sabato 9 maggio 2015

Antichi templi hindu in Barwa Sagar, nei distretti di Shivpuri e Ashoknagar



All’arrivo in Jhansi, quando erano già le due del pomeriggio, secondo quanto mi era stato confermato dell'itinerario d'accesso da un addetto all’ufficio turistico ch’è  dislocato nella stazione ferroviaria, dopo che ho preso un autorickshaw per quella degli autobus,  vi ho chiesto del pullman che fosse in  partenza  per Barwa Sagar,  per iniziarvi la mia escursione a Garhkhudar, il primo dei grandi  palazzi e forti dei sovrani Bundela, antecedente lo spostamento della loro capitale ad Orchha.
In Barwa Sagar ho divagato perdendo tempo prezioso senza un orientamento preciso, prima di decidermi o di ridurmi a chiedere se era in  grado di condurmici, ad uno dei  conducenti di tuk tuk  che erano in sosta in un  vialetto ombreggiato da piante che si dipartiva dal punto in cui ero sceso dall’autobus, lungo la via soffusa di sole che proseguiva verso Niwari, in direzione sia di  Chattarpur e di Khajuraho, che di Mahoba.
Non era una richiesta che all’interpellato giungesse peregrina, e per soddisfare la quale avanzasse delle difficoltà rilevanti, se non quanto all ultimo tratto da affrontare in salita, benché la distanza che intercorreva fosse di 36-38 chilometri, circa, e  Garhkundar mi fosse stato preannunciato come un sito quanto mai fascinoso perché impervio e solitario , e cosa non indifferente a risolvermi ad accettare di mettermi in  moto con lui,  l’importo richiesto, di 800 rupie, come conveniva Kailash intermediando al cellulare, era tutt’altro che esoso. Concordavo prontamente e con i bagagli appresso partivo senza più indugi sul tuk tuk, seguitando in direzione di Niwari.
Nella splendida  giornata  solatia,  traboccavano di luce e colore il rigoglio dei campi e della profusione arborescente ai lati della strada, la  frutta e la verdura dei bazar che apparivano allestiti lungo il suo percorso, già all’uscita di Barwa Sagar, facendo seguito alla pulverulenza calcinata degli ammonticellamenti nei dintorni di Orchha,  ravvivata dallo splendore a chiazze delle bouganville, attraverso la quale mi ero ritrovato a ripercorrere l’arteria dei miei primi tragitti che mi avevano condotto a Khajuraho, e di ogni ripartenza dal suo sito verso altre mete od il rientro in Italia, prima del dilatarsi della vista sul corso della Betwa,  del succedersi della profusione di  orti e giardini che avevano preceduto la riapparizione del tempio sakti Jarai Math, che mi ripromettevo di visitare l indomani.
Lasciando pure  che il conducente trasformasse il servizio a me riservato in un savari condiviso, raggiungevamo e traversavamo Niwari, dove se il treno, come in Barwa Sagar, avesse fatto sosta qualche ora prima,  mi sarebbe stata risparmiata la lunga digressione verso Jhansi e nei suoi peripli ferroviari e stradali, pervenivamo di lì a poco alla successiva borgata, oltre la quale svoltavamo sulla sinistra, lungo una viottola asfaltata secondaria che ci inoltrava  tra campi e villaggi,  intraprendendo ad un bivio la diramazione, sulla sinistra, che ci adduceva alle alture crestate che si erano profilate all orizzonte e che il percorso finiva per affiancare addentrandosi tra i loro rilievi, prima che una deviazione sterrata sempre sulla sinistra non ci portasse  al villaggio di Garhkundar ed al forte omonimo che infine appariva, sovrastante e imponente,  sommità tra le altre sommità collinari.
Il tempo di posteggiare l’autorickshaw ai piedi della scalinata che raggiunge le mura esterne d’accesso al castello, e la sua entrata, che il guardiano del forte si era già caricato il mio bagaglio in spalla,  per iniziare a procacciarsi una mia compensa. Non mi restava che assecondarlo, nella sua mistura di sincerità e di artificio, perché anche il conducente risaliva l erta al seguito di entrambi fino all’ interno del palazzo.

La sua mole prefigurava  il tipico assetto dei manieri Bundela, dispiegando in capo a sette piani, inclusi quelli del basamento, quattro possenti torri d’angolo quadrate, precedute dalle rimanenze di torri ottagonali,  ed un avancorpo al centro delle  mura,  in cui  si faceva prospiciente l’alto portale. L’ arcata  d’ingresso era compresa entro una cornice rettangolare ed all’interno di un secondo arcone cieco, nel cui grembo si apriva la umile grazia di  finestrella, giusto all’altezza  della parte centrale della trabeazione sommitale del portone d’accesso, tale mise in abyme stagliandosi tra le  serie- tre- di due nicchie ad ambo i lati, di cui il portale era l interruzione della successione,  secondo gli stilemi che sono tipici , nell’architettura islamica di Delhi, delle tombe a guisa di palazzo ultraterreno d’epoca Lodi,  delle moschee coeve o risalenti all’ interregno di Sher Sah Sur, oppure ai primordi dell’era Moghul. Tale magnificenza accogliente era enfatizzata, nella sobrietà del suo apparato, oltre lo stacco di un cornicione dalle ulteriori tre schiere di arcate che lo sormontavano, per un totale di sei ordini , se si includevano le arcate che affiancavano il portale, . Semplici ballatoi mensolati   raccordavano il portale alle torri laterali,  a suggello della severità marziale  del forte schiva di ogni adornamento o decorazione, che non fossero i modesti chattri,  connessi da un bengaldar, che restavano a coronamento di una soltanto delle  torri d’angolo,
Il cortile interno, sopraelevato come negli altri palazzi Bundela rispetto al piano d’ingresso, mi sarebbe apparso il più vasto e immensificante  di ogni altro di loro, per la  serratura entro la schermatura  di una galleria  e dei cortiletti pensili al piano superiore, della proiezione verso l interno, in una serie di sale sovrapposte, dei corpi d’angolo e centrali,  un’alternanza di vani chiusi ed aperti ch’era una prefigurazione ulteriore dell’architettura successiva  dei palazzi  mirabili d’ Orchha e di Datia.
