All’arrivo
in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, secondo quanto mi era stato
confermato dell'itinerario d'accesso da un addetto all’ufficio turistico ch’è
dislocato nella stazione ferroviaria, dopo che ho preso un autorickshaw
per quella degli autobus, vi ho chiesto del pullman che fosse in
partenza per Barwa Sagar, per iniziarvi la mia escursione a
Garhkhudar, il primo dei grandi palazzi e forti dei sovrani Bundela,
antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha.
In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso senza un
orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a chiedere se era
in grado di condurmici, ad uno dei conducenti di tuk tuk che
erano in sosta in un vialetto ombreggiato da piante che si dipartiva dal punto
in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva
verso Niwari, in direzione sia di Chattarpur e di Khajuraho, che di
Mahoba.
Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina,
e per soddisfare la quale avanzasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto
all ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva
fosse di 36-38
chilometri, circa, e Garhkundar mi fosse stato
preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario , e
cosa non indifferente a risolvermi ad accettare di mettermi in moto con
lui, l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash
intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e
con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, seguitando in
direzione di Niwari.
Nella splendida giornata solatia, traboccavano
di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati
della strada, la frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti
lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar, facendo seguito alla
pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha, ravvivata dallo splendore a chiazze
delle bouganville, attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere
l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di
ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima
del dilatarsi della vista sul corso della Betwa, del succedersi della
profusione di orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del
tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l indomani.
Lasciando pure che il conducente trasformasse il servizio
a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove
se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima,
mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi
peripli ferroviari e stradali, pervenivamo di lì a poco alla successiva
borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata
secondaria che ci inoltrava tra campi e villaggi, intraprendendo ad
un bivio la diramazione, sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate
che si erano profilate all orizzonte e che il percorso finiva per affiancare
addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre
sulla sinistra non ci portasse
al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante
e imponente, sommità tra le altre sommità collinari.
Il tempo di posteggiare l’autorickshaw ai piedi della scalinata
che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello, e la sua entrata, che il
guardiano del forte si era già caricato il mio bagaglio in spalla, per
iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non mi restava che assecondarlo,
nella sua mistura di sincerità e di artificio, perché anche il conducente
risaliva l erta al seguito di entrambi fino all’ interno del palazzo.
La sua mole prefigurava il tipico assetto dei manieri
Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento,
quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri
ottagonali, ed un avancorpo al centro delle mura, in
cui si faceva prospiciente l’alto portale. L’ arcata d’ingresso era
compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone
cieco, nel cui grembo si apriva la umile grazia di finestrella, giusto
all’altezza della parte centrale della trabeazione sommitale del portone
d’accesso, tale mise in
abyme stagliandosi tra
le serie- tre- di due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l
interruzione della successione, secondo gli stilemi che sono tipici ,
nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo
ultraterreno d’epoca Lodi, delle moschee coeve o risalenti all’
interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale
magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato,
oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano,
per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il
portale, . Semplici ballatoi
mensolati raccordavano il portale alle torri laterali, a
suggello della severità marziale del forte schiva di ogni adornamento o
decorazione, che non fossero i modesti chattri, connessi da un bengaldar,
che restavano a coronamento di una soltanto delle torri d’angolo,
Il cortile interno, sopraelevato come negli altri palazzi
Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi sarebbe apparso il più vasto e
immensificante di ogni altro di loro, per la serratura entro la
schermatura di una galleria e dei cortiletti pensili al piano
superiore, della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte,
dei corpi d’angolo e centrali, un’alternanza di vani chiusi ed aperti
ch’era una prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva dei
palazzi mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno
incantevolmente,
per la modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due
altiforni o ciminiere che fossero sfidavano impunemente verso nord ovest,
mentre nell’opposta direzione tra i ponticelli si schiudeva la vista di un laghetto e del biancore di un tempio
sulle sue rive, il sito di preghiera e di culto delle regine d’un tempo del
palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi s era rivolto, secondo
quanto mi diceva il guardiano, tentando in hindi di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo , quando eravamo più soli e più in
alto, di estorcermi un ammontare ben superiore per i suoi servigi impostimi e
non richiesti, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in
Garhkundar, gli propiziava poco più di un centinaio di rupie, di
cui aveva modo di ringraziarmi con i più ossequiosi omaggi servili, dopo che un
intervento al cellulare di Kailash l’avevo ricondotto al un
ridimensionamento in termini interni al mondo indiano delle richieste
avanzabili.
La sera si era fatta oscura quanto la notte al rientro in Barwa
Sagar, di cui fiochi lumi illuminavano le strade, esponendomi al
rischio ricorrente di essere investito da motocicli od autovetture. Troppo
lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra
Orchha e Jhandsi prescegliere per il pernottamento, apparendomi troppo
esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in
autorickshaw per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie
avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si
facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a
stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi,
senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per
Jhansi arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire
nessuno. Finalmente ne sopravveniva uno che non aveva ancora raggiunto la
soglia del proprio traffico illimitato e che mi faceva salire.
Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna,
malauguratamente, ancora una violta: perchè ancora una volta vi avrei
sperimentato l imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni,
che ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed hotel. Così
solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel, ben
deciso, l indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orchha. Meta, la
rivisitazione particolareggiatissima del tempio stupefacente Jarai
Math prima di Barwa Sagar
Il
secondo giorno mi trasferivo già di primo mattino
da Jhansi in Orchha, presso il Gampati hotel che avevo
visionato con Kailash già anni addietro. A ricevermi c’era la figlia
dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l'hotel vantava di assicurare, mi accordava
anche l’uso del computer nella sua stanza, il che, grazie al sito puratattva.in,
mi dava modo di ragguagliare per il tramite di internet le mie informazioni
librarie,- non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi
sarebbe occorso in Kadwaha i giorni seguenti.
Per
duecento rupie, in luogo delle trecento richiestemi qualora
avessi inteso recarmi fino a
Barwa Sagar ed esserne di ritorno, al parcheggio
in Orchha degli autorisckshaw pattuivo una sola corsa
di andata fino al tempio Jarai Math, volendo io evitare che mi si
stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le supposizioni di
ogni aspettativa. Di li a mezzora , in un giorno incerto di
marzo, potevo così già ritrovarmi di fronte alla meravigliosa
vista del tempio,
su
di un'altura oltre una cinta muraria che raccoglieva i resti anche di due
piccoli santuari adiacenti,dove emergendo da una nebbia fittissima, tre mesi
avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del
caro mister Dipak, che non era parso particolarmente interessato al
complesso.
Anche
allora c'era venuto appresso il guardiano e custode, che sembrava
ora riconoscermi ed illuminarsi nuovamente alla vista, come quando gli
avevo fatto allora cenno che era per ragioni da me indipendenti che non
potevo prolungare oltre la sosta con il mio ospite.
La
grandiosità della magnificenza frontale del tempio cui tornavo al cospetto,
era un
effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del
portico d’accesso che aveva lasciato in vista l’ornamentazione che era
adombrata al suo interno insieme con quella che lo trascendeva all’esterno, in
un continuum splendido, outdoor, fino alle volute a suggello
dell’antefissa del sukanasa, contro il superstite fondale
reticolato di gavakshas del sikhara, che ne
riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature
ritrovavo arcuati gli udgamas delle nicchie che si
stagliavano sul vedibhanda, delle coronature dei tempietti delle
proiezioni centrali di ogni parete, dei pratirathas laterali
che le fiancheggiavano a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate a templi
da tali loro sovrastrutture nei recessi e nelle proiezioni
d’angolo dei karnas e del
vestibolo dell'antarala, dove
gli udgamas si dilatavano, e si duplicavano, nel loro slancio
ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte
superstite del sikhara originario.
Da uno scatto fotografico all'altro testi
alla mano-, iniziavo a ripercorrere il tempio in ogni suo dettaglio, al
contempo che il suo arcano sublime mi si riprospettava meravigliosamente
intatto. Anomalie, e precorrimenti, lo impreziosivano senza smagliarne l'
esemplarità canonica. l'attinenza ai paradigmi dei templi Pratihara nella sua
onnipervasività si manifestava il criterio d'ordine di una profusione eccelsa ,
il cui ordito mi riformulava al contempo l'enigma o mistero della
cripticità fascinante del tempio, cifrato dal rebus della sua divinità di
culto.
Raffrenava le mie deambulazioni estatiche intorno al tempio
lo scollarsi della tomaia di una mia scarpa, così non mi restava che
procedere in calzini sulla sua piattaforma, tra il terriccio del giardino
intorno, nell incognita di come potessi procedere più oltre, fino al
rientro in Orchha, quindi in Orchha fino a un negozio di calzature,o fino
ad un calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia.
Ero
così di ritorno alla facciata dal mio periplo deambulatorio, quando
sopraggiungevano due giovani studenti, di Jhansi, che mi chiedevano, o
intendevano mettervi a prova, nella mia valentia conseguita di indagatore e
conoscitore straniero del tempio.
In
che intrico confuso, prestandomi, finivo così per cacciarmi tra shivaismo o
vishnuismo del culto tantrico alla devi alle origini del tempio.
Ma ,
era la loro questione, perchè non avrebbe potuto essere semplicente un tempio a
Laxmi, data la sua natura eminentemente vishnuita.
Ed
io ad annaspare rifacendomi a quante vi proliferassero le immagini delle più
varie manifestazioni della dea, nella sua trascendenza di ognuna di esse,
perchè il tempio potesse rifarsi originariamente alla sola sua forma divina di
Sakti di Vishnu.
Con
il custode che assisteva ammirato, assentendo o annuendo, pur
senza essere sempre convinto alle mie delucidazioni e identificazioni dei
gruppi statuari, pronto ad assegnarmi quello che poteva risultare il
colpo di grazia, Insieme con lui mi addentravo nella cella del tempio, ed
alla sortita, per chiedere a lui lumi in tal senso, incarnazione vivente
di una tradizione di devozione millenaria locale e nel vicinato, gli chiedevo a
quale divinità, secondo il culto vigente, dovesse ritenersi dedicato il tempio
" Laxmi e Ganesha" mi ribatteva imperterritio, sorridendo di come
fosse in dissonanza con tutto quello che avevo detto
"
Laxmi? punto e a capo di ogni velleitarietà di farne un tempo tantrico alla
Devi. Ma Ganesha? " Ma di Ganesha non c'è alcuna immagine nel
tempio..."
I
due giovani raccoglievano sorridendone la mia perplessità, lo sconcerto per
la risposta dell'uomo che se presa per valida e vera, era l'
azzeramento di ogni sforzo e discorso iconologico intrapreso con loro
Uno
dei due giovani era stato il mio interlocutore costante, mentre l'altro si era
limitato, in silenzio, a confermare le mie illazioni o richiami ad
altri templi, o a chiarire il senso delle mie parole e dei miei usi tecnici,
azzardati, di un lessico architettonico risalente al sanscrito.
Che
mi avessero sottoposto ad esame, in virtù delle conoscenze umanistiche o
del sanscrito del secondo dei due, incuriositi di verificare la mia
attendibilità di studioso e ricercatore straniero?
Il .vecchio,
apparentemente di me più anziano, quando rimanevamo soli, aveva la gentilezza e
il riguardo di cercarmi un legaccio, con cui provava a tenere insieme suola e
tomaia della mia scarpa scollatasi.
Una
premura che gli valeva la mancia che altresì aveva inteso assicurarsi con tale
suo gesto.
Potevo
cosi procedere fino al vicino villaggio, per vedervi i resti del Jaraho- ki-
Marhia, dove ritrovavo il custode e da lui mi congedavo con
rinnovato calore , essere di ritorno alla strada che recava a Jhansi, salire su
un autorichshaw, adibito a savari, nella postazione davanti a mio rischio e
pericolo, fino alla deviazione per Orchha, ed al mio arrivo nel suo
abitato con un altro tuk tuk, acquistarvi un paio di snackers nel primo negozio
di scarpe che incontravo lungo la via che recava alla Betwa, fare riparare a
dovere la scarpa che era finita in disuso, che insieme con l'altra era
stata attrezzata di una cordatura di raccordo di suola e tomaia .
La
sera, fino al far della notte, trascorrendola tra le locande sulla via per il
palazzo di Jahangir e l interno
del tempio di Rama, in cui mi sono recato in preghiera con un offerta in
denaro, senza trarne le dovute avvertenze sulle interdizioni interne al tempio
di Rama, come avrei inteso mettendo a rischio
tutto, l ultimo giorno di viaggio, quando un agente del tempio
pretendeva di consegnarmi furibondo alla sua guardia armata, per il mio rifiuto
di cancellare le fotografie ch'era proibito che vi avessi scattato all
interno.
L’indomani ritardavo fino a sera tarda la partenza per Shivpuri.
In mattinata ero di ritorno in Barwa Sagar, non senza una breve
sosta al Jarasi Math, lungo il percorso, per esperire quanto potesse
riservare una visita del forte , nel corso del tragitto da
Khajuraho ad Orchha, dopo essersi soffermati in Dhubela, Mau Shuhania,
avere deviato per Garkhurar.
Che bella la vista del talab, con le sue emergenze rocciose, il
lungolago sottostante fino a un tempio recente, che arieggiava grazie
rivierasche del settecento europeo.
Introvabile il Gugua math, in direzione di Nivari.
Era già pomeriggio inoltrato, al ritorno, ma non intendevo
saperne di lasciare Orchha senza aver rivisitato il Palazzo di Jahangir, dopo
che di primo mattino aveva ripercorso il villaggio sino alla betwa ,
godendone la vista che offre per chi vi viene da tikamgarh, con i
suoi cenotafi svettanti in shikhara ed i suoi palazzi coronati di
cupole edi chattri.
Un vento pulverulento preannunciava un temporale imminente
mentre mi attardavo a rivisitare il grandioso tempio Chhatarbuja,
inducendo i negozianti del complesso del tempio di Rama a mettersi al
riparo con banchi e banchetti. La pioggia avrebbe imperversato quando già mi
sarei ritrovato all’ingresso del palazzo di Jahangir, che non avrebbe mancato
di incantarmi di nuovo, nell’alternarsi ascendente dei chattri tra le
rientranze dei torrioni d’angolo e centrali, le proiezioni inwards, tra
la leggiadria di vani aperti. Mi consentivo anche di stare in
ascolto dei discorsi affascinanti di una guida locale, che all’altezza della
porta degli elefanti, vi narrava di come si fossero arrestati prima della rampa
d’accesso elefanti di dignitari e cammelli di dame che non vi erano mai
pervenuti, dalla finestra superiore fosse scesa una pioggia di
fiori e dalle torrette laterali avessero risuonato le trombe di musici ad
un passaggio che non vi era mai avvenuto, nell’evocare un pernottamento
del gran moghul Jahangir che non vi sarebbe mai stato.
Facevo così tardi che non mi potevo consentire di
aspettare l’arrivo di un altro autobus per Jhansi, dopo che già un primo
era arrivato così carico da non farmi salire, così raggiungevo la città con un
tuk tuk, trovando un autobus in partenza di li a poco per Shivpuri
quando erano già trascorse le sette di sera. E vincevo la scommessa che
mi ero dato, il fondo stradale insolitamente buono consentiva che l autobus percorresse
gli oltre 90 km che intercorrono tra Jhansi e Shivpuri in poco
più di due ore. Il solo assillo era che avevo riposto con tale studio il
bigliettino che recava le denominazioni dei budget hotels di Shivpuri,
che non lo ritrovavo più in alcuna tasca e ripostiglio in cui rovistassi.
Era deserta e spenta di luci l’autostazione all’arrivo, ma
per un giovane poliziotto cordiale quanto ammaliante, bastava che
pronunciassi quanto mi ricordavo del nome dell’hotel che mi ero
prefissato, “ Sochi…”, perché me lo indicasse per intero e mi avviasse dove
avrei potuto trovare un autorickshaw che mi ci portasse. “ Ah, Hotel
Sochiraia…” pronunciato in modi così confortanti, da lasciarmi intendere
che ero orientato verso la scelta più indicata. A condurmici
sopraggiungeva alle mie spalle un autorickshaw che mi conduceva in
condivisione.
