Tutto su mia madre, II
Questo pomeriggio di un meraviglioso autunno che filtrava il suo incanto nella cucina di mia madre con cui mi ritrovavo in Modena, ho cercato di far defluire i suoi ricordi sulla sua esistenza da bambina e da ragazza nella Corte Mantovana, che per lei sono stati gli anni di più felici memorie.
Ma la sua voce esprimeva allegria, a riguardo, solo se doveva dirmi dei nonni favolosi, nella cerchia dei famigliari, o se lei veniva diffondendosi sugli animali che la popolavano, galline, faraone, anitre, tacchini, maiali e maialini, una dozzina di vacche tutte olandesi, quelle belle pezzate, i vitelli e il toro nella stalla, una cavallina magnifica, Diana, la figlia bionda di Cicero famoso cavallo da corsa, addetta al traino del barroccio di cui erano dotati il padre e lo zio R., oltre che di carro e carretti, nel ripostiglio al di là della stalla che in tempo di guerra era di rifugio occasionale ora per tedeschi, ora per partigiani.E due somarelle " belle e snelle", la Pierina e la Leda, madre e figlia, buone per trotterellare anche per strada, che mia nonna faceva diventare lucide, tanto le strigliava, le spazzava.
“ Mi piangeva il cuore quando venivano a portare via i maialini. Li avessi visti com’erano belli, ognuno attaccato a un proprio capezzolo della scrofa. Ma mi si mandava a vigilare dopo che erano nati, perché la madre non li uccidesse presa dalle febbri del parto”
Solo esprimeva ribrezzo al ricordo di quando la incaricavano, lei ancora bambina, di ammazzare galline e faraone, tirandole per i piedi dopo averle immobilizzate con un bastone tra capo e collo, una cosa che ora le sarebbe impossibile per l orrore che le suscita, come se fosse un crimine che commettesse.
Ma il ricordo stesso della cavallina Diana, così bella, che la guardavano tutti, era per lei angustiato da quello di un compito che non era il caso che fosse stata affidato a una bambina , quando l’avevano inviata al mulino con un carico trainato dall’animale di frumento e frumentone da far macinare. Tutti se ne erano fatti meraviglia, per il fatto che avessero affidato a una bambina ancora così piccola una cavalla che poteva imbizzarrirsi, ma in famiglia solo la zia Fanny aveva riprovato che le avessero assegnato una simile incombenza.
Era sempre mia mamma che a quell’età doveva andare fino al caseificio a consegnare il latte in bidoni, per cui le era capitato un giorno che una squadra di militari tedeschi gliel avesse requisito tutto, riempiendone le proprie gavette.
E più di una volta in tempo di guerra era stata mandata in bicicletta dallo zio B. che viveva in Ostiglia, ove era guardia idraulica del Po’, a non meno di una ventina di chilometri di distanza, per consegnargli sporte di derrate alimentari che la corte forniva, insieme con il caseificio, farina, burro, formaggio, latte, uova, e che di quei tempi scarseggiavano anche in un borgo di campagna.
“ Avevo una tale paura quando dovevo traversare il ponte sul Po’ “, nel timore dell’arrivo di qualche bombardiere che lo prendesse di mira.
La sua acredine rancorosa era volta allo zio ch’era il padrone di casa, e che salvaguardandone le figlie e investendone mia madre bambina, nonostante tutte le moine di cui la vezzeggiava, come sua nipotina, era l’ispiratore di tali committenze, lo stesso soggetto che le faceva trovare puntualmente una zappa ad attenderla per quei lavori dei campi da cui lui stesso si dispensava per primo, angariando con il fratello, in mansioni agricole, la fragile moglie e la cognata nelle fatiche nella stalla – da cui a dire di mia madre uscivano “ merdose fino agli occhi”-, ma chi intimamente mia mamma sentisse che avrebbe dovuto chiamare ugualmente in causa, trapelava dai modi di cui parlava di sua madre e di suo padre.
Che gran donna sua madre, in quanto lavoratrice, come tutti dicevano in giro ; peccato che preferisse alla cura dei figli l lavoro nei campi.
I suoi fratelli minori li aveva lasciati a lei da accudire con il latte preso in farmacia, senza curarsi di conservarne del proprio
“ Preferiva piuttosto spargere letame per i campi”
“ Era un mezzo uomo, a dire il vero”
Quanto a mio nonno, se a differenza del fratello si era poi rovinato nel compiere affari, le ragioni c’erano tutte
“ Sapeva solo andare a segare i campi”
Non era dunque un caso, che una volta emigrato, si fosse rifatto una vita come giardiniere.
Né il discorso mutava tono, quando l’invitavo a dirmi dei cereali e della frutta che si coltivavano nella sua corte, e che particolarmente in questa stagione, nei campi, lungo i filari, o sulle piante o nell’aia grande, vi erano una festa per gli occhi e per il palato.
Io stesso ricordavo ancora il gran frutteto che costeggiava il viale d’ingresso, le mele squisite che fruttificava, saporite golden delicious, mele campanine, quelle che duravano di più d'inverno, buonissime da mangiare cotte, e le mele cotogne che servivano per la marmellata.
“ E le pesche? così buone, così succose…E la piantata d’uva bianca da tavola che era di fianco al frutteto d’ingresso, di uva moscato, accanto a quella d’altre qualità, una meraviglia straordinaria.. C'era in altri filari anche quella basgana, così nera , grossa, bella rotonda, …”
Solo che anche in tal caso, le veniva in mente una incombenza sgradita di cui lei bambina era stata investita: quella di sorvegliare che dei passanti per strada non si infilassero nella corte per rubare dell’ uva.
“ Cosa vuoi che stessi ad attendere all’ uva, come mi si diceva di fare… Scappavo via, io, se vedevo qualcuno “
Tutto su mia madre, II
Questo pomeriggio di un meraviglioso autunno che filtrava il suo incanto nella cucina di mia madre con cui mi ritrovavo in Modena, ho cercato di far defluire i suoi ricordi sulla sua esistenza da bambina e da ragazza nella Corte Mantovana, che per lei sono stati gli anni di più felici memorie.
Ma la sua voce esprimeva allegria, a riguardo, solo se doveva dirmi dei nonni favolosi, quanto ai suoi famigliari, o se lei veniva diffondendosi sugli animali che la popolavano, galline, faraone, anitre, tacchini, maiali e maialini, una dozzina di vacche tutte olandesi, quelle belle pezzate, i vitelli e il toro nella stalla, una cavallina magnifica, Diana, la figlia bionda di Cicero famoso cavallo da corsa, addetta al traino del barroccio di cui erano dotati il padre e lo zio R., oltre che di carro e carretti, nel ripostiglio al di là della stalla che in tempo di guerra era di rifugio occasionale ora per tedeschi, ora per partigiani.E due somarelle " belle e snelle", la Pierina e la Leda, madre e figlia, buone per trotterellare anche per strada.
“ Mi piangeva il cuore quando venivano a prendere i maialini. Li avessi visti com’erano belli, ognuno attaccato a un proprio capezzolo della scrofa. Ma mi si mandava a vigilare dopo che erano nati, perché la madre non li uccidesse presa dalle febbri del parto”
Solo esprimeva ribrezzo al ricordo di quando la incaricavano, lei ancora bambina, di tirare il collo a galline e faraone, tirandole per i piedi dopo averle immobilizzate con un bastone tra capo e collo, una cosa che ora le sarebbe impossibile per l orrore che le suscita, come se fosse un crimine che commettesse.
Il ricordo stesso della cavallina Diana, così bella, era per lei angustiato da quello di un compito che non era il caso che fosse stata affidato a una bambina , quando l’avevano inviata al mulino con un carico trainato dall’animale di frumento e frumentone da far macinare. Tutti se ne erano fatti meraviglia, per il fatto che avessero affidato a una bambina ancora così piccola una cavalla che poteva imbizzarrirsi, ma in famiglia solo la zia Fanny aveva riprovato che le avessero assegnato una simile incombenza.
Era sempre mia mamma che a quell’età doveva andare fino al caseificio a consegnare il latte in bidoni, per cui le era capitato un giorno che una squadra di militari tedeschi gliel avesse requisito tutto, riempiendone le proprie gavette.
E più di una volta in tempo di guerra era stata mandata in bicicletta dallo zio B. che viveva in Ostiglia, ove era guardia idraulica del Po’, a non meno di una ventina di chilometri di distanza, per consegnargli sporte di derrate alimentari che la corte forniva e che di quei tempi scarseggiavano anche in un borgo di campagna.
“ Avevo una tale paura quando dovevo traversare il ponte sul Po’ “, nel timore dell’arrivo di qualche bombardiere che lo prendesse di mira.
La sua acredine rancorosa era volta allo zio ch’era il padrone di casa, e che salvaguardandone le figlie e investendone mia madre bambina, nonostante tutte le moine di cui la vezzeggiava, come sua nipotina, era l’ispiratore di tali committenze, lo stesso soggetto che le faceva trovare puntualmente una zappa ad attenderla per quei lavori dei campi da cui lui stesso si dispensava per primo, angariando con il fratello, in mansioni agricole, la fragile moglie e la cognata nelle fatiche nella stalla – da cui a dire di mia madre uscivano “ merdose fino agli occhi”-, ma chi intimamente mia mamma sentisse che avrebbe dovuto chiamare ugualmente in causa, trapelava dai modi di cui parlava di sua madre e di suo padre.
Che gran donna sua madre, in quanto lavoratrice, come tutti dicevano in giro ; peccato che trascurasse la cura dei figli per il lavoro nei campi.
I suoi fratelli minori li aveva lasciati a lei da accudire con il latte preso in farmacia, senza curarsi di conservarne del proprio
“ Preferiva piuttosto spargere letame per i campi”
“ Era un mezzo uomo, a dire il vero”
Quanto a mio nonno, se a differenza del fratello si era poi rovinato nel compiere affari, le ragioni c’erano tutte
“ Sapeva solo andare a segare i campi”
Non era dunque un caso, che una volta emigrato, si fosse rifatto una vita come giardiniere.
Né il discorso mutava tono, quando l’invitavo a dirmi dei cereali e della frutta che si coltivavano nella sua corte, e che particolarmente in questa stagione, nei campi, lungo i filari, o sulle piante o nell’aia grande, vi erano una festa per gli occhi e per il palato.
Io stesso ricordavo ancora il gran frutteto che costeggiava il viale d’ingresso, le mele squisite che fruttificava, saporite golden delicious.
“ E le pesche? Così buone, così succose…E la piantata d’uva bianca da tavola che era di fianco al frutteto d’ingresso, di uva moscato e d’altre qualità, una meraviglia straordinaria…”
Solo che anche in tal caso, le veniva in mente una incombenza sgradita di cui lei bambina era stata investita: quella di sorvegliare che dei passanti per strada non si infilassero nella corte per rubare dell’ uva.
“ Cosa vuoi che stessi ad attendere all’ uva, come mi si diceva di fare… Scappavo via, io, se vedevo qualcuno “