Dai parapetti la vista poteva spaziare tutto intorno incantevolmente,
per la modesta altura anche dei rilievi circostanti, che due altiforni o ciminiere che fossero sfidavano impunemente verso nord ovest,  mentre nell’opposta direzione tra i ponticelli si schiudeva la vista di un  laghetto e del biancore di un tempio sulle sue rive, il sito di preghiera e di culto delle regine d’un tempo del palazzo, quando vi discendevano dal baradar che vi s era rivolto, secondo quanto mi diceva il guardiano,  tentando in hindi  di farmi da guida.
Il suo maldestro tentativo , quando eravamo più soli e più in alto, di estorcermi un ammontare ben superiore per i suoi servigi impostimi e non richiesti, tentando di profittare della venuta alfine di uno straniero in Garhkundar, gli  propiziava poco più di un centinaio di rupie,  di cui aveva modo di ringraziarmi con i più ossequiosi omaggi servili, dopo che un intervento al cellulare di Kailash l’avevo ricondotto al un  ridimensionamento in termini interni al mondo indiano delle richieste avanzabili.
La sera si era fatta oscura quanto la notte al rientro in Barwa Sagar,  di cui fiochi lumi illuminavano le strade,  esponendomi al rischio ricorrente di essere investito da motocicli od autovetture. Troppo lungo mi ci attardava l’indeterminazione su quale delle due destinazioni, tra Orchha e Jhandsi prescegliere per il pernottamento,  apparendomi troppo esose anche le sole 300 o le 500 rupie richiestemi dai conducenti in autorickshaw  per trasferirmi in Orchha, quando per una ventina di rupie avrei potuto raggiungere in autobus Jhansi. Solo che i drivers dei tuk tuk si facevano sempre più rari e indisponibili, sempre più unicamente interessati a stipare sul loro veicolo quanti più passeggeri possibili alla volta di Jhansi, senza spazio o respiro per me ed il mio bagaglio, mentre gli autobus per Jhansi  arrivano già stracarichi al punto da non potere più far salire nessuno. Finalmente ne sopravveniva  uno che non aveva ancora raggiunto la soglia del proprio traffico illimitato e che mi faceva salire.
Era dunque Jhansi la mia destinazione notturna, malauguratamente, ancora una violta: perchè ancora una volta vi avrei sperimentato l imprevidenza di farvi affidamento nella stagione dei matrimoni, che ancora una volta ne intasavano a notte fonda strade ed hotel. Così  solo a caro prezzo vi ho potuto trovare soggiorno al Samrat hotel,  ben deciso, l indomani, a lasciarlo di primo mattino per Orchha. Meta, la rivisitazione particolareggiatissima del  tempio stupefacente  Jarai Math prima di Barwa Sagar

Il secondo giorno mi trasferivo  già di primo mattino da Jhansi in Orchha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. A ricevermi c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l'hotel  vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza,  il che, grazie al sito puratattva.in, mi dava modo di ragguagliare per il tramite di internet le mie informazioni librarie,-  non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe  occorso in Kadwaha i giorni seguenti.
Per duecento rupie, in luogo delle trecento richiestemi  qualora avessi inteso recarmi fino a Barwa Sagar ed esserne di  ritorno,  al parcheggio in  Orchha degli autorisckshaw pattuivo una sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math, volendo io evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che avrebbe trasceso le  supposizioni di ogni aspettativa.  Di li a mezzora , in un  giorno incerto di marzo,  potevo così già ritrovarmi di fronte alla meravigliosa vista del tempio, 
su di un'altura oltre una cinta muraria che raccoglieva i resti anche di due piccoli santuari adiacenti,dove emergendo da una nebbia fittissima, tre mesi avanti non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del caro mister Dipak, che non era  parso particolarmente interessato al complesso.
Anche allora c'era venuto appresso il guardiano e custode, che sembrava  ora riconoscermi ed  illuminarsi nuovamente alla vista, come quando gli avevo fatto allora cenno che  era per ragioni da me indipendenti che non potevo prolungare oltre la sosta con il mio ospite.
 La grandiosità della magnificenza frontale del tempio cui tornavo al cospetto,
era  un effetto fors’anche di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che aveva lasciato in vista l’ornamentazione che  era adombrata al suo interno insieme con quella che lo trascendeva all’esterno, in un continuum splendido, outdoor, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa, contro il superstite fondale reticolato di gavakshas del sikhara, che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature ritrovavo arcuati gli udgamas delle nicchie che si stagliavano sul vedibhanda, delle coronature dei tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete, dei pratirathas laterali  che le fiancheggiavano a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate a templi da tali  loro sovrastrutture  nei recessi e nelle proiezioni  d’angolo dei karnas e del vestibolo dell'antarala, dove gli udgamas si dilatavano, e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara originario.
Da uno  scatto fotografico all'altro  testi alla mano-, iniziavo a ripercorrere il tempio in ogni suo dettaglio, al contempo che il suo arcano sublime  mi si riprospettava meravigliosamente intatto. Anomalie, e precorrimenti, lo impreziosivano senza smagliarne l' esemplarità canonica. l'attinenza ai paradigmi dei templi Pratihara nella sua onnipervasività si manifestava il criterio d'ordine di una profusione eccelsa , il cui ordito mi riformulava al contempo l'enigma o mistero della  cripticità fascinante del tempio, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Raffrenava le mie deambulazioni estatiche intorno al tempio lo scollarsi della tomaia di una mia scarpa, così  non mi restava che procedere in calzini sulla sua piattaforma, tra il terriccio del giardino intorno,  nell incognita di come potessi procedere più oltre, fino al rientro in Orchha, quindi in Orchha fino a un negozio di calzature,o  fino ad un calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia.
