In Orchha, Barwa Sagar, nel
distretto di Shivpuri
2 Il tempio Jarai Math di Barwa
Sagar
Il secondo giorno mi trasferivo già di primo mattino da Jhansi in Orchha, presso il Gampati hotel che avevo visionato con Kailash già anni addietro. A ricevermi c’era la figlia dell’albergatore, che a conferma dell’accoglienza domestica che l'hotel vantava di assicurare, mi accordava anche l’uso del computer nella sua stanza, il che, grazie al sito puratattva.in, mi dava modo di ragguagliare per il tramite di internet le mie informazioni librarie,- non quanto, però, il sito mi avrebbe consentito e mi sarebbe occorso in Kadwaha i giorni seguenti.
Per duecento rupie, in luogo delle
trecento richiestemi
qualora avessi inteso recarmi fino a Barwa Sagar ed
esserne di ritorno, al parcheggio in Orchha degli autorisckshaw pattuivo
una sola corsa di andata fino al tempio Jarai Math,
volendo io evitare che mi si stesse ad attendere per un tempo che
avrebbe trasceso le supposizioni di ogni aspettativa. Di li a mezzora
, in un giorno incerto di marzo, potevo così già ritrovarmi di fronte alla meravigliosa
vista del tempio,
su di un'altura oltre una cinta
muraria che raccoglieva i resti anche di due piccoli santuari adiacenti,dove emergendo da una nebbia fittissima, tre mesi avanti
non avevo potuto trattenermi che una decina di minuti in compagnia del caro
mister Dipak, che non era parso
particolarmente interessato al complesso.
Anche allora
c'era venuto appresso il guardiano e custode, che sembrava ora riconoscermi ed
illuminarsi nuovamente alla vista, come quando gli avevo fatto allora cenno
che era per ragioni da me indipendenti che non potevo prolungare oltre la sosta
con il mio ospite.
La grandiosità della
magnificenza frontale del tempio cui tornavo al cospetto,
era un
effetto fors’anche
di quanto ne era stata una rovina, con la perdita del portico d’accesso che
aveva lasciato in vista l’ornamentazione che era adombrata al suo interno
insieme con quella che lo trascendeva all’esterno, in un continuum
splendido, outdoor, fino alle volute a suggello dell’antefissa del sukanasa,
contro il superstite fondale reticolato di gavakshas del sikhara,
che ne riprendevano la trama del sacrale ordito continuo. Delle loro carenature
ritrovavo arcuati gli udgamas delle
nicchie che si stagliavano sul vedibhanda,
delle coronature dei
tempietti delle proiezioni centrali di ogni parete,
dei pratirathas laterali
che le fiancheggiavano a guisa di pilastri , delle nicchie dilungate
a templi da tali loro sovrastrutture nei recessi e nelle proiezioni d’angolo dei karnas e
del vestibolo dell'antarala,
dove gli udgamas si
dilatavano, e si duplicavano, nel loro slancio ascendente verso il loro
reticolato superiore di cui era luminescente la parte superstite del sikhara
originario.
Da uno scatto fotografico
all'altro testi
alla mano-, iniziavo a ripercorrere il tempio in ogni suo dettaglio, al
contempo che il suo arcano sublime mi si riprospettava meravigliosamente
intatto. Anomalie, e precorrimenti, lo impreziosivano senza smagliarne l'
esemplarità canonica. l'attinenza ai paradigmi dei templi Pratihara nella
sua onnipervasività si manifestava il criterio d'ordine di una profusione
eccelsa , il cui ordito mi riformulava al contempo l'enigma o mistero della cripticità fascinante
del tempio, cifrato dal rebus della sua divinità di culto.
Epitome macroscopica dei templi
Pratihara, incredibilmente sfuggita/o al cribro del vaglio del maggiore
Cunningham, immane come il Teli-ka-mandir di Gwalior quanto egualmente
riconducibile al solo apparato architettonico del santuario e dell'antarala
del vestibolo, sempre che non li precedesse un portico d'entrata, il Jarai
Math osservava dei templi Pratihara l'assetto di rito pancharatha, che
contempla cinque proiezioni laterali, il badhra centrale, i
pratiratha che vi ricorrono a
guisa di pilastro nelle antiche fogge gupta, i ratha-karna d'angolo con i
dikpalas tutelari, riassunte dalle rathas* corrispondenti del
sikhara, nel cielo
riassorbente dell' unità divina originaria.
Certo, ero già a conoscenza che il tempio avrebbe accusato un'irregolarità sostanziale espressa nella parete di fondo, che presentava la spina bifida di due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello numero 20 della valle di Nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto che in esso, parimenti, era riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha malas di festoni di campane, e dell'hamsa mithuna voleggiante sopra le divinità fluviali del portale-, dei templi Pratihara il Jarai Math riassumeva tutta l'ornamentazione di rito, in una preziosità d'intaglio a dir poco ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle modanature del tempio hindu, così come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine, nei magnifici adisthanas che insieme con i templi che su di essi vi si sopraeleveranno, assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella.