Era un hotel vasto, con un ampio cortile fin anche troppo
consono ad ospitare feste nuziali. L’accoglienza la più premurosa,
in una città dell'India dove uno straniero è ancora un ospite raro,
confortevole e pulita la cameretta, buonissimo il kaju curry, che mi veniva
cucinato e imbandito benché fossero già trascorse le undici. La
buonanotte un esito certo.
4 giorno
Di rientro dalla mia ricerca di un bancomat lungo la via
dissestata che si sarebbe rivelata essere il seguito dell’arteria principale di
Shivpuri, avevo la mala idea di assecondare la sollecitazione di un
vistoso cartello segnaletico che a due km di distanza sulla destra segnalava un
centro di orientamento e informazioni turistiche, prima del
villaggio turistico che era ben più lontano. Avrei finito per
ritrovarmi invece in questo resort, condottovi di sua iniziativa da un
giovane sulla sua motocicletta, che mi aveva intercettato all ingresso
dell hotel, dopo che avevo desistito dal proposito di pervenirvi con l'autorickshaw guidato da un ragazzo che era ben più avvenente che informato
sulla meta che mi ero prefissato. Solo che colà giunto il giovane
mi invitava ad avvalermi del direttore inoltrandomi nel suo ufficio, per
poi sparire e farsi irreperibile. Chiedere conto di siti archeologici a
un funzionario turistico del Madhya Pradesh era la cosa più invisa
e che più potesse incollerirmi cui mi si potesse obbligare, essendo per me
scontato, per l esperienza pregressa, nonostante l arricciatura di
baffi,l’ eleganza di portamento e di tratto e e la profumatezza
agghindata, che cosa potesse riservarmi la cortesia formale dell uomo cui
ero di fronte.
“Mahua, Terahi?, … forse i siti che lei cerca sono nel distretto
di Gwalior…
Sarebbero dunque vicino a Renod? Perché non ci si dirige da
Chanderi? “ quando rientravano ben all interno del distretto di sua
competenza.
“ vedo che non serve a niente che ci parliamo ancora” mi
congedavo con comune sollievo e senza alcun
riguardo, in un flusso di collera esagitato seguitato a sbraitare
con gli addetti che ben sapevo quanto sapessero che avevo ragione, che
dannazione fosse per ritrovarmi così malcapitato, in un luogo che mi
sarebbe parso in altre circostanze il più ameno di siti, ma da cui scalpitavo
di potere essere via al più presto, senza sapere come fosse possibile, essendo
svanito nel nulla il mio accompagnatore, e senza che nessuno di loro si desse
da fare per ricercarlo, altri essendo i miei interessi e i miei intenti, alla
luce dei quali ben sapevo che cose potesse riservarmi l Mp tourism con le
sue pubblicazioni in bella vista nei loro armadi e i suoi
capoufficio e funzionari vari, che nulla sanno e nulla
fanno, niente di niente vogliono fare, per prezzolati che siano…
Capivano alfine, dopo che simulavo che la mia ricerca di
un contatto con kailash fosse una mia telefonata alla polizia, nello
spirito di chi li si ritrovava in stato di sequestro di persona, la sola cosa
che era conveniente fare: accompagnarmi in macchina senza richieste di denaro ,
che li mi ero ritrovato contro la mia volontà, fino all hotel da cui mi
ero malauguratamente mosso per finire li malcapitato.
Sbollitomi dei miei furori alla reception, mi facevo
condurre all autostazione, per poter visitare nella frazione di giornata
restante il solo tempio che mi restasse visitabile nel corto raggio, oltre
Surawaya, di cui intendevo associare la visita a quella dei chattri Scindhia di
Shivpuri, il tempio di Sesai, con una mandapika assai prossima, che la
cartina indicava nelle vicinanze, a non più di dodici chilometri di
distanza secondo il testo di trivedi. Era lungo la stessa arteria di larga
percorrenza che da shivpuri reca a Guna, lungo la quale un autobus mi avviava
di li a poco, per ritrovarmi in sesai di li a neanche mezzora,
Vi avrei trascorso un intero pomeriggio in stato d’incanto,
solo con il mio tempietto umile ed alto nella sua compiutezza
perfetta, a portata di mano sino all'altezza dei deliziosi
tempietti delle sue badhra, cui non mancava di ricorrere miniaturizzata
neanche la chandrasila.
Vi ero al riparo del portico sotto gli scrosci di pioggia,
leggendovi le pagine e pagine di descrizione di Trivedi della
minuzia completa in tutto e per tutto di ogni sua parte o modanatura o rilievo
dettaglio , suscitando l interesse dei passanti per strada, che si fermavano a
guardarmi, accennavano o contraccambiavano il saluto, riprendevano
il cammino con in mente la novità del giorno.
Richiedeva una indagine più rapida la mandapika, sul cui
basamento erano affastellati fasci dì erbame.
………………………………………………………..
Ero in Shivpuri sul far della sera, scendendovi da
un tuk tuk che avevo preso dove la strada fronteggiava dei casolari di Sesai,
oltre la qila o kotla che ne rinserrava casolari e rustici.
Dovevo faticare parecchio perché un mio accompagnatore troppo
solerte intendesse che potevo cavarmela da solo, che prima di ritrovarmi
in hotel volevo ritrovare un qualche centro possibile di Shivpuri dove mi fosse
possibile ritrovare una varietà di negozi, per comperare le cose che mi
servivano, un’altra card fotografica, dei sandali per non scivolare
nel bagno, una cartella rigida dove raccogliere le fotocopie evitandone
lo sciupio, penne e matite,
Si, andava bene che li lasciassi come stavo facendo per
procedere avanti, mi si confermava a cenni da parte sua e di un
interpellato, cessando di considerarmi sotto le loro cure, avrei potuto
trovare più oltre un bazar, con i negozi di tutto l’occorrente che mi serviva.
