sabato 9 giugno 2012

A Te mi arrendo, o Dio

Allahu akbar, Dio è davvero il più grande. Ne ha sconvolte tra noi di cose il terremoto, nell’ordine materiale ed ideale, con la stessa ironia tagliente che credevamo riservata al magistero della storia.On namah Sivaya. E ci si arrenda alla Sua volontà conseguente.
Chi difendeva il proprio campanile come proprio simbolo identitario, che avrebbe dovuto nei secoli dei secoli svettare in esclusiva tra le nostre campagne, e non tollerava che condividesse lo slancio di minareti o di pinnacoli di gurdwara sik, ora possiamo ritrovarlo in prima fila per il suo abbattimento, per non condannare il proprio centro abitato a non risorgere mai più, sotto l’incombere della minaccia del suo crollo sismico sulle case sottostanti.
E la ragazza sik, che qui è cresciuta, si rattrista sino alle lacrime alla sua caduta, talmente si è trasfusa nella civiltà padana.
Chi vedeva nel verde dei campi una natura amica (incontaminabile, o ancora incontaminata), da salvaguardare dal demone divoratore inghiottitutto del cemento, ora deve affidare anzitutto al bruto cemento e al neoprene armato la sua difesa dalle insidie che la natura cela nel grembo, da che sotto il suo sguardo esse l’hanno percorsa terrificanti, sollevandola insieme con i nostri municipi, mentre chi ancora ritrovava finora il bello solo nella sopravvivenza e nella reviviscenza dell’antico, a meno di non figurare grottesco senza più indulgere in malinconie ossessive deve accogliere l’idea che il bello – come è avvenuto così di frequente nel passato- sopraggiunga in nuove epifanie attraverso l’abbattimento forzoso delle vestigia periclitanti degli edifici storici, per care che ne siano le memorie di cui sono gravide, pena il trasformare in ruderi inabitati intere comunità agricole. E con il destino dell’idea antiquaria di bello si fa improcrastinabile, in loco, la renovatio di quello dell’idea ecclesiastica di bene.
La chiesa che credeva di poter ritardare i rendiconti della propria dogmatica con la contemporaneità, ora è qui costretta a schiudersi alla fede di chi si rifiuta di leggere i disegni di un Dio sovrano onnipotente in quello che accade, deve negarsi la temerarietà di credersi il gregge salvaguardato da Dio come suo popolo eletto rispetto a chi Dio avrebbe castigato con la sua ira sismica.
Ma sarà così in grado,per evitare altrimenti il discredito integrale, di attendere a sacralizzare il secolare e a secolarizzare il sacro, come richiedono le circostanze ed è il suo compito da sempre, evitando di curarsi delle anime che stanno nelle chiese più di quelle rimaste impaurite nelle tende o che sono già al lavoro nei campi, più delle macerie delle propri luoghi di culto che di quelle di capannoni e fienili e case, spezzando il pane e versando il vino sugli altari come sui tavoli domestici e di lavoro, pregando attraverso la preghiera come attraverso il dispendio di forza lavoro e di amore solidale.
Ma così, risulta evidente, non è stato e non sarà consumato- ossia adempiuto- che ciò che era già ed ovunque è nelle cose. Che ciò cui è vano opporre resistenza.
Il terremoto, ddetto altrimenti, manifestandosi ri-velazione.
(Così il terremoto, detto altrimenti, sarà stato un'autentica ri-velazione)

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