Certo, ero già a conoscenza che il tempio avrebbe accusato un'irregolarità sostanziale espressa nella parete di fondo, che presentava la spina bifida di due badhras centrali in ragione della sua dimensione più dilungata. ma si trattava di un'infrazione già registrabile e convenuta in altri tempi e tempietti Pratihara, a iniziare da quello numero 20 della valle di Nareshar, cui era stata conferita parimenti una dimensione oblunga, in ragione del culto che in esso, parimenti, era riservato alla Dea ed al consesso della sua pluralità d'aspetti. Al tempo stesso, con l'eccezion fatta del motivo delle gantha malas di festoni di campane, e dell'hamsa mithuna voleggiante sopra le divinità fluviali del portale-, dei templi Pratihara il Jarai Math riassumeva tutta l'ornamentazione di rito, in una preziosità d'intaglio a dir poco ammaliante, precorrendo nel basamento gli arricchimenti futuri delle modanature del tempio hindu, così come si standardizzeranno , anche nel senso seriale o deteriore del termine, nei magnifici adisthanas che insieme con i templi che su di essi vi si sopraeleveranno, assurgeranno Khajuraho a capitale religiosa dei Chandella.
Era dal portale che iniziava la mia ricognizione
ulteriore, nei minuti
dettagli, a iniziare dalla sua soglia , un'udumbara che ai lati del
nerboruto rigoglio vegetativo di fusti di loto della mandaraka centrale,
esibiva le coppie simmetriche, di un leone e di un elefante sul cui dorso il
felino stava bellamente accovacciato, le gaja-simhas,di due kinnaras che
sembravano suggere i boccioli di un'arborescenza su cui erano in penitenza
dei rishi emaciati, di due vasi dell'abbondanza tondeggianti, in una cui fascia
era inciso un kirtimukka.
Tali vasi erano retti da nagas con il loro cappuccio di cobra.
Mi volgevo quindi alle serventi, scolpite negli esordi del portale,
di due dee esternalizzate rispetto alle dee fluviali Ganga e Yamuna, in
flessuosa tribhanga*, che figuravano defilate in prossimità dell'accesso
purificatorio, al di sotto di altri rishis* penitenziali. Le dee Ganga e Yamuna
, l'una alla destra l 'altra alla sinistra di chi accedesse al tempio,
così cedevano insolitamente il primo piano al guardiano dvarapala*,
canopizzato
da un torana ch'era sormontato a sua volta da un udgama e dal
tilaka di un tempietto miniaturizzato, replicati entrambi nelle protomi ai lati.
Le attendenti, benché minute e sforzosamente
intente al compito di chattra-darini*, o reggitrici del
parasole regale delle due divinità, meritavano ogni attenzione del caso
perchè recavano delle borse di approvvigionamento della propria dea, nel quale
apporto offerente si è
rinvenuto un indizio già di per sé probante che il tempio fosse
luogo di culti tantrici alla Sakti dell'energia femminile del Divino*.
Di lato alle dee, che si vuole
che altro non siano che una riproposizione di Ganga e Yamuna, una pianta di loto
rampicante si schiudeva in tre boccioli, in uno dei cui serti, sul versante
alla sinistra dell'osserrvante, trovavano ricetto un discente e quattro discepoli,
mentre nell'altro si sfrenavano musici e danzerini*. In
tale accolita sarebbero/erano ravvisabili le sembianze di Lakulisha e dei suoi allievi Kusika, Mitra, Garga e Kaurushya, per la similarita del gruppo con altre sue
ricorrenze in posizione
consimile, nel portale del tempio della Maladevi in Gyaraspur, o nel Teli ka Mandir , in Gwalior,
nelle quali è ben individuabile il danda di un bastone alle spalle del
soggetto centrale, che lo identifica
inequivocabilmente con Lakulisha. Figurando Lakulisha come il
fondatore o riformatore leggendario del culto di Shiva della setta Pashupata, se non anche
quale il ventottesimo ed
ultimo avatar del dio, se ne è prontamente desunta una affiliazione shivaita
del culto della Devi del tempio Jarai Math; ma senza il concorso di attestazioni ulteriori,
come ritenerlo il culto in esso
imperante, alla luce soltanto di tale indizio?
per me non poteva certo dirsi il culto in esso
imperante. per me ne
restava ancora soltanto un indizio, per quanto significativo. una preziosa debole traccia dello
shivaismo di una devozione tantrica alla Devi praticata nel tempio, nulla
escludeva che il gruppuscolo scultoreo vi ricorresse
solo per un' estemporaneità dovuta alle maestranze, a
seguito di una loro mera ripresa imitativa.
