giovedì 3 settembre 2015

un secondo biglettino tra di me e Gino Baratta

l secondo dei bigliettini tra me e Gino Baratta
Il referto seguente è forse il primo dei bigliettini che Gino ha scritto a commento di una mia poesia. E' questa la ragione principale della brevità delle note che vi si rintracciano, che non si spiega con una sua elusione di come il componimento non gli fosse particolarmente piaciuto, in quanto lo avrebbe poi prescelto a che figurasse in testa ad in una mia terna rappresentativa, in una antologia poetica di cui fuegli il curatore, La doppia dimenticanza, Poeti della sesta generazione Forli, Forum/ quinta Generazione, 1983). Altre mie poesie non furono più pubblicate.
Nel testo poetico Gino Baratta individua alla perfezione l’immaginario che lo ha ispirato, percependo come forme naturali e artificiali, le une vanamente ad intrecciarsi in amore alla guisa di quelle floreali in ferro battuto, vi siano le figurazioni del mondo artistico del liberty, uno stile che non era allora , agli inizi degli anno Ottanta, solo un fatto di gusto, magari rétro, ma il mondo delle forme di un universo culturale immenso: la Vienna, di Trakl , di Hofmannstahl o Rilke, di Klimt o di Schiele, come allora ce la incantavano la critica filosofica e letteraria di Magris e di Cacciari.
Negli altri due testi che Gino avrebbe prescelto per quella raccolta, di cui non serbo traccia o memoria di biglietti, Gino avrebbe rinvenuto tra di noi delle ulteriori affinità elettive al loro improntarsi maniacale al manierismo, secondo una comune vocazione, anti-classicista. che aveva delle similarità con la crisis della negatività del moderno di cui il liberty a sua volta era cifra e sigla.
Benchè a dispetto degli studi di critica d'arte dell'Arcangeli l' espressionismo padano fosse pensato come univocamente estroverso, macheronico-ariosteo, l'indagine critica antecedente dell'opera in prosa del marchesino pittore De Pisis aveva immunizzato Gino da ogni visione unilateralmente giovale dello spirito padano, sicchè rinvenirvi il mio saturnismo non era stata per lui sorprendente.
Così, ora delle circostanze in cui Gino si trasse con me fugacemente in disparte dai suoi accoliti, ne ricordo una in cui si appuntò sul tormentio di cui le mani dei corpi di Schiele erano espressione, un’altra in cui vagheggiò che ci potessimo ritirare come il Pontormo , per nostre alchimie verbali simili a quelle sue pittoriche, in una casa che avesse “ piuttosto cera di casamento da uomo fantastico e solitario che di ben considerata abitura,” secondo le parole di un biografo del gran pittore fiorentino accennate da Longhi, - un involversi e un internarsi di cui aveva già riesumato un ricorso ulteriore, in Scritti sull’arte, quanto alle manie del marchesino de Pisis nella sua Ferrara pentagona o nella sua stanza ottagona in Parigi
E tu ora svena ogni tuo spasimo
E tu ora svena ogni tuo spasimo
fra le ritorte foglie che ti laminò un artefice,
la ferrea trama riforgiandoti
di cancelli invano a schiudersi,
ora che le stagioni si susseguono, pur sempre,
e delirio
è ancora accoglierne il richiamo,
tra i freddi palmiti
verso dimore d'ombra
affetti e palpiti stillanti,
a corpi e mani, se ripulluliamo,
quale vano tormento
a noi morti l'intrecciarci.
( 1982-83)
Commento di Gino Baratta
“Mani- ritorte foglie- laminare-artefice
L’intrecciarsi è anticipato da –trama- ma è verbo che rende trasparente l intera costruzione dei versi
Uno spazio recintato da floreale ferro battuto”
Le altre due poesie apparse insieme con la precedente nell’antologia La doppia dimenticanza
Al frinire dei sistri delle cicale
Al frinire dei sistri delle cicale
non andare se tumultua il sangue,
il cielo è immane una canicola di piombo.
Per chi la Vergine s'intorbida stravolta
le occasioni sorgono già morte.
A lamine profetiche d’argento
che attendi ancora il vento,
per la pianura,
che vi spiri a sommuoverti un futuro?
Più non stormiscono, nell'estuo,
tacite le fronde pitiche,
terreo lo sguardo
le Sibille intorte.
Così a decretarti,
nel desiderio senza più speranze,
tutto di nuovo, sempre così.
(1982-83)
Al chiarirsi di derive di zaffiro
Al chiarirsi di derive di zaffiro
s'invermigliano di sangue le asterie fluttuanti,
nell'opale disciolto di cieli di Siria
mutili acanti promanano agli astri
dei cancri solari cavitati nei vortici,
quando nel riorbitare delle sfere armillari,
a lunazioni più rapide
precipiti immani,
Mercurioveneri chiaroveggenti
ingeminiamo ovoidi abomini ( aborti) postumi,
- nei peripli di terrore
se la celata è levata a mirare un sogno
a parare l'oltraggio che ci ritorce
il seme di cuori che già si sfaglia.
(1983)
foto di Odorico Bergamaschi.








  • Odorico Bergamaschi

    Scrivi un commento...

Nessun commento: