Chagall a Mantova come
sogna Palazzi? Benissimo, in se’. Solo che una
retrospettiva bellissima su Chagall
e’stata gia’allestita a Milano nei non lontani 2014-2015, e che una mostra autenticamente tale, che sia
cioe’ di ricerca, per quanto io ne so da profano richiede che prima ne sia
ideato il soggetto, auspicando che non sia la
mera escogitazione di un presunto
richiamo attrattivo, e che poi in ragione di esso siano ricercati i vari
prestatori di opere. Rifacendosi a un
solo Museo si finisce invece per farsi dettare il menu della mostra da quel che
offre l’istituto-convento, in tal caso la Tretyakov Gallery di Mosca. Ne
sortiscono cosi’ per lo piu’ mostre di rara bruttezza come quella su Van Gogh,
sempre a Milano e in contemporanea con quella su Chagall, che fu desunta da
quel che di Van Gogh e’attingibile dal Kröller-Müller
Museum in Olanda, un cui riciclaggio sotto altre spoglie e’stato imbandito piu’ di recente a Vicenza,
con qualche capolavoro in aggiunta a fini propagandistici. In
realta', come trapela vuoi dalla genericita’ propositiva della ispirazione di
fondo- tre mostre in tre anni dedicate ai maestri della pittura del Novecento,-
sai che genialata !- vuoi dalla peregrinita’ della proposta in concreto,
-Chagall e il teatro-, non che dai tempi
di breve respiro dell’allestimento, la mostra
di Chagall a Mantova sembra obbedire ad una pianificazione di mero
riempimento turistico, di mera e vana attrattiva commerciale, ad un input
estemporaneo dall'alto del Sindaco Duca, piu' che della societa' civile di Mantova quale citta'
d'arte, di gusto e di cultura, nelle sue intrinseche istanze di valorizzazione
partecipativa.
lunedì 21 maggio 2018
L'incontro della Camera PIcta
Era il 22
ottobre dell’anno 1470, ed il marchese Ludovico II aveva di che dolersi che il rivestimento pittorico della Camera Picta non fosse ancora stato realizzato che per metà da parte del Mantegna, che fino ad allora nella sola parete settentrionale aveva affrescato la scena della Corte, talmente a rilento procedeva in un ‘opera che aveva iniziato il 16 giugno 1465, già cinque anni addietro, se ci si attiene alla data che figura dipinta a fresco nel’arredo
pittorico, a finti marmi policromi, dello sguincio della finestra dislocata a nord-ovest.
Restava ancora da dipingere la parete ovest, in cui avrebbe dovuto figurare l’incontro avvenuto a Bozzolo il 1 gennaio del 1462 tra lo stesso Ludovico II e il secondogenito
Francesco, reduce da Milano dopo avere appena conseguito la nomina cardinalizia notificatagli il 18 dicembre 1461, e di cui
era andato a gratificarvi gli Sforza per gli uffici interposti. Era un evento,
data tutta la sua importanza, da cui forse ebbe origine l’ideazione stessa della Camera Picta,
poiché sanciva la legittimazione da parte del papato del dominio dei Gonzaga
sui territori del proprio stato, il cui esercizio del potere la scena di corte celebrava nella sua sublimazione umanistica, quale che sia l’evento a cui allude. L’ incontro di
Bozzolo preludeva ad una investitura dei Gonzaga della
stessa autorità religiosa sulla città, con la nomina di Francesco a vescovo di
Mantova nel 1466, dopo esserlo stato di Bressanone. Ma agli inizi degli anni
Settanta del Quattrocento, otto anni dopo, allorché il Mantegna non ne aveva
ancora iniziato la rappresentazione, tale incontro era un accadimento oramai stagionatosi, superato dalle
successive nomine vescovili di cui si è detto, sicché a sollecitare il Mantegna a riprendere il soggetto ci