I sakas delle
fasce laterali del portale ostentavano, alquanto consuetudinariamente, una prima banda interna di volute rampicanti,
o patra-sakha, ed
una seconda di fiori mandara, mentre inusuale era la terza,
in cui entro delle nicchie
sorrette da pilastrini una figura femminile era
intenta a soccorrere una maschile Semplici mendicanti confortati da
inservienti? O n on si trattava forse di scene della Bhikshatana murti
di Shiva,
si è arguito, in cui il dio errando mendico per il mondo, con il bastone
kankala sulle spalle ed una coppa costituita dal cranio della quinta testa
di Brahma da lui recisa, è intento a ricevere del cibo dalla dea Parvati,
come vorrebbe R. D. Trivedi?
Ad un saka di ganas, o
pramatha-sakha, faceva seguito la banda- pilastro di uno stamba
saka quanto mai variegato, ad un primo riquadro intagliato con
volute,vi subentravano infatti prima una fascia poligonale con
figure di divinità e di esseri celestiali, poi l'immagine incorniciata di un
kirtimukka, in seguito la raffigurazione di una coppia di amanti
che giacevano l uno all'inverso dell'altro,
in un ricettacolo perlinato circolare, quindi un quintetto scultoreo di musici e di danzatori, non che un vaso opulento*
dell'abbondanza, o ghata pallava, che era sovrastato a
sua volta da un ulteriore kirtimukka e da
un fregio poligonale tra lamine fogliari. Il loro seguito ornamentale
precedeva un tripice capitello bharani con triplice scannellatura. che su di un
piedistallo con incise foglie di loto nel verso inferiore, tra due pilastri
laterali guarniti di fronde vegetali, reggeva la nicchia del piccolo
santuario di un dio, un micro-tempio a tutti gli effetti, tant'è* che la sovrastava,
miniaturizzata, una varandika consistente di di due
kapotikas che includevano un corso di
testate di tulas, proprio come nei templi Pratihara è di
prammatica, ed un sikhara tri-ratha coronato di
amalaka, kalasa e vijapuraka.
Un ulteriore pramatha-saka
di
ganas faceva quindi da pendant al precedente, come poneva in risalto lo
stesso stacco del recesso tramato da una jalaka, rispetto alle due bande
successive di coppie erotiche, o mithunas , e del bahya saka terminale, retto da un
kumara soggiacente, in cui fluttuavano o posavano in volo
meravigliose coppie celestiali, recanti ghirlande e strumenti musicali.
Apparivano così incorniciate le
due prime trabeazioni del portale, l' una, conclusa da Brahma e da Shiva, che allineava bellamente in comoda posizione lalitasana
tutte quante le
divinità planetarie e le saptamatrikas, l altra che in nicchie coronate da
udgamas recava una successione di divinità femminili, inframmezzate da
danzatori e musicanti nei recessi. Al centro del duplice ordinamento, in una
ratika che
lo comprendeva in altezza, si proiettava la figura
sovradominante della dea
unificante il consesso. In lalitasana, su di un fiore di loto a fungerle da
piedistallo, era alta il doppio che le altre dee, ed anche solo per questa
sua magnitudine sovrimponentesi, come non ritenerla la
divinità principale del tempio, una Devi che disvelandosi nella sua
cavalcatura , o nei suoi attributi, avrebbe risolto l enigma della sua
destinataria, per dipanare il quale, però, mi era già noto che non avrei
potuto confidare nella statua all interno del garbagriha, essendone rimasto
poco più che il piede destro. non fosse- per colmo di iattura*- che tale immagine al centro della
trabeazione non può più rivelarci se non che
di una dea senz'altro si trattava, quale intestataria del tempio, nel contesto solidale delle immagini di
divinità femminili Sakta che le proliferavano intorno, che la sovrastavano,
che la attorniavano lungo le pareti del tempio, talmente il sembiante della
Dea è stato sfregiato e
mutilato, degli attributi delle sedici braccia essendo identificabili solo
un vajra* ed un kamandalu*, nelle sue braccia inferiori di destra, e la spada
di una kadgha.
Che campeggiasse in luogo di
Shiva, ridimensionato alla sua destra alla stregua di Brahma, sul termine
opposto, depotenziava ulteriormente la supposizione di una affiliazione univocamente shivaita del culto della Sakti del tempio, che già le immagini di Lakulisha e
dei suoi accoliti, o di scene della Bhikshatana murti sembravano
concordemente accreditare, per cedere il passo all'incedere dell ipotesi che
invece si trattasse di una divinità femminile della costellazione vishnuita, ponendosi ella tra Shiva e Brahma ai suoi lati.
Quanto alla schermaglia che
poteva originare l' identificazione delle divinità femminili della seconda
trabeazione,
ognuna nel suo tempiolino con l intermezzo di ganas intenti alle
danze o a far risonare strumenti musicali, non c'era sorta di dubbio che la
prima alla mia sinistra fosse Gaya Laksmi, per gli elefanti che l
irroravano*, mentre la seconda se non era una matrika era Ambika, reggendo un
fanciullo e un cespo di mango, Maheswari risultava essere la terza, sempre che bastasse a
identificarla il veicolo animale di Nandi, Saraswati la quarta, inconfondibile per la
sua vina trasversale, Vaishnavi, o piuttosto Chakreswari, la
successiva, in virtù dei chakras
che reggeva con le braccia superiori, esattamente in corrispondenza,
sul versante opposto antecedente, con
un'altra divinità hindu trasvolata nell universo jain, ossia Ambika, secondo
quant'è da presumersi, buon
ultima un'altra dea o matrika, ancora non meglio identificata, o identificabile.
In tutto il
suo splendore scultoreo si dispiegava quindi una lastra di rilievi concernenti la Trinità brahmanica, con al centro Vishnu sovrastante Garuda.
Lo affiancavano i purushas
delle
personificazioni dei poteri di due dei suoi ayudhas, sorvolati
da dei vidyadharas all' altezza del capo del dio.
La collocazione di Vishnu al
centro del pannello ed esattamente al di sopra della indecifrata divinità
femminile a sedici braccia, non era forse una conferma ulteriore che il tempio
fosse ispirato da un'affiliazione tantrica vishnuita al culto della Devi,
come già il tempio Maladevi di Gyaraspur, ed in seguito quello Parshvanatha jain di Khajuraho, che al centro della sua trabeazione
del portale d'ingresso reca la immagine di
Chakreswari- Vaishnavi ? Il Jarai math mi si veniva così sempre
più configurando come un tempio in cui il vishnuismo doveva coesistere sincreticamente con la versione shivaita del culto della dea, che ugualmente
vi era manifestato, e ripreso, ma in posizione sottostante, o defilata lmarginalmente,
comunque gerarchicamente subordinata.
A riprova delle mie
supposizioni affiancavano Vishnu il dio
Brahma alla sua destra, ed alla sua sinistra Shiva, entrambi in confortevole
posizione lalitasana e con inscalfito il rispettivo veicolo animale, l
'hamsa e Nandi.
Le figure scultoree ulteriori
rappresentavano una divinità con katvanga e la ciotola dei poveri, o
kapala, che sembrava
ricevere sostentamento da una dea, per il tramite un cucchiaio, sul quale, nel gruppo
alla mia destra di osservante, stava un minuscolo uccellino, al pari di uno consimile sulla mano
destra del dio. Il contesto trimurtico di tali raffigurazioni avvalorava l ipotesi
di Trivedi che rappresentassero scene della Bhikshatana murti , in cui a
Shiva mendicante recavano il conforto del cibo Parvati sulla mia sinistra,
e ancora Parvati o Annapurna sulla mia destra . Date le isoformità*
stilistiche tali immagini facevano ascendere alla loro stessa significazione
quelle analoghe del rupa-saka del portale, elevandole oltre la loro riconduzione
a semplici rappresentazioni di mendicanti ed inservienti.
Come non bastassero le riprove
così raccolte di una predominanza vishnuita nel culto tantrico della
Dea che si praticava nel tempio, al di sopra di Vishnu- Garuda ecco stagliarsi le immagini gemine
di Varahi, sul trono di loto che reggevano due vidyadharas, senza che fosse
per loro d'impaccio reggere al contempo una frondosa ghirlanda, tale
coronamento stagliandosi entro il più bello
dei serial scultorei della facciata, per come plasticamente caratterizzava
le sue figure divine, la sequela in sciolta lalitasana dei dikpalas
del tempio. Di tutti quanti si erano preservati i veicoli animali, volti
alla gemina Varahi come verso la meta ed origine del culto del tempio ,
ciascheduno recando il proprio dikpala posto di traverso, perchè ci
apparisse in posizione frontale, sulla propria cavalcatura differentemente a suo
agio ed atteggiato in differenti mudra.
Già a più di un osservatore è parso fin troppo stupefacente che
nel consesso dei dikpalas Nirriti sedesse su di un maiale , per poter
concedere che sempre un suino, a quanto poteva parere a prima vista, fosse il vahana di Vayus, involto dalla propria
ventosità nel sollevarsi del suo manto; ed infatti è un capriolo, o mrighi,
l'animale su cui Vayus è accomodato. Che poi in tale
sequenza i dikpalas siano dotati come i comuni
mortali di soli due arti superiori è parso un'indizio sufficiente della natura remota
del tempio, più che bastante a ricondurlo ai primi tempi dell'arte Pratihara, ma
mi bastava* anche solo risfogliare il volume appresso di R. D.Trivedi,
Temples of the Pratihara Period in central per accertare, ad una ricognizione
più ampia, quanto fosse diffusa nel tempo, in Keldar come in Gyaraspur, l'inibita proliferazione di braccia.
dei guardiani del tempio.
E tutte le consomiglianze che vi avrei ritrovato con
altri templi Pratihara, al seguito delle indicazioni puntuali di
Trivedi e della mia memoria visiva delle loro ricorrenze, mi avrebbero
indotto a condividerne la datazione tarda, che lo fa risalire al x secolo
dopo Cristo.
Ed ancora più in su, oltre una serie di nicchie
con udgamas in cui danzavano ganas, alternate con altre invece vuote, il sukanasa,
alfine, in un triplice ordine fastoso di finestre- chaitya /di gavakshas e
di volute, in cui altre immagini di divinità femminili celebravano la
pluralità di manifestazioni della Dea, quasi ad esaltarne la trascendenza
rispetto ad ogni sua assunzione di forme, mediante l' ostentazione
stessa della loro profusione,
una al centro del secondo livello dotata di khadga, o spada, al di sotto di
un oculo floreale meraviglioso, mentre le sottostavano lateralmente, nelle
loro nicchie templari fregiate di sardulas, le rappresentazioni di Varahi e
di Mahishasuramardini.
********
Attenendomi quindi alla deambulazione
della pradakshina, il fianco meridionale del Jarasi math mi si prospettava
in tutto il fulgore del suo adempimento dei paradigmi del
tempio Pratihara, che pur vi erano sopravanzati nell'incremento di
profilature del basamento dell'adisthana-
Sullo zoccolo del bitha- costituito di una modanatura piatta, di un jadya kumbha
e di un
presentimento di karnika- non risaltavano in successione immediata,
come negli altri templi Pratihara, le modanature usuali della
vedibhanda,- kura, kumba e kalasa, sormontate da un kapota-,
perchè vi erano interposte le profilature duplicative e
duplicate di un plinto - in cui a un primo kura, e ad un primo kumba,
subentravano le
raffinatezze di un grasa pattika di kirtimukkas, fregiata di ardaratnas
soggiacenti e dall inflessione superiore, rifluentevi, della curvatura di un jadhya kumba ornato
di petali di loto. Mediante tale sopraelevazione il Jarai Math così prefigurava la scansione ternaria del basamento
dell'adisthana
in bittha, pitha, vedibhanda,- o altrimenti in zoccolo, plinto e podio, che contraddistinguerà
gli ulteriori templi medioevali, in particolare quelli di Khajuraho.
Tale rialzo del podio non
appariva un mero sfoggio di sovreleganza nelle profilature del
tempio, esaltava
la germinazione nella vedibhanda delle forme che avrebbe assunto la loro
piena espansione ascensionale nelle proiezioni verticalmente corrispondenti
del jangha e del sikhara.
In esse su kura, kumba e
kalasha della vedibhanda successiva, si elevavano fino al kapota superiore nicchie templari con un
frontoncino di udgama , in cui la divinità campeggiava tra due pilastri
ch'erano fregiati di volute fogliari, fiancheggiati a loro volta da simha
sardulas, al loro stagliarsi nel badhra centrale, in corrispondenza di
fieri intenti con i leoni rampanti associati lalle
nicchie sottostanti dell'antefissa. Un kapotika, fregiato di takarikas, era
la trabeazione tutelare delle divinità .
Per surplus di grazia, come in
altri templi Pratihara, all'altezza delle proiezioni mediane delle
pratiratha e di quelle del vestibolo dell antarala, alle modanature del
kalasa si sostituivano delle testate di tulas recanti immagini di mithunas, di
musici e ganas intenti alle danze. Tali teste preludevano alla serie di tulas che
compariva nella varandika tra due kapotas, a ulteriore ripresa di
una ricorrenza dagli esiti incantevoli dei templi Pratihara.
Ero così risalito al fulgore del
vibrato luministico delle carenature di archi chaitya che rivestivano l'antarala e le
proiezioni e i recessi medesimi della parete del jhanga, i loro
dilungamenti verticalizzati sopraelevandosi in ogni sporgenza o rientranza, nell'antarala
del vestibolo, su altrettante edicole sottostanti quali loro sovrastruzioni, così assurgendo
tali edicole alle vestigia di templi
nel tempio. Tale fulgore luminescente era ripreso, e
intensificato ancor più, da quello dei rathas corrispettivi del sikhara,
lo esaltava ed avvivava lo stacco stesso, tra il vestibolo e la jangha del
santuario, dei reticolati brillanti di jalikas, che si ripetevano su, su, lungo i bordi
laterali dell antefissa.
Ma nel badhra centrale, per la
perdita in gran parte di tale rivestimento, la sua prominenza aggettante
conferiva un risalto ancora maggiore al tempietto in miniatura di cui
l'ordito dei gavakshas costituiva un tempo, più che il frontone, una guisa di sikarika, oltre la gronda così rimarcata della khura chaddya.
Infatti lo caratterizzava, della conformazione di un sikhara, l'alternanza di amalaka
scanellate e di
kapotika dei karna-rathas angolari, rispetto a una madhya lata centrale. Di
tale proiezione mediana era
il sostegno originario un tempietto che dava ricettacolo a una scarnita Chamunda, tra i fantasmi di pretas scatenati.