Ero così di ritorno alla facciata dal mio periplo deambulatorio, quando sopraggiungevano due giovani studenti, di Jhansi, che mi chiedevano, o intendevano mettervi a prova, nella mia valentia conseguita di indagatore e conoscitore straniero del tempio.
In che intrico confuso, prestandomi, finivo così per cacciarmi tra shivaismo o vishnuismo del culto tantrico  alla devi alle origini del tempio.
Ma , era la loro questione, perchè non avrebbe potuto essere semplicente un tempio a Laxmi, data la sua natura eminentemente vishnuita.
Ed io ad annaspare rifacendomi a quante vi proliferassero le immagini delle più varie manifestazioni della dea, nella sua trascendenza di ognuna di esse, perchè il tempio potesse rifarsi originariamente alla sola sua forma divina di Sakti di Vishnu.
Con il custode che assisteva ammirato,  assentendo o annuendo,   pur senza essere sempre convinto alle mie delucidazioni e identificazioni dei gruppi statuari, pronto ad assegnarmi  quello che poteva risultare il colpo di grazia, Insieme con lui mi addentravo nella cella del tempio, ed alla sortita, per chiedere  a lui lumi in tal senso, incarnazione vivente di una tradizione di devozione millenaria locale e nel vicinato, gli chiedevo a quale divinità, secondo il culto vigente, dovesse ritenersi dedicato il tempio " Laxmi e Ganesha" mi ribatteva imperterritio, sorridendo di come fosse in dissonanza con tutto quello che avevo detto
" Laxmi? punto e a capo di ogni velleitarietà di farne un tempo tantrico alla Devi. Ma Ganesha?  " Ma di Ganesha non c'è alcuna immagine nel tempio..."
I due giovani raccoglievano sorridendone la mia perplessità, lo sconcerto per  la risposta dell'uomo  che se presa per valida e vera,  era l' azzeramento di ogni sforzo e  discorso iconologico intrapreso con loro
Uno dei due giovani era stato il mio interlocutore costante, mentre l'altro si era limitato, in silenzio, a  confermare le mie  illazioni o richiami ad altri templi, o a chiarire il senso delle mie parole e dei miei usi tecnici, azzardati, di un lessico architettonico risalente al  sanscrito.
Che mi avessero sottoposto ad esame, in virtù delle  conoscenze umanistiche o del sanscrito del secondo dei due, incuriositi di verificare la mia attendibilità di studioso e ricercatore straniero?
Il  .vecchio, apparentemente di me più anziano, quando rimanevamo soli, aveva la gentilezza e il riguardo di cercarmi un legaccio, con cui provava a tenere insieme suola e tomaia della mia scarpa scollatasi.
Una premura che gli valeva la mancia che altresì aveva inteso assicurarsi con tale suo gesto.
Potevo cosi procedere fino al vicino villaggio, per vedervi i resti del Jaraho- ki- Marhia,  dove  ritrovavo il custode e da lui mi congedavo con rinnovato calore , essere di ritorno alla strada che recava a Jhansi, salire su un autorichshaw, adibito a savari, nella postazione davanti a mio rischio e pericolo, fino alla deviazione per Orchha,  ed al mio arrivo nel suo abitato con un altro tuk tuk, acquistarvi un paio di snackers nel primo negozio di scarpe che incontravo lungo la via che recava alla Betwa, fare riparare a dovere la scarpa  che era finita in disuso, che insieme con l'altra era stata attrezzata di una cordatura di raccordo di suola e tomaia .

La sera, fino al far della notte, trascorrendola tra le locande sulla via per il palazzo di  Jahangir e l interno del tempio di Rama,  in cui mi sono recato in preghiera con un offerta in denaro, senza trarne le dovute avvertenze sulle interdizioni interne al tempio di Rama,  come  avrei inteso mettendo a  rischio tutto,   l ultimo giorno di viaggio, quando un agente del tempio pretendeva di consegnarmi furibondo alla sua guardia armata, per il mio rifiuto di cancellare le fotografie ch'era  proibito che vi avessi scattato all interno.
L’indomani ritardavo fino a sera tarda la partenza per Shivpuri. In mattinata ero di ritorno in Barwa Sagar, non senza una   breve sosta al Jarasi Math, lungo il percorso, per esperire  quanto potesse riservare  una visita del forte ,  nel corso del tragitto da Khajuraho ad Orchha, dopo  essersi soffermati in Dhubela, Mau Shuhania, avere deviato per Garkhurar.
Che bella la vista del talab, con le sue emergenze rocciose, il lungolago sottostante  fino a un tempio recente, che arieggiava grazie rivierasche del settecento europeo.
Introvabile il Gugua math, in direzione di Nivari.
Era già pomeriggio inoltrato, al ritorno, ma non intendevo saperne di lasciare Orchha senza aver rivisitato il Palazzo di Jahangir, dopo che di primo mattino  aveva ripercorso il villaggio sino alla betwa , godendone la vista  che offre per chi vi viene da tikamgarh, con i suoi  cenotafi svettanti in shikhara ed i suoi palazzi  coronati di cupole edi chattri.