volle niente di meno di quello che ebbe a capitare a pennello di lì
a qualche anno, al verificarsi di un evento che finì- addirittura- per
ridimensionare l’incontro di Bozzolo ad un suo precedente di rilevanza minore, risultandone più ancora magnificativo delle sorti dei Gonzaga. Trattasi dell’incontro, sempre tra Francesco e lo stesso Ludovico II, avvenuto
in Bondanello sul Secchia il 22 agosto 1472, che faceva seguito alla nomina dello stesso Francesco a legato pontificio
in Bologna nel 1471, e di cui parla la Cronaca di Mantova dal 1455 al 1484
dello Schivenoglia, Tale incontro aveva rinverdito e perfino implementato quello pur così importante di Bozzolo, in virtù degli accresciuti poteri religiosi di cui vi si esaltava il
conferimento ad un Francesco Gonzaga che non era più solo diciassettenne, come
ai tempi della originaria nomina cardinalizia. A maggior gloria del ceppo
famigliare di Ludovico II, la rappresentazione dell’incontro di Bondanello consentiva inoltre di aggiornare la ripresa
del vecchio soggetto con l’inserimento in esso, che vi siano stati realmente presenti o meno, dei
componenti in più tenera età della famiglia gonzaghesca allora viventi, che già Rodolfo Signorini ci ha consentito di
identificare pressoché tutti quanti, insieme agli altri personaggi signorili
che vi furono compresi. E’ il caso del fratello minore di Francesco Gonzaga, Ludovico , che gli tiene la mano sinistra e vi è raffigurato come già ragazzo, mentre all’ epoca dell’ incontro di Bozzolo aveva solo un
anno. Egli subentrerà a Francesco quale vescovo di Mantova alla sua morte, nel
1483, e nella scena dell’ incontro di Bondanello senza alcun anacronismo prolettico appare già nelle vesti di
protonotario apostolico , il titolo che gli aveva appena garantito il fratello cardinale. Insieme a Ludovico può fare la sua
comparsa anche suo nipote Sigismondo ancor più in tenera
età, nato nel 1469 e figlio di Federico, il futuro terzo marchese di Mantova, costui raffigurato
invece all’estrema destra per chi guarda la scena, involto nel manto che
ne copre la difformità cifotica. Quale suo secondogenito Sigismondo era predestinato anch’egli ad una carriera
ecclesiastica, che dopo essere stato egli nominato
cardinale nel 1506 farà di lui il successore quale vescovo di
Mantova, dal 1511, dello stesso Ludovico di cui tiene la mano . Nell’incontro di Bondanello non può mancare neppure l’allor piccolo Francesco, futuro quarto marchese di
Mantova, essendo nato tre anni prima di Sigismondo, nel 1466, che si accampa imperiosettofino all’altezza del bacino del nonno, Ludovico II, a lui d’accanto;
due fanciulli, Sigismondo e Francesco, che all’epoca
dell’incontro di Bozzolo non erano ancora nati. La realizzazione dell’affresco
si protrasse fino al 1474, quando, nel marzo e poi nel maggio di
quell’anno, s’inoltrò nei territori gonzagheschi re Cristiano I di Danimarca ( cognato di Ludovico II, in quanto aveva
sposato Dorotea di Brandeburgo, sorella di Barbara moglie
del marchese di Mantova), venutovi a insignire Ludovico II dell’Ordine dell’Elefante. Tale
soggiorno era a onore e gloria dei Gonzaga come già nel 1469 lo fu
l’accoglienza in Ferrara di una loro delegazione prestigiosa, che comprendeva lo stesso Mantegna, da parte di Federico III d’Asburgo, imperatore, impegnatosi a suo tempo per l’elezione a
cardinale di Francesco Gonzaga, e da cui lo stesso Ludovico II era stato
investito del titolo di marchese. La venuta in Mantova di Cristiano I indusse