Prima, tuttavia, stranendoli, dopo avere ricaricato il
cellulare, ritornavo sui miei passi per consumare una gugià in una locanda, e
bermi qualche bibita, per la contentezza del suo gioviale gestore dai modi
accesi e coloriti.
L’acquisto dei sandali nel secondo dei negozi di calzature che
si succedeva, era l occasione per trarre dalla conversazione che avviava
con me il suo esercente, la richiesta di informazioni che mi era utile
per sapere se l indomani, facendo già il gran passo, era preferibile cercare di
raggiungere i villaggi di Mahua e Terahi via Kanya , come mi aveva consigliato
il direttore del museo di panna, in un foglietto che avevo miracolosamente
conservato e trascritto al computer, salvandone i resti in cui si era
piegato, o non piuttosto dalla più vicina Renod, come mi suggeriva il ricorso
di Trivedi a tale località di riferimento, per giungervi, , nel suo volume che
li descriveva integralmente.
Quale delle due località mi era consigliabile, per essere
meglio fornita di servizi., detto altrimenti civilizzata. L’accordo dei
presenti era unanime quanto a Renod E che Renod fosse, mi
risolvevo, nel congedarmi da interlocutori così riguardosi,
con un visitatore straniero svanito e discordante nei modi. La pioggia si
intensificava mentre raggiungevo il presumibile centro, di quello che mi ero
parso in precedenza un agglomerato che aveva capo solo nelle sue
circonvallazioni, le pasticcerie e i negozi di frutta e succhi e verdura; che precedevano un tempio hindu e i suoi mendicanti
immancabili, che come a loro mi offriva un riparo dagli scrosci di
pioggia fattisi a dirotto . Quando riprendevo il cammino, l’avrei ripreso
oltre il chiosco tra negozi e ristoranti oramai per lo più chiusi, tra i
quali mi era inimmaginabile trovare ancora aperta qualche cartoleria. Meglio
seguitare il cammino fino in hotel, poco oltre, predisponendomi per l
indomani alla tappa cruciale del mio itinerario nel distretto di Shivpuri,
quella in cui avrei tentato di raggiungere le località sulla carta più
difficilmente raggiungibili: Mahua, Terghi, ed oltre Kadwaha, anche per
questo per me le più intriganti/ ammalianti. L’indomani, una domenica, arrivavo
all’autostazione giusto in coincidenza con la partenza dell'autobus per Renod
delle 10, 30. Ripercorsa la stessa strada per Guna fino a Sesai, la si
seguitava oltre il grosso borgo di P fino all'incrocio di Derda, svoltando
sulla sinistra per intraprendere la strada che reca ad Ashoknagar, e quindi una
deviazione ulteriore, a destra, che dopo circa due ore di viaggio si risolveva
nell imbocco del villaggio di Renod.
Le abitazioni ed i negozi tinteggiati di
bianco lungo la strada principale me ne nascondevano le vestigia islamiche, che
i giorni seguenti mi avrebbero indotto a reputarla una piccola Chanderi,
mentre più che a guardarmi intorno
contemplativamente, ero intento a cercare punti di riferimento , in viveri e
mezzi, per la mia escursione in Mahua e Terahi, se era possibile fino a
Kadwaha.
L’animazione più viva di botteghe e
locande non faceva capo ad alcun tuk tuk , così, facendo ricorso ai principi
dettatimi dalla mia esperienza in india che faceva al caso, mi indirizzavo al
primo esercente che vi vedessi all opera da cui potessi attendermi una certa
levatura intellettuale, un
farmacista quanto mai coinvolto dalla sua clientela.
La sua cordialità gentile era pari alla
sua disponibile prontezza e rilevanza sociale, perché in capo a mezz’ora poteva
affidarmi a un giovane in motocicletta, perché per 500 rupie mi conducesse ai
templi di Mahua e Terhai, a Kadwaha, nella remota ipotesi che restasse del
tempo.
Se volevamo essere di ritorno per l
ultimo autobus per Shivpuri avremmo dovuto fare rientro entro le tre, il
giovane mi faceva intendere che potevo confidare anche in un autobus in
partenza alle cinque, una dilazione dei tempi di rientro cui prestavo fede
assai limitatamente. In ogni caso per 800 rupie avrei potuto farmi condurre in
auto fino al bivio di Derida, dove prima o poi un autobus destinato a Shivpuri
l’avrei potuto far fermare.
Seguitavamo lungo l’arteria di
provenienza, in direzione opposta, fino a svoltare a destra dopo qualche
chilometro, per una viottola in larga misura asfaltata o dallo sterrato in
buono stato.
Si ripresentava intorno il paesaggio che
mi era apparso circostante fin dalla deviazione di Derda, una distesa
sconfinata di pietraie aride, ove emergeva la roccia lavica, cui subentravano o
si affiancavano all altro lato della strada distese sconfinate di campi
verdeggianti, di grano solare, in cui singole piante dispiegavano la bellezza
solitaria della chioma grandiosa.
Era Terahi, il primo villaggio a
comparirci, rispetto a Mahua, nelle sue casipole di pietra. ocra.