Un vento pulverulento preannunciava un temporale imminente mentre mi attardavo a rivisitare il grandioso tempio Chhatarbuja,  inducendo i negozianti del  complesso del tempio di Rama a mettersi al riparo con banchi e banchetti. La pioggia avrebbe imperversato quando già mi sarei ritrovato all’ingresso del palazzo di Jahangir, che non avrebbe mancato di incantarmi di nuovo, nell’alternarsi ascendente dei chattri tra  le rientranze dei torrioni d’angolo e centrali, le proiezioni inwards,  tra la    leggiadria di vani aperti. Mi consentivo anche di stare in ascolto dei discorsi affascinanti di una guida locale, che all’altezza della porta degli elefanti, vi narrava di come si fossero arrestati prima della rampa d’accesso elefanti  di dignitari e cammelli di dame che non vi erano mai pervenuti,  dalla finestra superiore fosse scesa una pioggia di  fiori  e dalle torrette laterali avessero risuonato le trombe di musici ad un passaggio che non vi era mai avvenuto,  nell’evocare un pernottamento del gran moghul Jahangir che non vi sarebbe mai stato.
Facevo così tardi che non mi  potevo consentire di aspettare l’arrivo di un altro autobus per Jhansi,  dopo che già un primo era arrivato così carico da non farmi salire, così raggiungevo la città con un tuk tuk,  trovando un autobus in partenza di li a poco per  Shivpuri quando erano già trascorse le sette di sera.  E vincevo la scommessa che mi ero dato, il fondo stradale insolitamente buono consentiva che l autobus percorresse gli oltre 90 km  che intercorrono tra  Jhansi e Shivpuri in poco più di due ore. Il solo assillo era che avevo riposto con tale studio il bigliettino che recava le denominazioni dei budget hotels di Shivpuri,  che non lo ritrovavo più in alcuna tasca e ripostiglio in cui rovistassi.
Era deserta e spenta di luci l’autostazione all’arrivo,  ma per un giovane poliziotto cordiale  quanto ammaliante, bastava che pronunciassi quanto mi ricordavo del nome dell’hotel che mi ero  prefissato, “ Sochi…”, perché me lo indicasse per intero e mi avviasse dove avrei potuto trovare un autorickshaw che mi ci portasse. “ Ah, Hotel Sochiraia…”  pronunciato in modi così confortanti, da lasciarmi intendere che ero orientato verso la scelta  più  indicata. A condurmici sopraggiungeva alle mie spalle un autorickshaw che mi conduceva in condivisione.
Era un hotel vasto, con un ampio cortile fin anche troppo consono ad ospitare feste nuziali.  L’accoglienza la più premurosa,  in una città dell'India dove uno straniero è ancora un ospite raro,  confortevole e pulita la cameretta, buonissimo il kaju curry, che mi veniva cucinato e imbandito benché fossero già trascorse le undici.  La buonanotte un esito certo.
4 giorno
Di rientro dalla mia ricerca di un  bancomat lungo la via dissestata che si sarebbe rivelata essere il seguito dell’arteria principale di Shivpuri,  avevo la mala idea di  assecondare la sollecitazione di un vistoso cartello segnaletico che a due km di distanza sulla destra segnalava un centro di orientamento e informazioni  turistiche,  prima del villaggio turistico che  era ben più  lontano. Avrei finito per ritrovarmi invece in questo resort, condottovi  di sua iniziativa da un giovane sulla sua motocicletta,  che mi aveva intercettato all ingresso dell hotel, dopo che avevo desistito dal proposito di pervenirvi  con l'autorickshaw guidato da un ragazzo che era ben più avvenente che informato sulla meta che mi ero prefissato.  Solo che colà giunto il giovane mi  invitava ad avvalermi del direttore inoltrandomi nel suo ufficio, per poi  sparire e farsi irreperibile. Chiedere conto di siti archeologici a un  funzionario turistico del Madhya Pradesh era la cosa più invisa  e che più potesse incollerirmi cui mi si potesse obbligare, essendo per me scontato, per l esperienza pregressa,  nonostante l  arricciatura di baffi,l’ eleganza di portamento e di tratto e e la profumatezza  agghindata,  che cosa potesse riservarmi la cortesia formale dell uomo cui ero di fronte.
“Mahua, Terahi?, … forse i siti che lei cerca sono nel distretto di Gwalior…
Sarebbero dunque vicino a Renod? Perché non ci si dirige da Chanderi? “ quando rientravano ben all interno  del distretto di sua competenza.
“ vedo che non serve a niente che ci parliamo ancora” mi congedavo con comune sollievo e senza  alcun riguardo,  in  un flusso di collera esagitato seguitato a sbraitare con gli addetti che ben sapevo quanto sapessero che avevo ragione, che  dannazione fosse per  ritrovarmi così malcapitato, in un luogo che mi sarebbe parso in altre circostanze il più ameno di siti, ma da cui scalpitavo di potere essere via al più presto, senza sapere come fosse possibile, essendo svanito nel nulla il mio accompagnatore, e senza che nessuno di loro si desse da fare per ricercarlo, altri essendo i miei interessi e i miei intenti, alla luce dei quali ben sapevo che cose potesse riservarmi l Mp tourism  con le sue pubblicazioni in  bella vista nei loro armadi e i suoi  capoufficio  e funzionari vari,  che nulla sanno e nulla  fanno, niente di niente  vogliono fare,  per prezzolati che siano…
Capivano alfine, dopo che  simulavo che la mia ricerca di un contatto con kailash fosse una mia telefonata alla polizia,  nello spirito di chi li si ritrovava in stato di sequestro di persona, la sola cosa che era conveniente fare: accompagnarmi in macchina senza richieste di denaro , che li mi ero ritrovato contro la mia volontà,  fino all hotel da cui mi ero malauguratamente mosso per finire li malcapitato.
