domenica 20 maggio 2018

Lettere al giornale Su Domenico Pesenti

Mi si consenta una breve disamina dell’ arte di Domenico Pesenti, ora che si è conclusa la grande mostra al Museo Diocesano sulla sua opera pittorica. In essa,” il padre della pittura mantovana del Novecento,” si è riproposto come  rappresentante insigne di un’epoca che in tutte le arti fu di transizione, dalla tradizione classica alle avanguardie d’inizio  Novecento (si pensi in tal senso ad un architetto che percorse per intero tale parabola come Otto Wagner).  Fin dagli esordi  accademici Pesenti  è straordinario in ciò di cui meno ricerca l’insegnamento e ne  necessita, nel ritratto e nella resa  dei dettagli . Il rifiuto al contempo  di andare a Milano scuola dell’Hayez  è  già quanto mai significativo di un rifiuto precoce e definitivo della pitturastorica, magniloquente e monumentale, della sua opzione invece  per un sermo humilis nel linguaggio e nei contenuti espressivi,  per una pittura di interni, prevalentemente ecclesiastici,  di scene di vita popolare  e domestica, quotidiana anziché epica. In essa egli  è  fedelissimo alla tradizione figurativa  nella sua resa magistrale di prospettive esaltate da effetti  di luce particolari, e  lo è ancor più nella sintesi compositiva di insieme. Ma in tale sua attinenza fino al limite del bozzettistico a  ciò che  dettava il bello stile figurativo, oltreché,  particolarmente durante il periodo fiorentino, a ciò che esigeva il mercato di vedute, era all’opera fin dagli esordi una resa dei particolari di un’innovatività assoluta, con  accenni luministici mirabili  di stoviglie e cucine e lavatoi o rigovernature, con tratti scomposti di pennello degli  arruffii di piume di gallinacei da cortile, ( ad esempio ne “Il pollaio),  per come stenografava con una pittura di tocco cori di chierici,  vetrate o tribune di cantorie, incisioni di lapidi o scritture di codici e messali, profili di cornici lumeggiate e  rilievi di colonne  in sale di gallerie d’arte. Ciò dà origine già negli anni settanta a opere splendide,  quando  tale resa del dettaglio viene dilatata a visione pittorica più complessiva o globale ( vedansi allora la cucina eccezionale della  “Lettera alla famiglia”, dentro un bozzetto di genere che più oleografico non potrebbe essere, o” La bottega del falegname”,  di una monocromia che fa tutt’uno con la  delineazione prospettica del tratto pervasivo e delineante di pennello. Di ritorno a Mantova e trascesa ogni descrittività  esteriore , pur se resa con bravura di tecnica encomiabile, le tragedie degli affetti familiari, straziati da perdite,  il distacco depressivo dalle domande di mercato e dalle urgenze del mondo, tanto più quanto è incalzante il disagio economico, lo orientano in tal senso  a essenzializzare e ad astrarre sempre più  il quadro in pura resa  di luce e colore. Tale ricerca avrà sempre più il sopravvento sul soggetto figurativo e la sua logica d’impianto,  vuoi  elevando ad elemento primario  ciò che davvero interessa il cuore e lo sguardo, lo sfondo del cielo o la materialità in primo piano  di ciottolato e binari, ( in” La massicciata della ferrovia Mantova Monselice”, o” Il Ponte di diga Masetti”), vuoi  privilegiando i notturni, per come le tenebre dei vicoli di Mantova agevolano il disfacimento formale degli edifici e delle tarde presenze  in effetti di luce e di ombra intenebrantisi , oppure su carta vetrata frangendo in sfavillio e crepitio di luce i macchinari del’ industria più pesante. Sarà infine, a dare compimento al suo oltrepassamento della sintesi figurativo-prospettica  di luce e colore in una sintesi pura di luce e colore,   la volta suprema delle marine e dei laghi di Mantova: le loro vedute, dopo che nella “Morte della Vergine” del Mantegna furono raffermate  in un lividore serale del 1462, conosceranno l’ inizio di una somma fortuna novecentesca  proprio negli eccelsi esiti estremi di Domenico Pesenti : strisce di luce e colore, di cieli e terra e acqua. che preludono all’arte stessa di Rothko, come precorrono Morandi le ciotole o i trepidi caseggiati notturni di Pesenti. In essi, come nei suoi tardi ritratti, quelli più  velati, aleggia un senso della realtà oramai fantasmatico, la  cui  manifestazione primaria è  nei ritratti post mortem dell’amatissimo nipote Azzurrino. Quello di collezione privata esposto in mostra è un capolavoro assoluto. L’arredamento interno è altrettanto realistico, di un realismo che è ottico,  nella resa luminosa dei dettagli materiali dei mobili lignei, quanto stavolta innovativa e irreale  e’ la stessa composizione  del loro rassemblement simbolico, secondo una poetica che evoca il Pascoli della Tessitrice: e al centro di tutto,  Azzurrino è tanto teneramente bambino quanto trascende la residua realtà terrena di Domenico Pesenti nel richiamo al suo al di là eterno, nell’ ora presente, del lancinante dolcissimo vaghissimo sguardo.
Odorico Bergamaschi

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