Ludovico II a far finire al Mantegna l’impresa della Camera Picta per farne mostra al re danese. A glorificazione reciproca furono inserite
nell’Incontro sia l’effigie di re Cristiano I che di Federico III
imperatore, così coronando con un’investitura universale il potere politico e religioso dei Gonzaga in Mantova, di cui si rimarcava il legame con l’impero e
il vanto per la parentela regale di Cristiano I. Così desumo e presumo che siano andate le cose, in concordanza con il Crowe, il Cavalcaselle ( 1871) e l’ Yriarte( 1901), ma così non
vuole che si siano svolte la tradizione interpretativa che è finora invalsa, che nella scena
dell’Incontro sostiene che sia rappresentato quello di Bozzolo, con tutti gli
anacronismi del caso che ne conseguono, non ultima la presentazione di
Francesco nel suo pieno rigoglio di adulto, mentre all’epoca dell’ incontro di
Bozzolo non aveva ancora diciotto anni, e via seguitando per ogni personaggio
inscenato. Lo stesso Ludovico II appare più solcato di rughe nel cipiglio della
fronte, e agli occhi, oltreché più floscio nell’incarnato
dell’orecchio, che non nella sua comparsa nell’episodio antecedente della scena
di corte, che pur risalirebbe allo stesso giorno dell’
incontro in Bozzolo, se è vero
che raffigura la chiamata in Milano di
Ludovico II a sostegno di Francesco
Sforza, di cui era luogotenente generale, per il tramite di una lettera di
Bianca Maria Visconti che riferiva del grave stato di salute
del marito. A tal punto sarebbe davvero dirimente poter sapere se
l’investitura a legato apostolico in Bologna cui fa capo invece l incontro di Bondanello spieghi la tunica cilestrina di
Francesco, già cardinale e vescovo, e la sua combinazione con la mantellina
purpurea che vi è sovrapposta. Le mie interpretazioni, pur così delucidate,
restano pur sempre solo fondate congetture. Ai critici d’arte
di me più emeriti confermarle o smentirle riaprendo il dibattito.
Odorico Bergamaschi
Lettere al giornale Chagall in Mostra 12 gennaio 2018
Signor direttore,
Una mostra d’arte che non
sia allestita con perizia, ed ampiezza d’ingegno, si presta a clamorose
critiche ed inimmaginabili cadute di immagine, come la recente mostra di
Modigliani nel Palazzo Ducale di Genova
, un allestimento di presunti capolavori
che si sono rivelati quasi tutti dei grossolani falsi, o si
esporrebbe a raffronti quanto mai
impietosi, che e’ il destino a cui
rischia di andare incontro la mostra su
Chagall ed il teatro che il sindaco Palazzi vorrebbe riservarci per l’autunno e
l’inverno prossimi, grazie a dei prestiti impolpati per bene della Tretyakov
Gallery di Mosca. Gia’ mi sono espresso su tutta la microscopicita’ dell’idea
di desumere una mostra dai prestiti di un unico museo, una “nanoidea” che rischia di rivelarsi ancor piu'
lillipuziana, se nel contempo, a una distanza che e’ poca nello spazio ma che concettualmente puo'
apparire siderale, ne e’ reperibile una, di ispirazione consimile, al cospetto
della quale quella del Sindaco Palazzi
sfigurerebbe come i falsi di Modigliani rispetto a cio’ che e' originale: mi
riferisco alla mostra esposta nel Palazzo Magnani di Reggio Emilia, che presumo
magnifica, “Kandinsky-Cage musica e spirituale nell’arte”, alla cui profondita’
di ideazione orfico-platonica il sottoscritto
soggiace ammutolito. Ne e’ il tema di fondo la
musica quale modello delle arti
figurative, come in forme, linee e
colori- innanzitutto nei suoi rapporti numerici proporzionali-, fu trasposta
nell’opera di Kandinsky, Schonberg, Klee, Fischinger e spiriti affini.
Sic stantibus rebus meglio sarebbe, o potrebbe risultare una gran
cosa, fin che si e’ in tempo, chiedere a tal punto il trasferimento autunnale e
invernale a Mantova di tale mostra, in cio' che puo’ seguitare a permanerne
esposto, tanto piu’ che essa include
delle opere del mantovano Giulio Turcato, magari arricchendola, come proprio
apporto inventivo , con una sezione per
l’ appunto su Chagall ed il teatro, desunta dalla Galleria moscovita, che
finirebbe per vertere soprattutto su l’Uccello di fuoco di Stravinsky in
termini splendidamente congruenti- il rapporto intessuto dall’arte pittorica
dell’Otto Novecento con il teatro essendo essenzialmente una relazione con la
musica di balletti ed opere, ne’ guasterebbe, eventualmente, un’ ulteriore
sezione di gran fascino su De Chirico scenografo. Cio’ costerebbe solo
ammettere i propri prestiti ereditari,
anziche' intestarsi cio’ che non e’proprio e ci trascende
vertiginosamente.
Odorico Bergamaschi
Lettere alla gazzetta L'estate in cui la nonna
Mi spiace,
per certe anime cortesi mantovane, ma quando in discussione non sono gli
spacciatori o chi delinque facendo violenza o rubando, ma gli stranieri che
incutono paura ed avversione per il solo loro aspetto, perché per il solo fatto
di starsene senza far niente "fanno cattiva mostra di sé", quando
basta che una siringa con del sangue sia ritrovata per terra o che avvenga un
minimo screzio o alterco tra migranti e autoctoni perchè il fatto finisca in
prima pagina come un evento, che uno dorma su di
una panchina perché lo si debba espellere immediatamente,- guai, allora, anche
a fare ancora un picnic sull’erba?-, a tal punto il problema non sono tanto gli
stranieri ma chi nutre certe fobie ossessive, che in termini clinici si
chiamano disturbi paranoidi di personalità, in termini politici odio razziale o
razzismo tout court. E i giornali che alimentano queste sindromi, anziché porle
sotto razionale controllo, se ne rendono corresponsabili. Quando come nella
Delhi della shining, risplendente India, dello scorso decennio, i poveri e i
balordi vengono cacciati altrove, senza sapere dove, per il decoro urbano di
una città che non vuole recare più tracce del dolore e della miseria del mondo,
e si imbelletta e si rifa il trucco, ammantata che sia di Daspo o di
dichiarazioni quali quelle di un alto giudice della Corte suprema indiana “«Chi
non può permettersi di vivere in una metropoli non dovrebbe venirci», beh si
merita proprio quello che Arundhati Roy ha scritto della sua e mia amatissima
Delhi” “Era l’estate in cui la Nonna divenne una puttana".
Lettere al giornale Il sexgate Palazzi
E’ un gran bene per Palazzi e per la nostra citta’, che
la sua vicenda giudiziale sia per ora
finita con un luogo a procedere, che
nulla di questa vicenda giustifichi che non gli si rinnovi la fiducia
nel voto amministrativo, stando alle conclusioni concordi della Procura e dei
Carabinieri,.E’ ad esse tutte quante che voglio attenermi, di fronte
alla reazione a propria difesa della casta mediatico-politica che si e’
scatenata di conseguenza, per cui si e’ passati da una sguaiataggine
colpevolista ad una sguaiataggine innocentista non meno riprovevole, a
copertura del fatto che in termini extragiudiziali non c’e nessuno delle parti
in causa che non ne sia uscito con le ossa bastantemente rotte,.e che in quel
che e’accaduto non ci abbia messo abbondantemente del suo.
Ora la bufera si addensa sul capo di Giuliano Longfils,
per l’ intervento disinformato di un Enrico Mentana quanto mai sopra le
righe, a ruota di quello di un Pierluigi Battista indignato come non mai, ai
quali ha fatto seguito quello di Paola Bulbarelli dettato nella sua tempistica
soprattutto dalla convenienza a smarcarsi politicamente. In realta’ la condotta
di Longfils non e’stata affatto grillina
ma di ispirazione angloamericana, come lo e’ la sua formazione culturale e
politica, ed e’stata altrettanto subdola
e infida quanto formalmente corretta ed ineccepibile.