Sbollitomi dei miei furori  alla reception, mi facevo condurre all autostazione, per poter visitare nella frazione di giornata restante il solo tempio che mi restasse visitabile nel corto raggio, oltre Surawaya, di cui intendevo associare la visita a quella dei chattri Scindhia di Shivpuri,  il tempio di Sesai, con una mandapika assai prossima, che la cartina  indicava nelle vicinanze, a non più di dodici chilometri di distanza secondo il testo di trivedi. Era lungo la stessa arteria di larga percorrenza che da shivpuri reca a Guna,  lungo la quale un autobus mi avviava di li a poco, per ritrovarmi in sesai di li a neanche mezzora,
Vi avrei trascorso un intero pomeriggio in stato d’incanto,  solo con il mio tempietto umile ed alto nella sua compiutezza perfetta,  a portata di mano sino all'altezza dei  deliziosi tempietti  delle sue badhra, cui non mancava di ricorrere miniaturizzata neanche la chandrasila.
Vi ero al riparo del portico sotto gli scrosci di pioggia,  leggendovi  le pagine e pagine di descrizione di Trivedi della  minuzia completa in tutto e per tutto di ogni sua parte o modanatura o rilievo dettaglio , suscitando l interesse dei passanti per strada, che si fermavano a guardarmi,  accennavano o contraccambiavano il saluto,  riprendevano il cammino  con in mente  la novità del giorno.
Richiedeva una indagine più rapida la mandapika, sul cui basamento erano affastellati fasci dì erbame.
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Ero in Shivpuri sul far della sera,   scendendovi da un tuk tuk che avevo preso dove la strada fronteggiava dei casolari di Sesai, oltre la qila o kotla che ne rinserrava casolari e rustici.
Dovevo faticare parecchio perché un mio accompagnatore troppo solerte intendesse che potevo cavarmela da solo, che  prima di ritrovarmi in hotel volevo ritrovare un qualche centro possibile di Shivpuri dove mi fosse possibile ritrovare una varietà di negozi, per comperare le cose che mi servivano, un’altra card fotografica,  dei sandali per  non scivolare nel bagno,  una cartella rigida dove raccogliere le fotocopie evitandone lo sciupio, penne e matite,
Si, andava bene che li lasciassi come stavo facendo per procedere avanti, mi si confermava a cenni da parte sua e di un interpellato,  cessando di considerarmi sotto le loro cure, avrei potuto trovare più oltre un bazar,  con i negozi di tutto l’occorrente che mi serviva.
Prima, tuttavia, stranendoli, dopo avere ricaricato il cellulare, ritornavo sui miei passi per consumare una gugià in una locanda, e bermi qualche bibita, per la contentezza del suo gioviale gestore dai modi accesi e coloriti.
L’acquisto dei sandali nel secondo dei negozi di calzature che si succedeva, era l occasione per trarre  dalla conversazione che avviava con me il suo esercente, la richiesta  di informazioni che mi era utile per sapere se l indomani, facendo già il gran passo, era preferibile cercare di raggiungere i villaggi di Mahua e Terahi via Kanya , come mi aveva consigliato il direttore del museo di panna, in un foglietto che avevo miracolosamente conservato  e trascritto al computer, salvandone i resti in cui si era piegato, o non piuttosto dalla più vicina Renod, come mi suggeriva il ricorso di Trivedi a tale località di riferimento, per giungervi, , nel suo volume che li descriveva integralmente.

 
Quale delle due località mi era consigliabile,  per essere meglio fornita di servizi., detto altrimenti civilizzata. L’accordo dei presenti era unanime quanto a  Renod E che Renod fosse, mi risolvevo,  nel congedarmi  da  interlocutori così riguardosi, con un visitatore straniero svanito e discordante nei modi. La pioggia si intensificava mentre raggiungevo il presumibile centro, di quello che mi ero parso in precedenza un agglomerato che aveva capo solo nelle sue circonvallazioni,   le pasticcerie e i negozi di frutta e succhi e verdura; che precedevano un  tempio hindu e i suoi mendicanti immancabili, che come a loro mi offriva un riparo dagli scrosci  di pioggia fattisi a dirotto . Quando riprendevo il cammino,  l’avrei ripreso oltre il chiosco tra negozi e ristoranti oramai per lo più chiusi,  tra i quali mi era inimmaginabile trovare ancora aperta qualche cartoleria. Meglio seguitare il cammino fino in hotel, poco oltre,  predisponendomi per l indomani alla tappa cruciale del mio itinerario nel distretto di Shivpuri, quella  in cui avrei tentato di raggiungere le località sulla carta più difficilmente raggiungibili: Mahua, Terghi, ed oltre Kadwaha,  anche per questo per me le più intriganti/ ammalianti. L’indomani, una domenica, arrivavo all’autostazione giusto in coincidenza con la partenza dell'autobus per Renod delle 10, 30. Ripercorsa la stessa strada per Guna fino a Sesai, la si seguitava oltre il grosso borgo di P fino all'incrocio di Derda, svoltando sulla sinistra per intraprendere la strada che reca ad Ashoknagar, e quindi una deviazione ulteriore, a destra, che dopo circa due ore di viaggio si risolveva nell imbocco del villaggio di Renod.
Le abitazioni ed i negozi tinteggiati di bianco lungo la strada principale me ne nascondevano le vestigia islamiche, che i giorni seguenti mi avrebbero indotto a reputarla una piccola Chanderi,
mentre più che a guardarmi intorno contemplativamente, ero intento a cercare punti di riferimento , in viveri e mezzi, per la mia escursione in Mahua e Terahi, se era possibile fino a Kadwaha.
L’animazione più viva di botteghe e locande non faceva capo ad alcun tuk tuk , così, facendo ricorso ai principi dettatimi dalla mia esperienza in india che faceva al caso, mi indirizzavo al primo esercente che vi vedessi all opera da cui potessi attendermi una certa levatura intellettuale,  un farmacista quanto mai coinvolto dalla sua clientela.
La sua cordialità gentile era pari alla sua disponibile prontezza e rilevanza sociale, perché in capo a mezz’ora poteva affidarmi a un giovane in motocicletta, perché per 500 rupie mi conducesse ai templi di Mahua e Terhai, a Kadwaha, nella remota ipotesi che restasse del tempo.