Defilato sulla destra raggiungevamo il
primo dei templi ubicativi, il Mohajmatha, preceduto dal biancore del suo
torana grandemente restaurato, dalla sua aura demoniaca spettrale di tempio
alla Durga, con la ridda al seguito di preta e kankala.
Era tra le case del villaggio, a ridosso
di un monastero e in un verde divallamento il tempio Pratihara di Shiva.
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In Mahua , dopo qualche chilometro, alla
mia esaltazione contratta a raccogliere nel breve tempo disponibile quante più
percezioni cognitive e immaginative possibile, compariva già a distanza il suo
più remoto tempio di Shiva, preannunciato dal suo amalaka,che si
presentava ai lati della strada quando vi giungevamo,
Il tempo incalzava, mi affannavo a
chiedere che raggiungessimo dapprima il tempio di Chamunda, che presumevo fosse
il più importante degli altri due situati in Mahua, cercando di fare intendere
al giovane che non mi prefiggevo più di essere in Renod per l ultimo autobus
pomeridiano, ed ero condotto invece al mandapika di Shiva, ch'era nelle
immediate vicinanze, mentre si addensavano all'orizzonte nembi cupi gravidi di
pioggia.
Era poco più che una ricognizione la
visita del tempietto, non potevo nella mia concitazione affascinata
esporre ad un nubifragio il mio accompagnatore, così cedevo alle sue
sollecitazioni ad un immediato rientro e alle esortazioni in tal senso del
custode del tempio, riavviandomi verso Renod in una scommessa contro
l'approssimarsi, sospinto dal vento, di
enormi nuvole incombenti, che tra lampi e tuoni si defilavano lontano dall' approssimarsi di Renod, con il solo lascito di un'acquerugiola lieve.
L'acquazzone si scatenava quando ero già
al riparo dell autovettura che il farmacista mi aveva assicurato per
trasferirmi in Derda, dove non avevo modo di raccogliere al telefono la pretesa
non sapevo se avanzata dal farmacista stesso o dal proprietario
dell'automobile, che pagassi un importo di 1000 rupie, perchè i due ragazzi
erano troppo presi dall'assicurarmi un posto sull'autobus che era appena
sopraggiunto diretto a Shivpuri, per intendere che cosa volessi loro dire
mostrando loro il mio portafoglio aperto nell'atto di estrarne rupie.
Nell hotel il cortile era occupato dai
tendaggi e tendoni e festoni di un festino di nozze, i cui partecipanti insieme
con il loro disordine avevano prodotto sporco e tanfo dappertutto, al punto che
dopo qualche assaggio al buffet, senza più gusto ordinavo e cenavo in un
ristorante pervaso nelle sue latrine dal fetore recatovi, e non pensavi ad
altro che di assopirmi al più presto.
L' indomani interponevo la escursione al
tempio di Keldar, rispetto ad un mio ritorno in Renod per terminare di visitare
Mahua e recarmi a Kadwaha, Indor. Tra candide nuvole il sole era tornato a
risplendere nel varco dei cieli, ed in autobus procedevo oltre Derda sino di li
a poco al villaggio di Lukwasa, la cui confusione fragorosa allineata ai bordi
del fragore del traffici stradale di passaggio, resa più insostenibile dalla
vista dei cadaveri animali le cui viscere si contendevano i corvi, ero ben
lieto di lasciare quanto prima, sul furgoncino fuoristrada che mi
conduceva seguitando verso Guna al sito di Keldar, a oltre12 km di
distanze in aperta campagna nel suo infoltarsi boscoso, la disponibilità del
cui conducente a trasportarmici a pagamento mi era stata assicurata da un commerciante
eminente del villaggio che l'aveva intercettato di passaggio. Con ben altro
animo sarei stato contento di li a poco di lasciare invece quel
poco di buono, infischiandomene che gridandogli di andarsene pure
via via lasciando pure che se ne andasse lo inducessi a lasciarmi li abbandonato
in piena solitudine, pur di non sentirlo già lamentarsi come aveva preso a
lamentarsi già del tempo intercorso, e richiedermi a viso torto un
balzello più alto già voleva innalzarmi il balzello, quando ero appena
giunto a scorgere giù nel greto di un rivolo il sospirato tempietto agognato,
dopo avere divagato sulla distesa circostante della radura nel folto di un
bosco, per la sua stessa inesperienza del luogo.
Ma trovavo di li a poco di che
confortarmi nella amenità graziosa del tempietto e nella rusticità scultorea
delle sue statue coperte di impiastri, nella ammirata accoglienza di una sadhu
e di sua moglie e un altro monaco accolito, che avevano la loro dimora appresso
il mandir.
Baldeo Bab mahatma, così si chiamava,
era ammirato della mia cognizione e dei miei interessi, appariva curioso del
libro che stavo utilizzando, e sicchè dopo essermi venuto appresso
con discrezione estrema lungo le mie peregrinazioni brevi intorno
alla parvula/ piccola mole dell' edificio, mi chiedeva di sfogliarlo.
Chiamava a raccolta l altro sadhu e la
moglie, nel visionarne le pagine e trarne appunti, mentr'io mi aggiravo nella
radura ove traluceva e s'oscurava il sole fra gli alberi , e andavo
fotografandone l incanto .
