”, ha dunque da sussistere già un’immediata avola comune, pur sempre progenie a sua volta di ulteriori stirpi, cui forse è ora senz’altro facilissimo pervenire , per sentieri tut’altro che interrotti, bensì disseminati di spie e clamorosi indizi, tanto la pagina canta; innanzitutto a quel “ Salite il tramite degli anni”, che ci rimanda ad un salire assai prima terminato, “ sul limitare/ di gioventù” e a “ la bruna chioma di Delia”, come inanellata pria a più famose “negre Chiome”. Eppoi le tombe, pur anco, che Silvia, lei , appunto, addita morta da lontano, mentre delia, nella natura contrastiva che appare assumere il loro rapporto, quale “ lontana favola” ne distoglie da sé il pensiero remoto, “ lungi le tombe”, iterato per due volte, a significare quanto Delia, come Esterina, le anti-Silvie della nostra letteratura, in conformità con il mito superstite della loro incoscienza si disimpegnino con tutte le forze della loro vitalità dal farsi coinvolgere letalmente nella cadute delle speranze del poeta, protese a non divenirne affatto, con la loro morte fisica, prematura l’allegoria defunta.
Sintomi incalzanti che neo-leopardiano è anche il solidale contesto di “falsetto” in cui tali spie segnaletiche si inseriscono, a loro volta si disvelano leopardiani nel timbro i congruenti stilemi montaliani , a ricorrervi, de “ la dubbia dimane” e del “ sorridente presente”. E sempre ostinandoci, se non accanendo, nella ricerca di antenate di Esterina immanenti nel testo, ”l’intento viso che assembra l’arciera Diana” in lei, 8 forse nel suo disdegno di ludi sessuali, a tutto vantaggio di quelli natatori, che appagandola ne preservano l integrità), non ne richiama forse, altresì, più remore e pur sempre illustri ascendenze liguri? Nell’aspraLiguria già avendo avuto la sua natal patria altra giovane già assembrata alla casta figlia di Latona, se a Simonetta nata Cattanei di Marco Vespucci, alla di lui teda legittima poi soggiogata in Etruria, tali sono gli accenti che nelle Stanze del Poliziano proferisce Julio già sconvolto d’amore: “ O qual che tu sia, vergin sovrana, / o ninfa o dea, ma dea m’assembri certo; / se dea, forse se’ tu la mia Diana”.
“ hai ben ragione tu…”, commenta Montale il “crollar di spalle” di Esterina, che a lei basta per rimuovere ogni molesta incertezza d’avvenire; così come “ Forse/ gli automi hanno ragione” nelle loro esistenze murate negli scompartimenti dei treni, secondo il suo sentenziare poetico nel mottetto di cui è ugualmente in debito con il Carducci.
Il che ci fa indulgere a un ultimo ulteriore sospetto conclusivo: che dove Montale riesuma Carducci sia in particolare laddove ha di che ben dare ragione a esistenze meccaniche e incoscienti; laddove si auto denigra spiritualmente; come già in “Davanti San Guido “ o in “ Idillio Maremmano “ Il Carducci, nel rimpiangersi pur anche buttero, piuttosto che ” pover uom” “sudar dietro il piccoletto verso”; anti-artifex, o anti-vate, insomma.

1983

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