Se volevamo essere di ritorno per l ultimo autobus per Shivpuri avremmo dovuto fare rientro entro le tre, il giovane mi faceva intendere che potevo confidare anche in un autobus in partenza alle cinque, una dilazione dei tempi di rientro cui prestavo fede assai limitatamente. In ogni caso per 800 rupie avrei potuto farmi condurre in auto fino al bivio di Derida, dove prima o poi un autobus destinato a Shivpuri l’avrei potuto far fermare.
Seguitavamo lungo l’arteria di provenienza, in direzione opposta, fino a svoltare a destra dopo qualche chilometro, per una viottola in larga misura asfaltata o dallo sterrato in buono stato.
Si ripresentava intorno il paesaggio che mi era apparso circostante fin dalla deviazione di Derda, una distesa sconfinata di pietraie aride, ove emergeva la roccia lavica, cui subentravano o si affiancavano all altro lato della strada distese sconfinate di campi verdeggianti, di grano solare, in cui singole piante dispiegavano la bellezza solitaria della chioma grandiosa.
Era Terahi, il primo villaggio a comparirci, rispetto a Mahua, nelle sue casipole di pietra. ocra.
Defilato sulla destra raggiungevamo il primo dei templi ubicativi, il Mohajmatha, preceduto dal biancore del suo torana grandemente restaurato, dalla sua aura demoniaca spettrale di tempio alla Durga, con la ridda al seguito di preta e  kankala.
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Era tra le case del villaggio, a ridosso di un monastero e in un verde divallamento il tempio Pratihara di Shiva.
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In Mahua , dopo qualche chilometro, alla mia esaltazione contratta a raccogliere nel breve tempo disponibile quante più percezioni cognitive e immaginative possibile, compariva già a distanza il suo più remoto tempio di Shiva, preannunciato dal suo amalaka,che si presentava  ai lati della strada quando vi giungevamo,

 
Il tempo incalzava, mi affannavo a chiedere che raggiungessimo dapprima il tempio di Chamunda, che presumevo fosse il più importante degli altri due situati in Mahua, cercando di fare intendere al giovane che non mi prefiggevo più di essere in Renod per l ultimo autobus pomeridiano, ed ero condotto invece al mandapika di Shiva, ch'era nelle immediate vicinanze, mentre si addensavano all'orizzonte nembi cupi gravidi di pioggia.
Era poco più che una ricognizione la visita del tempietto, non potevo nella mia concitazione affascinata  esporre ad un nubifragio il mio accompagnatore, così cedevo alle sue sollecitazioni ad un immediato rientro e alle esortazioni in tal senso del custode del tempio, riavviandomi verso Renod in una scommessa contro l'approssimarsi,  sospinto dal vento, di enormi nuvole incombenti, che tra lampi e tuoni si defilavano lontano dall' approssimarsi di Renod, con il solo lascito di un'acquerugiola lieve.
L'acquazzone si scatenava quando ero già al riparo dell autovettura che il farmacista mi aveva assicurato per trasferirmi in Derda, dove non avevo modo di raccogliere al telefono la pretesa non sapevo se avanzata dal farmacista stesso o dal proprietario dell'automobile, che pagassi un importo di 1000 rupie, perchè i due ragazzi erano troppo presi dall'assicurarmi un posto sull'autobus che era appena sopraggiunto diretto a Shivpuri, per intendere che cosa volessi loro dire mostrando loro il mio portafoglio aperto nell'atto di estrarne rupie.
Nell hotel il cortile era occupato dai tendaggi e tendoni e festoni di un festino di nozze, i cui partecipanti insieme con il loro disordine avevano prodotto sporco e tanfo dappertutto, al punto che dopo qualche assaggio al buffet, senza più gusto ordinavo e cenavo in un ristorante pervaso nelle sue latrine dal fetore recatovi, e non pensavi ad altro che di assopirmi al più presto.

 
L' indomani interponevo la escursione al tempio di Keldar, rispetto ad un mio ritorno in Renod per terminare di visitare Mahua e recarmi a Kadwaha, Indor. Tra candide nuvole il sole era tornato a risplendere nel varco dei cieli, ed in autobus procedevo oltre Derda sino di li a poco al villaggio di Lukwasa, la cui confusione fragorosa allineata ai bordi del fragore del traffici stradale di passaggio, resa più insostenibile dalla vista dei cadaveri animali le cui viscere si contendevano i corvi, ero ben lieto di lasciare quanto prima, sul furgoncino fuoristrada che mi conduceva  seguitando verso Guna al sito di Keldar, a oltre12 km di distanze in aperta campagna nel suo infoltarsi boscoso, la disponibilità del cui conducente a trasportarmici a pagamento mi era stata assicurata da un commerciante eminente del villaggio che l'aveva intercettato di passaggio. Con ben altro animo sarei stato contento di li a poco di lasciare invece   quel poco di buono, infischiandomene che gridandogli di andarsene pure via  via lasciando pure che se ne andasse  lo  inducessi a lasciarmi li abbandonato in piena solitudine, pur di non sentirlo già lamentarsi come aveva preso a lamentarsi già del tempo intercorso, e  richiedermi a viso torto un balzello più alto già voleva innalzarmi il balzello, quando ero appena giunto a scorgere giù nel greto di un rivolo il sospirato tempietto agognato, dopo avere divagato sulla distesa circostante della radura nel folto di un bosco, per la sua stessa inesperienza del luogo.
Ma trovavo di li a poco di che confortarmi nella amenità graziosa del tempietto e nella rusticità scultorea delle sue statue coperte di impiastri, nella ammirata accoglienza di una sadhu e di sua moglie e un altro monaco accolito, che avevano la loro dimora appresso il mandir.