Sarei scivolato poi nella malta e
nello sterco, ad un primo tentativo di transitare il rivo, e sarei stato
di lì a poco ero di ritorno dall uomo, perchè mi detergesse i pantaloni
con l'acqua ed un panno. Risalito al tempio e ai chattri sovrastanti, avevo
modo di non lasciare a lungo nelle ambasce Kallu che con me era in contatto, su
come potessi fare rientro a Lukwasa, per una strada tra i campi lungo la quale
sorgeva solo un villaggio qualche chilometro distante ( ferma per strada ogni
mezzo possibile, portati oltre anche salendo su dei carri)
Sopraggiungeva di li a poco un trattore
carico di passeggeri, seguito da una moto, che erano venuti a prendere l'acqua
li alla fonte, seguitati da una motocicletta , e il passaggio fino a Lukwasa
era assicurato. Avessi disatteso di chiedere al giovane di recarmi fino a
Lukwasa, per prendere l autobus ove la via di campagna defluiva in quella di
raccordo di Guna e Shivpuri, evitando l'ammorbamento ed il tanfo, il luridume e
gli avanzi di resti animali per strada che vi avrei ritrovato, L'arrivato
anticipato in Shivpuri mi consentiva di ritrovare a piedi le strade che
passando accanto a scoli di liquami, un parco immerso nel verde fitto degli
alberi di cui era denso
ed il prato di un campo sportivo dove
immancabilmente giocavano a cricket raccordavano la stazione degli
autobus al centro, dove mi consentivo infine di inebriarmi con una birra.
L' indomani di ritorno a Renod, il
farmacista mi assicurava un altro giovane come driver, per recarmi a Kadwaha,
Indor. mi ha raccomandato che visitassi in precedenza il monastero di Renod, al
margine dei campi oltre un rivo e meravigliosi boschetti. Un monastero dei
Mattamayuras?
Per raggiungere Kadwaha il giovane, di
grande cortesia durante l'escursione al monastero che aveva richiesto il suo
aiuto quando mi sono impantanato nel fondo melmoso di una viottola presso il
transito del rio, ha intrapreso la stessa via campestre che recava a
Terhai e Mahua, fornendomi l'occasione per recuperare la mancata visita del
tempio Chamunda. Ma come ho cominciato a insistere perchè ci
arrestassimo, si è mostrato sordo a ogni mia richiesta né me la sentivo
di farmi valere attraverso Kailash. Alle prese in Rajnagar con la burocrazia
indiana per il rilascio del certificato di nascita di Poorti ed Ajay, era
talmente contrariato ed esasperato che non voleva saperne che di rispondermi
come un impiegato d'ufficio. Evitavo di fare scene confidando che potessi farvi
sosta sulla via del rientro, ma quando pervenivamo a Kadwaha dopo avere
svoltato a destra e tenuto la destra al ingresso di un precedente villaggio, ne
sono rimasto talmente condizionato, che dopo il primo gruppo di templi
che si è presentato all ingresso nel borgo, il complesso pacchali marghat, come
avrei appreso tardivamente riconsultando al rientro dal viaggio il sito www.puratatwa.in., comprensivo dei templi 1 (l'a) e 3
(il b) della classificazione di Kishna deva, mi sarei limitato a
chiedergli di visitare solo il gruppo dei templi Talao, per la particolare
rilevanza del tempio A, il Murayat, di cui tale denominazione stessa
richiamava l'affiliazione alla setta Mattamayuras.
Al punto di sosta dell incrocio ch' è
all ingresso del villaggio per chi vi provenga da Chanderi, via
Isagarh, avevo tuttavia la determinazione
di strappargli la conferma dell impegno a raggiungere il villaggio di Indor,
per visitarvi il tempio Pratihara, un unicum, tra i templi coevi dell India
centrale, per la configurazione stellare del prasad intorno al garbaghriha.
L'ingresso del villaggio ne presentava i
casolari biancocelesti sopraelevati amenamente su alture in
successione, da cui ci si distaccava sulla destra, per inoltrarci fino
all'estremità del villaggio, dove uno slargo anticipava la costipazione del
tempio tra le case infitte nelle sue coste.
Sostenuto dalla cordialità dei giovani e
degli uomini del villaggio, e, per i quali ero un'assoluta novità, che mi
aiutavano a risalire i terrazzi da cui la vista di certe statue e dettagli del
tempio era la migliore, imponevo al giovane l osservanza dei tempi richiestimi
dalla visita esterna del tempi, ma non avevo la forza di fare
altrettanto, quando sulla via del rientro che non era più la stessa presa
all'andata, per cui venivo meno ogni possibilità di recuperare la visita
in Mahua del tempio Chamunda, sorprendevo tra i campi una vecchia che si
distendeva fra l'erba dispiegandovi il sari con volto felice/rapita in
estasi, e non mi attentavo a chiedergli di ritornare sui suoi passi.. ma avevo
beninteso con chi avessi a che fare, perché quando fermava la motocicletta
lungo la strada per fermarsi a orinare, si ostinava a non volerne sapere di
riprendere il viaggio per una Renod oramai vicina, se non lo avessi pagato
anticipatamente. Non chiedevo soccorso per telefono a Kailash, talmente si era
mostrato inaffettivo nei miei riguardi, né lasciavo che rientrasse da solo in
Renod impuntandomi di non risalire in sella, per riguardo al farmacista, come
avevo in animo, mi zittivo a pagare solo il convenuto, invece dell importo
superiore che ero già disposto a concedergli .
mentre in Shivpuri al rientro mi sorbivo
una seconda birra, mi deliziavo di alcuni succhi di guava, non avvertivo ancora
come l'accaduto mi stesse lavorando dentro, nulla mi lasciava ancora presagire
la deflagrazione in cui mi sarebbe esplosa la mente quella notte e la
mattina seguente per la mortificazione patita .