La dea dalle ottuplici
braccia vi era accampata in lalitasana sopra un malcapitato supino, e dei suoi
attributi si erano conservati integri la coppa kapala e un trisula
Mirabile fino all
intenerimento, del santuarietto soggiacente, o devakosta, era la miniaturizzazione
in ogni suo particolare di
un intero tempio, tramite la riproduzione di un portico in un portichetto,
quale deliziosa attuativa di
come il tempio hindu abbia a racchiudere a iosa la propria replicazione frattale,
ain diversi ordini e gradi, quanto il divino che è l uno a misura di
tutte le cose nell' ordine cosmico.
Sulla sintesi metonimica dell'adishtana
del tempio, risolta in una coppia di tulas fregiate di parna- bandha
fogliari, con pendenti o lumas sottostanti, e di un grasapattika il cui
viluppo vegetale scaturiva meravigliosamente da un kirtimukka, costituivano
il portico del devakosta due pilastri anteriori per giunta pluriformi, o misraka, con
tanto di kumbika, di suggellatura di due vasi dell'abbondanza terminali, o
gatha pallava, tra i cui estremi dalle fauci di un kirtimukka non
mancava nemmeno di calare il cordone di una campana su una
sfaccettatura poliedrica, discendendovi dalla profilatura
cuboide di una madhya bandha, sotto la duplice scannellatura della padma e dell amalaka di un
capitello barani.
Nè all'interno del portichetto,
il portale d'accesso alla celletta di un santuario era sprovvisto dei
suoi costituenti canonici, con altrettanto di Ganga e Yamuna e di attendenti,
con un suo saka agli stipiti ed una propria divinità al centro della lalata bimba,
un Kubera, in comoda lalitasana, mentre il fregio della schiusa
di un fiore di loto occupava il soffitto, al pari del saka
contornandolo
una banda di petali di loto.
Ai lati della badhra,
conferivano solennità monumentale all'alzato del tempio le due pratiratha
nelle forme di alti pilastri,
dopo
l'intervallo di un recesso i cui udgamas templificavano la cui ugdamificzione templificava una nicchia che
albergava una surasurandari sotto una kapotika e tra due colonnine.
Da
edicole templari simili a quelle dei recessi, nei badhra, a guisa di loro
sovrastruzioni ,si sopraelevavano i reticolati dei gavakshas di udgamas,
fino ad una testata incentrata in un kirtimukka, tra le sue defluenze
evolventisi, coronata/ suggellata* dall'opulenza vegetale ricadente di un
vaso dell'abbondanza, o gatha pallava o purna-kimbha che dir si
voglia.
Un capitello barani con un
abaco istoriato di foglie, portava a termine la sontuosità delle
pratiratha-pilastriformi.
Un altro recesso simile al
precedente, ed era la volta del karna-ratha, che ospitava dikpalas in nicchie
simili in tutto a quella inferiore del badhra, al di sotto del raddoppio
dell'udgama in due dilungamenti acuiti
al vertice, che elevava le edicole a santuari di un tempio, -evocando o
prefigurando la proliferazione posteriore di mulamanjari e uromanjari ,
detto altrimenti la
replica del sikhara principale in una sua miniatura addossata al suo petto
nella sua ratha centrale.
La grata di una Jalika
rilevava lo stacco strutturale della rientranza dell'antarala, che
faceva da supporto alla dilatazione di un' ulteriore duplicazione dell'udgama, ugualmente
appuntita nelle sue due sommità, al di sopra di un santuarietto a guisa di ratika, con una gronda
estesa a due ali
rientranti volte ad ospitare due statue sussidiarie , situate una per lato a fianco delle
colonnine tra le quali era compreso il gruppo statuario centrale, e di una kapota sovrastante
il tempietto, anch'essa ampliata secondo la stessa profilatura,
Il Jangha dello stessa antarala,
come quella del prasada del santuario, era conclusa dal fregio di una pushpa mala di fiori ,
a raccordo unitario di entrambi i fronti.
Quindi si sopraelevava il varandika
nella sua scansione iniziale già rilevata, di kapotas inframmezzate da tulas.
Lo portavano a compimento un'antarapatta che nella sua scacchiera riprendeva l
alternanza di fondo, dell'arredo templare, tra sole carenature e jalaka, una
pattika fregiata di ardaratna triangolari e di kapotika, alfine i rathas o
latas del sikhara. Li gremiva la lumineggiatura dell'ordito di gavakhas, in
quelli che portavano a termine lo slancio ascensionale di badhras e
pratirarathas Era un' intermittenza che si faceva più rada nei karna-
rathas sovrastanti, poichè le carenature degli archi chaityas vi erano inframmezzate con amalakas e
kapotikas, al termine di una direttrice di marcia ascendente tracciata
da un udgama appuntito sovrappposto al varandika,
non che da un tempietto di raccordo superiore, con
il suo frontoncino immancabilmente anch'esso carenato.
Il fianco meridionale dell'antarala
ospitava Narashima nella nicchia superiore, intento al contempo in cui
eviscerava Hiranyakashipu, a scaraventare, calpestare, sollevare demoni per
la capigliatura. Oltre i pilastri lo affiancavano alla sua destra un
presumibile Gada purusha, insolitamente di sesso maschile, e un
Shankapurusha alla sua sinistra. Nella nicchia del vedibhanda una dea madre
sembrava intenta a sollevare la figura di un essere di minute dimensioni, al'apparenza
un figlio che consolasse.