Baldeo Bab mahatma, così si chiamava, era ammirato della mia cognizione e dei miei interessi, appariva curioso del libro che stavo utilizzando, e sicchè dopo essermi venuto appresso con discrezione estrema lungo le mie peregrinazioni brevi intorno alla parvula/ piccola mole dell' edificio, mi chiedeva di sfogliarlo.
Chiamava a raccolta l altro sadhu e la moglie, nel visionarne le pagine e trarne appunti, mentr'io mi aggiravo nella radura ove traluceva e s'oscurava il sole fra gli alberi , e  andavo fotografandone l incanto .
Sarei scivolato poi  nella malta e nello sterco,  ad un primo tentativo di transitare il rivo, e sarei stato di lì a poco ero  di ritorno dall uomo, perchè mi detergesse i pantaloni con l'acqua ed un panno. Risalito al tempio e ai chattri sovrastanti, avevo modo di non lasciare a lungo nelle ambasce Kallu che con me era in contatto, su come potessi fare rientro a Lukwasa, per una strada tra i campi lungo la quale sorgeva solo un villaggio qualche chilometro distante ( ferma per strada ogni mezzo possibile, portati oltre anche salendo su dei carri)
Sopraggiungeva di li a poco un trattore carico di passeggeri, seguito da una moto, che erano venuti a prendere l'acqua li alla fonte, seguitati da una motocicletta , e il passaggio fino a Lukwasa era assicurato. Avessi disatteso di chiedere al giovane di recarmi fino a Lukwasa, per prendere l autobus ove la via di campagna defluiva in quella di raccordo di Guna e Shivpuri, evitando l'ammorbamento ed il tanfo, il luridume e gli avanzi di resti animali per strada che vi avrei ritrovato, L'arrivato anticipato in Shivpuri mi consentiva di ritrovare a piedi le strade che passando accanto a scoli di liquami, un parco immerso nel verde fitto degli alberi di cui era denso
ed il prato di un campo sportivo dove immancabilmente giocavano a cricket  raccordavano la stazione degli autobus al centro, dove mi consentivo infine di inebriarmi con una birra.

L' indomani di ritorno a Renod, il farmacista mi assicurava un altro giovane come driver, per recarmi a Kadwaha, Indor. mi ha raccomandato che visitassi in precedenza il monastero di Renod, al margine dei campi oltre un rivo e meravigliosi boschetti. Un monastero dei Mattamayuras?
Per raggiungere Kadwaha il giovane, di grande cortesia durante l'escursione al monastero che aveva richiesto il suo aiuto quando mi sono impantanato nel fondo melmoso di una viottola presso il transito del rio, ha intrapreso la stessa via  campestre che recava a Terhai e Mahua, fornendomi l'occasione per recuperare la mancata visita del tempio Chamunda. Ma come ho cominciato a insistere perchè ci arrestassimo,  si è mostrato sordo a ogni mia richiesta né me la sentivo di farmi valere attraverso Kailash. Alle prese in Rajnagar con la burocrazia indiana per il rilascio del certificato di nascita di Poorti ed Ajay, era talmente contrariato ed esasperato che non voleva saperne che di rispondermi come un impiegato d'ufficio. Evitavo di fare scene confidando che potessi farvi sosta sulla via del rientro, ma quando pervenivamo a Kadwaha dopo avere svoltato a destra e tenuto la destra al ingresso di un precedente villaggio, ne sono rimasto talmente condizionato, che  dopo il primo gruppo di templi che si è presentato all ingresso nel borgo, il complesso pacchali marghat, come avrei appreso tardivamente riconsultando al rientro dal viaggio il sito www.puratatwa.in., comprensivo dei templi 1 (l'a) e 3 (il  b) della classificazione di Kishna deva, mi sarei limitato a chiedergli di visitare solo il gruppo dei templi Talao, per la particolare rilevanza del tempio A, il Murayat, di cui tale denominazione  stessa richiamava l'affiliazione alla setta Mattamayuras.
Al punto di sosta dell incrocio ch' è all ingresso del villaggio per  chi  vi provenga da Chanderi, via Isagarh, avevo tuttavia la determinazione di strappargli la conferma dell impegno a raggiungere il villaggio di Indor, per visitarvi il tempio Pratihara, un unicum, tra i templi coevi dell India centrale, per la configurazione stellare del prasad intorno al garbaghriha.
L'ingresso del villaggio ne presentava i casolari biancocelesti sopraelevati amenamente  su alture in successione,  da cui ci si distaccava sulla destra, per inoltrarci fino all'estremità del villaggio, dove uno slargo anticipava la costipazione del tempio tra le case infitte nelle sue coste.
Sostenuto dalla cordialità dei giovani e degli uomini del villaggio, e, per i quali ero un'assoluta novità, che mi aiutavano a risalire i terrazzi da cui la vista di certe statue e dettagli del tempio era la migliore, imponevo al giovane l osservanza dei tempi richiestimi dalla visita esterna del tempi,  ma non avevo la forza di fare altrettanto, quando sulla via del rientro che non era più la stessa presa all'andata, per cui  venivo meno ogni possibilità di recuperare la visita in Mahua del tempio Chamunda,  sorprendevo tra i campi una vecchia che si distendeva fra l'erba dispiegandovi  il sari con volto felice/rapita in estasi, e non mi attentavo a chiedergli di ritornare sui suoi passi.. ma avevo beninteso con chi avessi a che fare, perché quando fermava la motocicletta lungo la strada per fermarsi a orinare, si ostinava a non volerne sapere di riprendere il viaggio per una Renod oramai vicina, se non lo avessi pagato anticipatamente. Non chiedevo soccorso per telefono a Kailash, talmente si era mostrato inaffettivo nei miei riguardi, né lasciavo che rientrasse da solo in Renod impuntandomi di non risalire in sella, per riguardo al farmacista, come avevo in animo, mi zittivo a pagare solo il convenuto, invece dell importo superiore che ero già disposto a concedergli .
mentre in Shivpuri al rientro mi sorbivo una seconda birra, mi deliziavo di alcuni succhi di guava, non avvertivo ancora come l'accaduto mi stesse lavorando dentro, nulla mi lasciava ancora presagire la deflagrazione  in cui mi sarebbe esplosa la mente quella notte e la mattina seguente per la mortificazione patita .