Intercalavo la visita a
Surawaya e ai chattri Scindia, ad un ritorno a Renod per recuperare la visita
del tempio di Chamunda in Mahua ed in Kadwaha dei gruppi templari ai quali non
mi ero recato.
L'afflizione remissiva mi stava ancora
talmente prostrando nella fortezza di Suravaya, che una volta ricevuto il
sollecito a ritirare il mio zaino dallo stesso guardiano che all entrata mi
aveva aiutato, con carta ed acqua, a disbrigare un bisogno che non ammetteva
più dilazioni, e che per questo soccorso non aveva voluto ricevere compenso,
consigliandomi di lasciare quei soldi al compagno che accudiva il parco
interno, non me la sono più sentita di ritornare sui miei passi, perchè il
complesso rimanesse aperto ai visitatori, per accertare , in particolare, se
fosse davvero inaccessibile il tempietto più antico sopraelevato sul monastero.
Concludeva mirabilmente la mestizia del
giorno la visita dei chattri Scindia. Tutto, nel complesso hinduista, era
ispirato all'arte ornamentale islamica, che ammantavano la conservazione
, in proporzioni inusitate, della successione di portico d'ingresso, mandapa,
antarala, garbagriha del tempio hindu, sotto un shikkara volto a bulbo in
soggezione all estetica predominante. Ma l anima hindu emergeva invitta sotto
le spoglie islamiche, quando sul far della sera nel padiglione al centro del
bacino lacustre e nei templi ai lati si accendevano le luci e si aprivano i
portali per la darshan degli dei, tra i quali un Rama cui
all'esterno era volto in devozione assoluta un piccolo Hanuman.
Il giorno seguente in Ranod era il
medico, un bengalese, in luogo del farmacista, che mi approntava con la sua
moto il giovane del mio primo itinerario in Terahi e Mahua,
Una volta omaggiato della mia visita il
capovillaggio che abitava nella casa di sopra, con il più fidato e
assecondante dei conducenti potevo così recuperare nel più luminoso dei giorni
quanto in Mahua e Kadwaha non avevo potuto o non avevo avuto la forza di
imporre di condurmi a vedere al motociclista.
Visitato così una buona volta il tempio
di Chamunda la foratura di una gomma ci arrestava nel villaggio di Mahua,
Un ragazzo tentava una prima volta la stessa ricucitura del buco, ne rimediava
il guasto ulteriore e ne perfezionava l opera un secondo sopraggiunto.
Ciononostante mi era possibile in
Kadwaha, benchè le numerazioni dei templi privilegiati di k deva cui mi
rifacevo non corrispondesse alle classificazione dei gruppi dei templi in
vigore presso i loro custodi, potevo visitare i templi Garhi, il 2
di Krishna Deva, il gruppo 7, il tempio Chandla, il gruppo bag. All'appello
finale di un riscontro quando ero già rientrato in Khajuraho , sarebbero
mancati solo i templi Ekla, Margathia e del gruppo Kirna.
Ero così appagato dalla condotta
conforme ai miei intenti del giovane conducente, che ad ogni sosta ulteriore,
ad ogni suo spontaneo arresto per assecondare la mia voglia di fotografare la
bellezza di alberi chiomati e profili di vastità di campi e pietraie
cresceva la voglia di appagarlo sempre di più . ne mi veniva in mente di
richiamarlo alle consegne iniziali, quando invece di fare ritorno
immediatamente a Renod, data l ora già tarda a preso a spaziare per i campi di
villaggio in villaggio, per condurmi dove potessi prendere l autobus per
Shivpuri. il trascorre in motocicletta si faceva intanto interminabile,
mentre la sera veniva calando e volgeva precipitosamente in notte, sotto un
cielo in cui brillavano miriadi stelle sulla campagna indiana sconfinata, sui
villaggi tra le cui rare luci e e cui soglie trascorrevamo, sui ponti e i rivi
che traversavamo, le infinite piante che si profilavano cupe in giungle
addensantesi o dispiegavano i rami solitarie, nell'ampiezza dei
coltivi sullo sfondo di immensi tralicci, sui manti stradali
lisci, sconnessi, polverulenti di lavoro in corso o ricostituentisi dopo
buche e scarpate, in cui mi immetteva l una dopo l'altra, nella mia
estasi vertiginosa, che si esaltava dell'infinita bellezza della notte
stellata nel cui grembo sterminato trascorrevamo, finché dopo un'inutile sosta
in P, non ci ritrovavamo proprio a Derda, al termine di una corsa di ore e ore.
" Perchè mai lo verrà
facendo.durante la sosta in quel villaggio chiedevo al cellulare ad un Kailash
per niente estatico, sono ore e ore che mi viene conducendo"
"Li sa lui i suoi motivi".
Li avrei intesi forse al arrivo in
Dedra, quando dopo avergli dato di mia iniziativa in *, quattro volte la
somma pattuita all'inizio, talmente quel viaggio in motocicletta mi aveva
appagato e fatto turbinare i sensi e la mente, e con mia succube
condiscendenza mi spillava altre 500 rupie direttamente dal portafoglio che gli
porgevo, per il tratto di strada ulteriore che ci aveva condotti sino a
Derda, lungo la strada che proveniva da Ashoknagar.
Avrebbe potuto differentemente che
così, ottenere e propiziarsi una cifra che era il
quintuplo di quanto mi aveva estorto il giovane conducente protervo del giorno
avanti? Capivo, ora, come in spirito di grata amicizia, mi fossi a lui
consegnato, di primo pelo, come si consegna al proprio lapka l
accalappiato di turno?