mercoledì 21 giugno 2017

Penultima elegia indiana
abbozzo originario

Che dolce languore ora assonna i miei giorni,
qui ove mi riconduce servitù d’amore,
nel sole che intorpidisce con la lena gli affanni,
leniti gli attriti e gli screzi,
sopita l’inanità di intenti,
qui al largo dell’esistenza, oltre i flutti di morte nel ventre degli inferi,

dove tra gli ultimi e i piccoli dare vita ai grandi pensieri ,
nel godere di ogni cosa mentre tu la stai vivendo,
degli occhi stellari di Chandu che tornano a cercarti di nuovo solo per dieci rupie,
“ one plus zero zero rupees “
la sua mente indiana dopo avere invano tentato a chiederti,

la tua mente, come la sua,
che ora sa incantarsi di una luce perpetua,
pur dove caduto ogni mormorio di brezze
con la ruota che nel mela round ricompie il suo giro di luce
tace la distesa della pianura ove già il grano rifulge
gli stupri di bimbi aggallanti nei pozzi

Né cessarono uomini e animali di berne alle acque
o le adombrarono con i campi di rami e di foglie,
non oltre le nubi e gli astri o nei casolari e tra i campi
che all’ombra nella calura il ridursi memore

e tra il viavai per Amausia ( Shivaratri )sui passi di danza
anche se cantiamo per sordi, e non risponde la giungla,
raccogliamo intanto la residua voce a che diciamo
pur pochi versi soltanto,
della fine degli infelici amori di Mohammad
il cui eccesso di cui rabbrividisci ai tuoi trascorsi
per un nulla non fu la stessa sua fine,
appesosi ad un gancio, nei farmaci cercando un veleno letale,
.

Come profetica fu l’ansia dei versi
quando per lui, mio piccolo principe,
fra ogni altro ragazzo il più bello di tutti,
paventavano il dipartirsi per la sua rosa
nel più lontanante dei viaggi possibili.
“Ora è la morte che mi è amica ”
sospira superstite tra il lucore lacustre,
nello specchio rotto ch’ora è la sua vita
sullo smartphone una Lakshmana rekha., insuperabile,
separando la sua dall imago di lei

finchè in lacrime s’infrange anche la sua estrema illusione
all’averla vista con un altro, che con lui si baciava
“a torto le ripetei io ti lascio,
io che non posso vivere senza di lei,
di lei nei suoi ok senza più amore,
che come Dio si fa gioco di me, della mia povera vita,

ed ora me ne andrò lontano da qui in Kanpur, senza più fare ritorno,
dal mio amico gemello di me di un’ora più giovane,
da lui e dai suoi che mi amano tanto,
o con il mio amore di lei io distruggerò la mia vita,
esarà questa la mia ultima sera,

Per il giovane un appiglio ora gli esami,
al cui esito perché abbia un futuro, con la virtù lo addestri all'inganno,
con il tacito assenso nel dissenso a che copi le prove
dopo avergli/ne invano corrisposto gli studi,

fu per il troppo suo patimento degli affanni di amore e miseria
la sua scusante tra le tue braccia

e invano richiamandolo, sedatone il tormento,
nell ipnosi di ogni furia del sangue a una tiepida calura
con gli armenti fai ritorno al tramonto sulle selve di grano
tra i bufali e le capre camuse saziate dai pascoli,
ricolmi dello scorrere d’acque i rivi tralucenti,
tramati di viridi chiome i fondali e i declivi.,

e voi o Divini celesti,
Cerere e Bacco, Parvati o Shiva,
Padre dei nostri ritrovati giorni,
al declino del sole più abbagliante
siate luce nella sua luce morente ai voti umani,
al nostro ritorno dalle fiere e dai campi
Di nuovo sperando.

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