Colpevole o innocente che fosse il sindaco Palazzi, il
suo esposto giudiziario ne era gia’ un impallinamento, e un sindaco dimezzato
ad anitra zoppa e costretto a dimettersi per difendersi meglio era quanto
Longfils si prefiggeva, come ingenuamente ha sventagliato anche in latino Ma e’
arduo ipotizzare che potesse agire diversamente, solo che avesse avuto un
diverso modo di intendere che cosa significhi in politica essere un uomo
d’onore nei confronti dei propri avversari, e sostenere che quanto di scottante
era venuto in suo possesso avrebbe potuto rimetterlo al diretto interessato
perche’ mettesse giudizio, cosi risparmiandoci
tutto quanto ne e’ seguito, di cui avremmo potuto benissimo fare a meno.
In fin dei conti, si sarebbe potuto arguire, v’era il sospetto di una
concussione.solo tentata, non c’erano indizi di una condotta seriale del
sindaco, e non si trattava certo di circonvenzione d’incapace. In realta’ tale
suo agire, assolutamente squisito, sarebbe stata mera omerta’ politica,
come disvela l'accusa improvvida di delazione mossagli dal
Battista Ma mi sa che per Longfils
“tutto nel mondo e’ burla”, come per il Falstaff di Verdi, e cosi con egli passo e chiudo,
come non ho modo di concludere diversamente in merito alla signora Cinzia Goldoni. Quanto invece alla signora Nizzoli, non so se si
debba parlare di leggerezza o di stoltezza o di perfidia piu’ unica che rara,
come lo e’ di certo la sua incredibile
bellezza Solo meno di lei dalla vicenda esce infine malconcio il Sindaco Palazzi: nell’ imprudenza delle
sue avances avrebbe dovuto essere devoto
con piu' discernimento al credo renziano in ogni nuova
tecnologia comunicativa. Anche un ragazzino illetterato di ultima generazione
sa taroccare messaggi, attribuendo alla
ragazza che lo ha appena lasciato parole
compromettenti con il suo nuovo boy friend.
Non c’ e’ bisogno di azzardare congiure, se fosse stato vittima delle quali
Palazzi uscirebbe da tali vicende ancor meno affidabile politicamente
Per gli stessi errori che sa di aver cosi’ commesso, per
sua ammissione diretta a denti stretti, e come si desume dal fatto stesso che ha invitato piu’ volte al rispetto
pietoso della sua privacy, trovo fuori
luogo e sgradevole che i big del Pd e lo stesso Maroni siano accorsi a proclamarne l ‘innocenza in ogni senso del
termine, e smodati gli interventi a cui ho alluso di Mentana e Battista, come
in una sorta di domino politico in cui chi e' della casta si soccorre a vicenda.Se
poi larga parte della cittadinanza
benche’.non sia affatto puritana e’ refrattaria a rubricare l’accaduto come un
mero fatto privato, forse e’ perche’ la
propensione e la disponibilita che il Sindaco ha mostrato nel chattare
con tanta insisita reciprocita’indiscreta con l’ex vice presidente di
un’associazione privata, da cui tutto ha avuto inizio, non dimentichiamolo, non
l’ha espressa nell’aprirsi e nel cimentarsi altrettanto, nei termini che egli non voglia, o non
predisponga, con la cittadinanza di Mantova ed i suoi esponenti, nel dare conto vuoi all’ingegner Paolo
Rabitti vuoi alle opposizioni del suo
operato, nel prestarsi a critiche che
possa ritenere sensate o degli apporti migliorativi, chiudendosi invece a
riccio nel suo trigol magico o in che altro di autoreferenziale, ancor ora con
rigenerata sicumera ed arroganza, invece
che con accogliente umilta’ resipiscente. Piaccia o non piaccia dalla
vicenda la immagine pubblica di Palazzi ne e’ uscita scossa, per cui sta ora
ai suoi elettori e sostenitori ed amici
rinnovargli stima ed affetto con accresciuta maturita’ umana e politica, consapevoli delle vulnerabilita’ del Sindaco
che ne sono emerse, insieme ai suoi
pregi, evitando giustizialismi o innocentismi che siano a senso unico, o
rimozioni dell’accaduto, e di quanto ne e’ emerso, che siano una sorta di
verginity soap o di imenoplastica. Si
tratta di tagliandi, di sopra e di sotto, che e bene lasciare in tutto e per
tutto al Cavalier Silvio.e a chi vuole ancora credergli.