Coppie statuarie consimili,
oltre i dikpalas Agni ed Indra del Karna, ricorrevano in ambo i recessi ai
lati di ambo i pratiratha.
In uno di tali gruppi un altro essere
minuscolo sembrava offrire a una dea ciò che conteneva un cesto che
reggeva con ambo le mani. Che si trattasse di immagini ulteriori della
Bikhshatana murti di Shiva? Nell'edicola delle pratiratha faceva bella
vista di sè una surasundari, come altre comparivano nella nicchia
sottostante* ed in quella del kharna che ad essa era allineata lungo il vedibhanda.
Il badhra centrale presentava una concentrazione di
terrificanti immagini della Devi, lungo le pareti della sua proiezione del vedibhanda, quale Durga e Chamunda
ai lati di sud est e di sud ovest, nelle parvenze frontali che ne offriva,
in cui era intenta a sorseggiare sangue da una coppa.
Il karna-ratha poi di svolta verso la parete ovest mi avrebbe
accomiatato da quella
meridionale con le immagini dei dikpalas Nirriti e Yama, di cui era
invertito l ordine abituale di successione-
Nella parete ovest faceva
quindi la
sua triste comparsa la duplicazione del badhra e delle sue edicole, che
aveva provocato l inserto non meno funesto di due latas del sikhara,
divergenti nel loro assecondamento, per farne, con quelle sovrapposte alle pratiratha, le balapanjaras, o lata complementari, di fiancheggiamento dei due
madhya latas elevati sul raddoppiamento dei badhra . Il resto, come nella
parete nord, secondo il copione meravigliosamente esibito dalla parete sud.
Il repertorio statuario della
parete occidentale visualizzava* nelle nicchie centrali dei due badhras Kartikkeya
che alimentava il proprio pavone ed Harihara, Vishnu-Shiva, mentre tra i due rathas
interni campeggiava interposta, una bella immagine di Surya, assistito
puntualmente da Danda e Pingala. Lo affiancava alla sua destra uno Shiva
tricefalo, che avrei ritrovato nella nicchia retrostante del tempio
Jagadamba in Khajuraho ***. Al di sopra di una raffigurazione feroce di Bahirava con
kapala e khatvanga, quella di Varuna era di lascito verso la parete nord,
ove Vayus gli faceva seguito.
Le nicchie del badhra vi
ospitavano a nord ovest Kubera, al centro Shiva e Parvati, con Brahma
pronubo, un'implacabile Mahisasuramardini sul lato nord est, risolutissima
quale in poche altre sue rappresentazioni, a dare il colpo di grazia del
fendente di una sua spada al demone estratto dal bufaklo Mahisha.
Nel ratika del pratiratha Shiva
Ardanarishvara, prima delle divinità vediche di rito Kubera e Isana,
quali dikpalas, nelle edicole del karna-ratha..
Nell'antarala, all'immagine
superiore di Narashima sul versante opposto meridionale, faceva da pendant quella
sovrastante di Laksmi- Narayana, a suggellare nella elegante bellezza dei
dilungamenti sinuosi delle sue figure divine, la predominanza della
costellazione vishnuita nell'affiliazione alla trimurti del culto templare tantrico
alla Devi, secondo un'attestazione che già campeggiava al centro dei
rilievi oltre il portale centrale, .
A conferma del suo shivaismo
come una subordinata di culto, sottostava Parvati in Panchagnitapa.
L'ingresso nel vestibolo e nel garbagriha mi riservava
la trasposizione interna della sontuosità inesausta del tempio,
nell'ornamentazione dei mirabili pilastri. Una kumbika come loro basamento,
e arieggiando gli stamba saka del portale d'accesso e dei
devakosta, quindi il vaso da cui tracima il fogliame di un gatha
pallava, il fusto di una badra-saka prominente, esuberante di volute
vegetali, una pattika recante inciso un kirtimukka, un collare ottagonale,
il rigoglio di un gatha-pallava, ancora, due fasce di rilievi fogliari
e alfine il capitello barhani, concluso da mensole con volute fregiate
da kirtimukka. . Contraddistinguevano i due pilastri dell antarala una
dvarapala in una nicchia, il seguito verticale di cinque mithunas,
fiancheggiati da tre vivide coppie di gaja-sardulas con i loro disarcionati
condottieri.
Nel soffitto
dell'antarala due lastre con incisi kirti-mukka separavano tre concavità
circolari.
I pilastri del
garbagriha sostenevano invece cinque travi con le usuali decorazioni,-
palmette, parna.bandha fogliari, ardaratna triangolari, putti reggenti
ghirlande, ancora parna-bhanda, - che conferivano una rilevante altezza alle
concavità cuspidate del soffitto. Della statua principale non restava che un
piede e il piedistallo, ove erano scolpite le figure di una donna danzante e
di suonatori di flauto o di tamburo,.
