domenica 4 ottobre 2015

Un ultimo pizzino di Gino Baratta su alcuni dei primi miei testi poetici

Un ultimo pizzino di Gino Baratta su alcuni dei primi miei testi poetici
Questa nota mi è molto cara perché in essa Gino formulò un giudizio critico quanto mai negativo sulle cose che gli avevo trasmesso, senza alcun sconto ma con estrema delicatezza. Il riguardo usatomi gli fu facilitato dal fatto che le ultime poesie che gli avevo trasmesso erano tra le mie prime composizioni poetiche ed il suo giudizio negativo potè farlo coincidere con il mio stesso superamento poetico dei limiti che presentavano quelle poesie. Mi ha intenerito e divertito con quanta avvertita finezza abbia evitato di dirmi in tutta semplicità che quelle “ prime o più lontane cose” erano banalmente scontate, dicendo invece “ come vi fosse compromessa ogni attesa”.
Di esse quale lettore attentissimo pur di riscontri deludenti, salvava sola la natura inventiva delle modalità verbali, mentre di un’ovvietà senza possibilità di ricorso in appello gli risultavano le forme nominali, iscrivibili al più ovvio cascame poetico (“ la serie labbra-stelle-Amore-Notte”).
Si trattava degli esordi ancora neo-romantici di una mia produzione poetica che anche nei raggiungimenti recenti che più gli piacevano restava per lui viziata- secondo i suoi indirizzi critici tendenziali- da un autobiografismo che la incentrava troppo sull io, come accusavano le forme pronominali. Limitavano fortunatamente tale esorbitanza o ipertrofia egoica, secondo altri suoi rilievi formulatimi in altri pizzini,o di persona le forme verbali indefinite che ero venuto privilegiando su quelle finite più narrative– secondo il modello di Gottfried Benn.
Ciò che comunque apprezzava ed avvalorava di tale mio percorso poetico era il prosciugamento della mia prima effusività sentimentale in un linguaggio poetico più asciutto e nitido, ,più rarefatto e cristallino, per effetto della stessa mia ricercatezza impreziosente manieristica, nelle sue forme pur liberty o parnassiane ( Nerval).
Ma al Parnaso, in uno dei nostri ultimi incontri, avvenuto al ristorante Bagatto, quando la sua malattia cerebrale in corso ne era già venuta spegnendo la mente, si richiamò altrimenti per dirmi dei suoi timori, non ricordo più quanto giustificati, che mi stessi involvendo nel classicismo.
Fissata già la luna ha l'ancora
Fissata già la luna ha l'ancora
nel cielo immoto dell'estate,
pallida guida
notturna
al corso in terra
degli amanti.
Infinite
nel chiaro
ora si consumano le stelle,
gli astri
ardenti brame.
( variante: Gli astri ardenti
quali brame.)
Ma il vento,
dalla terra,
più non reca sciabordio di vita
a quest'animalità che
sanguina lontano.
(Vana l'attesa)
Remota s'inabissa nella tacita notte
senza tregua la mia pena.
Che possono più mormorare, d'inconsunto,
Che possono più mormorare, d'inconsunto,
le (mie) nostre labbra esangui sotto le stelle?
Se nient'altro
che l'Inferno è certo se si ama,
o altrimenti è il Tutto
vano splendere.
Che nessun amato può riamarci
se non incrudelendo sulle labbra
del nostro Amore.
Invano a noi supplice
la sua Domanda,
poi che solo Chi non esiste
può a lui dare senza chiedergli.
Più nient'altro, d'inconsunto,
invano esalando le (mie) labbra sotto le stelle,
lieve adombrami nel Nulla,
tu o Notte delle Notti.
.
Di mezzodì
Di mezzodì,
nel campo di San Giovanni e Paolo,
imperscrutandomi silente, cheta trascorre
alle sue cure intenta, ravvivata
l'eterna gente,
tra obliati avelli
agili bimbi giocano a palla
schizzando
lievi d'intralcio
nell'animato intreccio;
oltre il Cavallo, altri loro
corpicini snelli
s'inerpicano in gioco
nel canto spento
di un lampione e di un alberello,
dirimpetto,
nel rio diffusa,
tremola assorta
la mia quieta morte.
Il Commento di Gino Baratta
Dalla prima alla più recente: complessivamente mi sembra predominante la dimensione autobiografica, cioè una declinazione pronominale che presiede, quale cifra, ad una sintassi distesa e chiara. Preferisco- ma è impressione di tendenza- versi tuoi più secchi, più asciutti, dove anche il lessico è più emancipato dall’ io.
Mi pare che qui- in queste prime o più lontane cose- sia compromessa ogni attesa: la “ notte” non può essere che “ tacita”, “ gli “astri ardenti” non possono presentarsi che “come brame”, col supporto addirittura del “ come”; “ luna …pallida
Mi sembrano funzionare invece certe modalità verbali: “ “imperscrutandomi silente”, “s’inerpicano in gioco”. Ma anche in questa ( Venezia, aprile 74) tu parli di “ la mia quieta morte”. Anche nell ultima (delle quattro) mi pare sussistano gli elementi messi in evidenza. Se per un verso è documentata una qualità suggestiva del verbo- “incrudelendo”, “ lievi adombrami nel Nulla”, “ d’inconsunto”, per altro verso la serie labbra-stelle-Amore-Notte( o notte delle Notti) mi riporta dentro l’area o un’area neoromantica.
Insomma, più severamente dominate, più taglienti e lucenti mi paiono le “ cose” prime che mi hai passato, quelle, cioè, che stai scrivendo.
D’altra parte- quanto dico può essere banale, visto che ci sei giunto autonomamente senza il mio “aiuto ( dito?) didattico

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