Bergamaschi Odorico
domenica 20 maggio 2018
gay pride
Siamo
alle solite. Il circolo La Salamadra presenta il 3 febbraio il futuro Gay Pride
che si terra’ a Mantova il 16 giugno prossimo, ed il Pd cittadino non perde
l’occasione per intestarselo, sia pure con qualche discrepanza rispetto a cio’
che fanno intendere alla nazione le sue liste elettorali, tra i cui
nominati ( si mormora da piu’ parti
perche’ il Pd dopo le elezioni possa celebrare la propria unione civile con
Forza Italia senza i fastidi arcobaleno di richieste di matrimoni ugualitari),
non e’ stata di certo sollecitata o motivata a fare rientro la filosofa
radicale Michela Marzano, ne’ sono stati ricandidati Logiudice dell’Arci Gay ed
il fautore dei diritti civili Luigi Manconi, che solo in questi giorni e’ stato
recuperato da Gentiloni come coordinatore dell’Unar. Ed e’ bastato che il Pd
abbia egemonizzato lo starting del Gay Pride, perche’ le destre non abbiano
perso un momento nell’ invocare il
controaltare di un Festival della famiglia riparatore o compensatore. Certo
e’gia’ una buona cosa che esponenti autorevoli del centro-destra di Mantova,
Lega inclusa, rifiutino ogni discriminazione di genere nel loro schierarsi per
la famiglia che definiscono tradizionale, cosi’ riconoscendo implicitamente che
anche quelle Lgbt sono famiglie, beninteso non tradizionali, quali nuclei d’amore solidale. Cio’che a tali
esponenti non dovrebbe pero’ sfuggire e’che il Gay pride e' un raduno
affermativo di diversita’, mentre i
festival della famiglia di cui si ha conoscenza sono intrinsecamente
discriminatori, le saghe persecutorie di partite di caccia alle streghe, ora di
fattezze gender, intese a cancellare diritti civili e dignita’di esistenza
pubblica a chi e’ Lgbt. Sono mine vaganti che prima o poi, nel loro
fondamentalismo patriarcale, rischiano di far saltare per aria l' insegnamento stesso della Bibbia cui si
rifanno, dato che le Sacre Scritture continuamente denunciano una natura
criminosa e criminogena delle famiglia, insieme ai suoi pregi non solo
spirituali, solo che si considerino l'incestuosita' di Eva ed Abele, o di Lot e
le sue figlie, la realta' fatalmente rivalitaria delle relazioni tra
consanguinei che vi ricorrono, da Caino ed Abele giu ' giu', di patriarca in
patriarca, fino a Giuseppe venduto dai fratelli, per non dire di Davide e
Salomone, adulterino criminale l’uno e idolatra
poligamo l’altro, e ultimo ma non ultimo, per non tacere che autentico
sfasciafamiglie fu Gesu' di Nazaret, con la sua chiamata degli Apostoli. che
non ammetteva nemmeno che si indugiasse a seppellire i morti in famiglia.