Ero così di ritorno
di fronte alla
facciata, dal mio ripetuto periplo deambulatorio, che aveva raffrenato lo scollarsi della tomaia di una mia scarpa,
per cui non mi era rimasto che di procedere in calzini sulla sua piattaforma, tra il
terriccio del giardino intorno, nell incognita di come potessi
incamminarmi
più oltre, fino al rientro in Orchha, quindi in Orchha fino a un negozio di
calzature,o fino ad un calzolaio che potesse rinsaldare suola e tomaia, quando sopraggiungevano due giovani
studenti, di Jhansi, che mi chiedevano, o intendevano mettervi a prova,
nella mia valentia conseguita di indagatore e conoscitore straniero del
tempio.
In che intrico confuso,
prestandomi, finivo così per cacciarmi tra shivaismo o vishnuismo del culto
tantrico alla devi alle origini del tempio.
Ma, era la loro questione,
perchè non avrebbe potuto essere semplicemente un tempio in onore di Laxmi, data la sua
natura eminentemente vishnuita?
Ed io ad annaspare rifacendomi
a quante vi proliferassero le immagini delle più varie manifestazioni della
dea, nella sua trascendenza di ognuna di esse, una molteplicità troppo
polimorfa, perchè il tempio potesse
rifarsi originariamente alla sola manifestazione della Devi nelle guise
della Sakti di Vishnu.
Con il custode che assisteva
ammirato, assentendo o annuendo, pur senza essere sempre convinto
delle mie delucidazioni e identificazioni dei gruppi statuari, pronto ad
assegnarmi quello che poteva risultare un suo colpo di grazia,
in virtù dell'autorevolezza conferitagli dall'essere un'espressione vivente
locale della tradizione millenaria del culto del tempio.
Insieme con lui già mi ero addentrato nella cella del
tempio, ed assecondavo i giovani a visitarla a loro volta.
Alla loro sortita, per chiedere
a lui lumi in tal senso, a colui che era un'incarnazione vivente della di una
tradizione di devozione
che ancora onorava di offerte e di attestazioni di fede il relitto statuario
del piede di una dea, gli chiedevo a quale divinità, secondo il
culto vigente, dovesse ritenersi dedicato il tempio " Laxmi e Ganesha" mi
ribatteva imperterrito, sorridendo di come fosse in dissonanza con tutto
quello che avevo detto
Laxmi?
sia pure, punto e a capo di ogni velleitarietà di farne più universalmente un tempo tantrico alla Devi. Ma Ganesha?
" Ma di Ganesha non c'è alcuna immagine nel tempio..."
I due giovani raccoglievano
sorridendone la mia perplessità, lo sconcerto per la risposta dell'uomo
che se presa per valida e vera, era l' azzeramento di ogni sforzo e
discorso iconologico intrapreso con loro
Uno dei due giovani era stato
il mio interlocutore costante, mentre l'altro si era limitato, in silenzio,
a confermare le mie illazioni o richiami ad altri templi, o a chiarire il
senso delle mie parole e dei miei usi tecnici, azzardati, di un lessico
architettonico risalente al sanscrito.
Che mi avessero sottoposto ad
esame, in virtù delle conoscenze umanistiche o del sanscrito del secondo
dei due, incuriositi di verificare la mia attendibilità di studioso e
ricercatore straniero?
Il .vecchio, apparentemente di
me più anziano, quando rimanevamo soli, aveva la gentilezza e il riguardo di
cercarmi un legaccio, con cui provava a tenere insieme suola e tomaia della
mia scarpa scollatasi.
Una premura che gli valeva la
mancia che altresì aveva inteso assicurarsi con tale suo gesto.
Potevo cosi procedere fino al
vicino villaggio, per vedervi i resti del Jaraho- ki- Marhia, dove
ritrovavo il custode e da lui mi congedavo con rinnovato calore , essere di
ritorno alla strada che recava a Jhansi, salire su un autorichshaw, adibito
a savari, nella postazione davanti a mio rischio e pericolo, fino alla
deviazione per Orchha, ed al mio arrivo nel suo abitato con un altro tuk
tuk, acquistarvi un paio di snackers nel primo negozio di scarpe che
incontravo lungo la via che recava alla Betwa, fare riparare a dovere la
scarpa che era finita in disuso, che insieme con l'altra era stata
attrezzata di una cordatura di raccordo di suola e tomaia .
La sera, fino al far della
notte, trascorrendola tra le locande sulla via per il palazzo di Jahangir e
l interno del tempio di Rama, in cui mi sono recato in preghiera con un
offerta in denaro, senza trarne le dovute avvertenze sulle interdizioni
interne al tempio di Rama, come avrei inteso mettendo a rischio tutto,
l ultimo giorno di viaggio, quando un agente del tempio pretendeva di
consegnarmi furibondo alla sua guardia armata, per il mio rifiuto di
cancellare le fotografie ch'era proibito che vi avessi scattato all
interno.
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