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Di ritorno da Chhatarpur
con il mio giovaneAjay, non eravamo ancora giunti all
uscita dalla città che l’autobus su cui
eravamo partiti in pochi passeggeri all’autostazione, già alla seconda fermata era strapieno
nella stessa corsia, dove si venivano
accalcando donne e bambini tra giovani e vecchi. Di villaggio in villaggio l’autobus
ha seguitato a gremirsi, ancora di più, al punto che benché fossi seduto ero pressato
da gomiti e bagagli,
Ma più che la calca o la ressa, mi assillava un senso di angoscia che cercavo di evitare che divenisse
asfissia e panico urlante, nel ritrovarmi di nuovo, su un autobus indiano,
intrappolato nel carnaio della folla che per lucro vi era stata fatta salire, in
soprannumero pigiandola, stipandola in un fittume di corpi fin che
ce ne stavano , senza possibilità di
scampo al minimo incidente.
Esternavo la mia ansia
al solo Ajay, che ben sapeva cosa
sarebbe avvenuto, se in luogo dell’accettazione passiva di uno ulteriore stato
di cose intollerabile avessi esternato il mio disdegno e una minima forma di rivolta, come mi aveva detto delicatamente nel ristorante di Kanpur, quando avevo iniziato a smaniarvi per
l indifferenza degli indiani ricchi verso i loro poveri, che li induce a
rivolgersi allo straniero per trarne di tutto: “ riderebbero solo di te”.
“ Pensa che ne sarebbe di noi, se l’autobus si ribaltasse e ci finissero sopra queste
donne e bambini”, il cui pressarmi vivevo come un’ostile minaccia.
Era mancato poco, a marzo,
che succedesse qualcosa del genere a me ed a Kailash, lungo la strada in
dissesto che da Satna conduce a Rewa, ripercorrendo
la quale, al ritorno, dall autobus che ci riconduceva verso casa si era staccato un finestrino, che Kailash non era stato in grado di
trattenere. Il bigliettaio aveva scosso il capo ed aveva fatto cenno di non
darsene pensiero, si poteva e si doveva procedere oltre. Per qualche decina di
chilometri soltanto, per nostra fortuna, fin che l autobus non è stato più in grado di procedere
oltre, e siamo trasbordati su altri pullman
di passaggio.
Non sono passati due giorni da quel viaggio a Chattarpur, di
me ed Ajay, per farmi prescrivere le medicine utili a sedare i miei eccessi
mentali, che al rientro verso casa, era la sera di lunedì, vedo le donne del
vicinato che gremiscono in silenzio i chabutras della casa bianca che fa angolo
all imboccatura del vicolo dove è la nostra abitazione, e quelli delle dimore
che li fronteggiano.
Capisco istantaneamente che è successo qualcosa di
grave, di cui Ajay vuole parlarmene solo quando ci ritroviamo a sedere
nel bazar, a un tavolino per consumare dei momos .
Un giovane poco più che ventenne, che viveva con la sua
famiglia muslim in quella casa bianca, era appena morto, quel pomeriggio, nell incidente stradale occorso su un
autobus lungo la stesso percorso
stradale, nel tratto successivo che reca a Panna. 35 i morti secondo un primo
computo, no, una ventina, secondo i successi rilievi ufficiali, 50 secondo il
referto finale.
Da che sono rientrato in India, nel corso di pochi mesi era
la seconda persona che periva vittima di un incidente d’autobus che abitasse lungo quella via, dopo la
giovane insegnante che è morta, il
novembre scorso, nel disastro occorso
nei pressi della stazione ferroviaria di Khajuraho.
I notiziari tutti, che avrei ritrovato in internet,
avrebbero detto della sola dinamica dell incidente, che l autobus era uscito di strada poco dopo le Pandava Waterfalls, finendo
nel greto in secca di un fiumicello dove
il serbatoio della benzina aveva preso fuoco, come se fosse stato per la
fatalità di un mero evento naturale,
Ma le voci via via raccolte , già il numero stesso delle
vittime, dicevano che era stata una
strage in tutto e per tutto causata proprio da ciò che mi fa rivoltare la mente quando
viaggio in India.
L’autobus viaggiava con oltre settanta passeggeri a bordo, senza
uscite di sicurezza, quando avrebbe potuto farne salire al più la metà,
ma è così che succede in India quando , come ora, è la stagione dei
matrimoni.
L’autista sembrava che avesse bevuto alcolici e fosse su di
giri, perché guidava l’autobus ad una
velocità spericolata. In realtà era
esagitato perché era stato messo alla guida di un autobus su cui aveva faticato a tenere la strada fin
dalla partenza, ed a lungo si era
sgolato invano al cellulare con il padrone del mezzo di trasporto per potere arrestare una corsa che gli era divenuta sempre più
incontrollabile, fin che all’altezza del
ponte non era stato in grado di sterzare.
La maggior parte delle vittime era finita carbonizzata con i
propri indumenti dal fuoco sprigionatosi dal serbatoio dell’autobus, per cui anche il loro riconoscimento era
stato un orrore insostenibile per i loro congiunti.
La mia mente non è riuscita a procedere oltre, nell
immaginare che cosa potesse essere accaduto nelle loro menti, nel sentirsi
schiacciati e soffocati dai corpi degli
altri passeggeri catapultatisi addosso, a
toglierti il respiro, odiosi e letali, ogni possibilità di movimento e di
scampo, mentre il fuoco raggiungeva i loro corpi prima del tuo, e le loro urla
ti anticipavano la tua fine imminente.
L’indomani , i giorni seguenti, nelle vie di Khajuraho che in piena
estate sommergevano nella polvere del
loro rifacimento mancato, da due anni in
corso, i passanti e ciò che era in vendita in strada , il mio furore folle e
iracondo avrebbe voluto aggredire alla gola ogni abulico viandante, le persone ferme ai margini, per la loro apparente accettazione quiescente di ogni stato di cose
esistente.
“ Ma che cosa ci possiamo fare? What we can do? Che cosa ci
puoi fare, tu, che qui sei soltanto uno
straniero?’-è la sola reazione di Kailash che avrei raccolto
adirata, dopo avergli mostrato, come
anche in ufficio, la polvere stradale
abbia di nuovo ammantato ogni cosa.
Dimenticandosi, l’amico, che mi basterebbe l’andarmene via,
io che lo posso, seguitando a distanza l aiuto e l’amore, con la mia follia per
avere tutto alle mie spalle.
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