Intercalavo  la visita a  Surawaya e ai chattri Scindia, ad un ritorno a Renod per recuperare la visita del tempio di Chamunda in Mahua ed in Kadwaha dei gruppi templari ai quali non mi ero recato.
L'afflizione remissiva mi stava ancora talmente prostrando nella fortezza di Suravaya, che una volta  ricevuto il sollecito a ritirare il mio zaino dallo stesso guardiano che all entrata mi aveva aiutato, con carta ed acqua, a disbrigare un bisogno che non ammetteva più dilazioni, e che per questo soccorso non aveva voluto ricevere compenso, consigliandomi di lasciare quei soldi al compagno che accudiva il parco interno, non me la sono più sentita di ritornare sui miei passi, perchè il complesso rimanesse aperto ai visitatori, per accertare , in particolare, se fosse davvero inaccessibile il tempietto più antico sopraelevato sul monastero.
Concludeva mirabilmente la mestizia del giorno la visita dei chattri Scindia. Tutto, nel complesso hinduista, era ispirato all'arte ornamentale islamica,  che ammantavano la conservazione , in proporzioni inusitate, della successione di portico d'ingresso, mandapa, antarala, garbagriha del tempio hindu, sotto un shikkara volto a bulbo in soggezione all estetica predominante. Ma l anima hindu emergeva invitta sotto le spoglie islamiche, quando sul far della sera nel padiglione al centro del bacino lacustre e nei templi ai lati si accendevano le luci e si aprivano i portali per la darshan degli dei,  tra i quali un  Rama  cui all'esterno era volto in devozione assoluta un piccolo Hanuman.
Il giorno seguente in Ranod era il medico, un bengalese, in luogo del farmacista, che mi approntava con la sua moto il giovane del mio primo itinerario in Terahi e Mahua,
Una volta omaggiato della mia visita il capovillaggio che abitava nella casa di sopra,  con il più fidato e assecondante dei conducenti potevo così recuperare nel più luminoso dei giorni quanto in Mahua e Kadwaha non avevo potuto o non avevo avuto la forza di imporre di condurmi a  vedere al  motociclista.
Visitato così una buona volta il tempio di  Chamunda la foratura di una gomma ci arrestava nel villaggio di Mahua, Un ragazzo tentava una prima volta la stessa ricucitura del buco, ne rimediava il guasto ulteriore e ne perfezionava l opera un secondo sopraggiunto.
Ciononostante mi era possibile in Kadwaha, benchè le numerazioni dei templi privilegiati  di k deva cui mi rifacevo non corrispondesse alle classificazione dei gruppi dei templi in vigore presso i loro custodi,  potevo visitare i templi Garhi, il  2 di Krishna Deva, il gruppo 7, il tempio Chandla, il gruppo bag. All'appello finale di un riscontro quando ero già rientrato in Khajuraho , sarebbero mancati solo i templi Ekla,  Margathia e del gruppo Kirna.
Ero così appagato dalla condotta conforme ai miei intenti del giovane conducente, che ad ogni sosta ulteriore, ad ogni suo spontaneo arresto per assecondare la mia voglia di fotografare la bellezza di alberi chiomati e profili di vastità di campi e pietraie  cresceva la voglia di appagarlo sempre di più . ne mi veniva in mente di richiamarlo alle consegne iniziali, quando invece di fare ritorno immediatamente a Renod, data l ora già tarda a preso a spaziare per i campi di villaggio in villaggio, per condurmi dove potessi prendere l autobus per Shivpuri. il  trascorre in motocicletta si faceva intanto interminabile, mentre la sera veniva calando e volgeva precipitosamente in notte, sotto un cielo in cui brillavano miriadi stelle sulla campagna indiana sconfinata, sui villaggi tra le cui rare luci e e cui soglie trascorrevamo, sui ponti e i rivi che traversavamo, le infinite piante che si profilavano cupe in giungle addensantesi o dispiegavano i rami  solitarie,  nell'ampiezza dei coltivi  sullo sfondo di immensi tralicci,  sui manti stradali lisci,  sconnessi, polverulenti di lavoro in corso o ricostituentisi dopo buche e scarpate, in cui mi immetteva l una dopo l'altra, nella mia estasi  vertiginosa, che si esaltava dell'infinita bellezza della notte stellata nel cui grembo sterminato trascorrevamo, finché dopo un'inutile sosta in P, non ci ritrovavamo proprio a Derda, al termine di una corsa di ore e ore.
" Perchè mai lo verrà facendo.durante la sosta in quel villaggio chiedevo al cellulare ad un Kailash  per niente estatico, sono ore e ore che mi viene conducendo"
"Li sa lui i suoi motivi".
Li avrei intesi forse  al arrivo in Dedra, quando dopo avergli  dato di mia iniziativa in *, quattro volte la somma pattuita all'inizio,  talmente quel viaggio in motocicletta mi aveva appagato e fatto turbinare i sensi e la mente,  e con mia succube condiscendenza mi spillava altre 500 rupie direttamente dal portafoglio che gli porgevo,  per il tratto di strada ulteriore che ci aveva condotti sino a Derda, lungo la strada che proveniva da Ashoknagar.
Avrebbe potuto differentemente che così,  ottenere e propiziarsi una cifra  che era il quintuplo di quanto mi aveva estorto il giovane conducente protervo del giorno avanti? Capivo, ora, come in spirito di grata amicizia, mi  fossi a lui consegnato, di primo pelo,  come  si consegna al proprio lapka l accalappiato di turno?



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