Mi spiace,
per certe anime cortesi mantovane, ma quando in discussione non sono gli
spacciatori o chi delinque facendo violenza o rubando, ma gli stranieri che
incutono paura ed avversione per il solo loro aspetto, perché per il solo fatto
di starsene senza far niente "fanno cattiva mostra di sé", quando
basta che una siringa con del sangue sia ritrovata per terra o che avvenga un
minimo screzio o alterco tra migranti e autoctoni perchè il fatto finisca in
prima pagina come un evento, che uno dorma su di
una panchina perché lo si debba espellere immediatamente,- guai, allora, anche
a fare ancora un picnic sull’erba?-, a tal punto il problema non sono tanto gli
stranieri ma chi nutre certe fobie ossessive, che in termini clinici si
chiamano disturbi paranoidi di personalità, in termini politici odio razziale o
razzismo tout court. E i giornali che alimentano queste sindromi, anziché porle
sotto razionale controllo, se ne rendono corresponsabili. Quando come nella
Delhi della shining, risplendente India, dello scorso decennio, i poveri e i
balordi vengono cacciati altrove, senza sapere dove, per il decoro urbano di
una città che non vuole recare più tracce del dolore e della miseria del mondo,
e si imbelletta e si rifa il trucco, ammantata che sia di Daspo o di
dichiarazioni quali quelle di un alto giudice della Corte suprema indiana “«Chi
non può permettersi di vivere in una metropoli non dovrebbe venirci», beh si
merita proprio quello che Arundhati Roy ha scritto della sua e mia amatissima
Delhi” “Era l’estate in cui la Nonna divenne una puttana".
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