Magari, in concomitanza con il Gay Pride, si istituisse davvero un reale convegno sulla famiglia, che affrontasse a
piu’voci le ragioni della crisi
dell’istituzione familiare e della
denatalita'in Occidente, del welfare domestico di madri e nonni e badanti
straniere, del perche’di tanta violenza
o impotenza o serpi in seno alle famiglie, considerandone’ le tipologie tutte
che sono gia’presenti sul nostro territorio, quelle islamiche, africane,
indiane o cinesi incluse, che in modi
diversi strutturano culturalmente l’
inconscio dei residenti . Ed a suggello
di tutto, che senso ha parlare come il centro destra in nome di
genitori e figli, come se fossero
o fossimo tutti eterosessuali e monogami ? Non e' gia' di per se' il discrimine di una rimozione, la rimozione
di quella che potrebbe essere la
propria realta’ in famiglia
Lettere al giornale Longfils e l'antifascismo da pochade 18 febbraio 2018
Se a quanto pare, per
l’amico ed ex collega Longfils tutto nel mondo e’ burla, come per il Falstaff
di Verdi, cultura ed intelligenza, che ha sopraffine, dovrebbero avvertirlo che
da tale sua idea della vita e’ bene che una buona volta preservi le istituzioni in cui opera, graziandoci di una
contro revoca della cittadinanza virgiliana concessa a suo tempo a
Mussolini. Già tale revoca di per se’ e’ una forma di antifascismo da
pochade, che per certi suoi colleghi di opposizione ha già richiesto fin troppo
dispendio di tempo e di denaro, consiliari : perché tirarla più ancora per le
lunghe, sotto il solito ammanto di pretese ragioni legalitarie? E’ una melina
che serve solo a mostrare quanto si sia a corto di idee propositive, se
non si ha altro di più serio da criticare o a cui pensare, screditando
tutta quanta l’opposizione al proprio seguito, proprio come la stessa revoca della cittadinanza
virgiliana a Mussolini ha mostrato tutto il fiato corto di tale antifascismo da
establishment, quando piuttosto si sarebbe dovuto evitare di lasciare la piazza
solo alla Boje, contrastare le interferenze di Forza Nuova nell’operato di
certi nostri sacerdoti, e raccogliere contro l’intimidazione pubblica, da parte
del solito manipolo di skinheads, di un’assembea in Medole ch’era consensuale
con le ragioni di una nostra scrittrice italiana di origini marocchine, Chaimaa Fatihi, lo stesso sdegno che
ha suscitato un’ identica incursione in Como. Meglio sarebbe se Longfils, quale
edotto insegnante di inglese in quiescenza, invece di ritornare sulla revoca
della cittadinanza onoraria a Mussolini
sollecitasse che si onorasse finalmente post mortem , con qualche
convegno, quella gloriosa del nostro concittadino Seamus Heaney, premio Nobel
della letteratura, e senza forse il più grande poeta in lingua inglese della
seconda meta’del secolo scorso, alla stregua delle care memorie dei
nostri Giorgio Bernardi Perini, Gianfranco Maretti, Enzo Dara.
Lettere al giornale E' scherzo od è follia
“E scherzo, od e’
follia”, puo’ accadere che in futuro non possa piu’ chiedersi ad Oscar nel Ballo in Maschera di Verdi , se avesse un
seguito la recente denuncia di ogni travestitismo teatrale da parte del Popolo
della famiglia, onde non suscitare tra gli
spettatori adolescenti turbative gender di alcun genere . E’ un grido di allarme lanciato su queste stesse colonne di
giornale dal suo esponente itinerante Massimiliano Esposito, traendo spunto dalla rappresentazione
teatrale “ Suzanne”che e’ andata in
scena il 18 febbraio scorso allo Spazio Sant' Orsola a Mantova, in quanto
metteva in scena come sia successo che in tempo di guerra un uomo si sia
travestito da donna per sottrarsi all’arruolamento. E con il Ballo in Maschera,
nemmeno piu’ Nozze di Figaro di Mozart con un Cherubino mezzosoprano, il Fidelio di Beethoven, o il Rosenkavalier
di Strauss, a rischio e’ il nostro
stesso Rigoletto, con Gilda che esce dal sacco vestita da uomo ! Quanto al cinema, poi, scordiamoceli A
qualcuno piace caldo, o Tootsie, o Mrs
Doubtfire, mammo per sempre, e chi più ne ha più ne indichi. Dimenticavo:
soprattutto non udiremmo piu’ le arie per i castrati che furoreggiarono nella Roma della corte
pontificia dal 1562 almeno fino al 1903, e che di li si diffusero per tutta
Europa, particolarmente dopo che per il divieto di Papa Sisto V, del
1588, a che le donne si esibissero in
teatro, tutti i ruoli femminili furono affidati a degli uomini travestiti, dei castrati fin da bambini, se dovevano
primeggiare nel teatro musicale o nei cori delle voci bianche della Cappella
Sistina.
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