domenica 12 giugno 2022
Sul Museo arecheologico Nazionale di Mantova
Signor Direttore,
Davvero preziosa e deliziosa si è rivelata l’estate scorsa la mostra La città nascosta , archeologia urbana a Mantova, allestita nel museo archeologico nazionale della città. Preziosa perché ci permette di retrodatare alla fine dell’età del bronzo i primi insediamenti nell’area della città, tra il Gradaro e Porto Catena, e per come ci attesta ancora una volta che la costruzione della città del futuro porta alla riscoperta della città del passato,; deliziosa in quanto ci ha riportato alla luce tutta l’accidentalità dell’ operare umano, vuoi per l’ impronta lasciata da un cane nell’ argilla di un mattone, vuoi per il solo scarto deformato dal calore che si è preservato di innumerevoli vasi, vuoi per gli oggetti strumentali che si sono conservati in luogo del prodotto finale, quali fusaiole e rocchetti e pesi per telai, o anelli distanziatori di vasi durante la loro cottura. Gli insediamenti della tarda età del bronzo furono preesistenti a quello etrusco del Forcello, fungendo presumibilmente poi da attrattori della sua popolazione per la posizione più protetta che offrivano, quando il sito del Forcello verso la fine del IV secolo a.C sarebbe risultato troppo esposto alle incursioni dei Galli Cenomani. I reperti ritrovati in città nel periodo immediatamente seguente sono tali e quali quelli che venivano esportati dall’Attica nel Forcello,- vasi skipoi o kantaroi –, ed infatti sono Etruschi i nomi graffiti sulla loro superficie, Ma da questo punto in poi tutto resta controverso e discutibilissimo di discorsi e percorsi espositivi del Museo archeologico , per quella che è la sventurata torsione Mantua-centrica assunta dall’intera raccolta museale con il suo ampliamento. Contro tutto ciò che Virgilio è stato e che ci ha trasmesso di mitico-storico nell’Eneide e in Bucoliche e Georgiche, egli eclissato in una citazione soltanto dei pannelli, gli Etruschi anziché figurare come il ceppo etnico persistente e che con Veneti e Galli cenomani era predominante nella Mantova colonizzata da Roma, vengono relegati a nomenclatura di una sua fase oltrepassata, e tutto è ricondotto a una fantomatica Mantua Romana che avrebbe azzerato Etruschi e Mantua etrusca, ogni pluralità originaria, ad un suo prima ed a un suo poi quale termine massimo di riferimento, quando Mantua era allora romana come era austriaca sotto gli Absburgo , o come è cinese il Tibet. Il tutto riconducendo nell’alveo di un improvvido municipalismo identitario un Museo nazionale che era e doveva restare un meraviglioso museo del territorio, il che si è tradotto in un annessionismo grottesco dei reperti provinciali , ridotti ad essere pur sempre e unicamente Mantova fuori di Mantova, come se non conclamassero, nella loro qualità superiore , quanto la vita in villa fosse più altolocata di quella della parva Mantua. Si tratta di un tristissimo lascito dell’ epoca del combinato disposto Franceschini- Palazzi- Assmann , ai tempi della direzione del Museo dell’illacrimata Signora Nicoletta Giordani , cui forse intese proclamarsi estraneo Stefano l Occaso, quando nel catalogo del “ rigenerato Museo” si dichiarò responsabile solo della ricollocazione dei reperti. Ad egli va dunque il mio accorato appello a che il Museo di Mantova sia riattivato come un hub archeologico territoriale, a che diventi un centro che con l’ interscambio e l’esposizione ed il deposito anche solo temporanei di reperti non altrimenti visualizzabili o che rimarrebbero inesposti, perché di valore nazionale, quali quelli, innanzitutto, del Forcello, dei siti di Bande e di Tosina, o dell’Oltrepò, in dibattiti e in atti di convegni consenta di raffrontare e di integrare in sintesi d’insieme, unificatrici, , le ricerche e le scoperte dei ritrova menti dei nostri archeologi sull‘intero territorio provinciale, per riavviarle con rinnovato e più fecondo slancio. Con tutta la passione e il duro rigore che l’archeologia sa suscitare e che richiede, nei suoi tempi ora esaltanti ora quanto mai grami od estenuanti.
Odorico Bergamaschi
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