Signor direttore
Per il tramite delle colonne della Voce di Mantova, mi
consenta che chieda al giovane Simone Segna, quanto alla sua sentita esecrazione apparsavi lunedì scorso, 16
aprile, di come la cultura scivoli via ai nostri amministratori, di farmi ora ben capire in argomento: forse
che il nostro Polpatelli avrebbe dipinto i suoi desolati vecchi, e il
nostro Domenico Pesenti l’adorato nipote Azzurrino, al solo fine di essere “redditizi” in futuro, parole sue, e le
loro opere varrebbero per quanto potere e prestigio territoriale conferiscono?
E secondo la sua panoramica storica dei Gonzaga, da fiction televisiva medicea,
Gianfrancesco I si sarebbe fatto effigiare da Pisanello a puro beneficio dei
suoi beneamati sudditi e dell’umanità futura, nient’affatto per mera vanità egoica e per la
gloria dinastica,? Né si saprebbe ancora né come, né perché, la celeste
Galleria dai magnanimi Gonzaga, tutti spirito e arte, sia finita inopinatamente svenduta? Ed alfine,
sarebbe forse un mero caso e non già l’effetto di una loro estero-maniacalità
plurisecolare, foriera delle fregole odierne acchiappa esterni di grido, se sotto
di loro, a corte, fatta salva l’eccezione
di Giovan Battista Bertani, l ‘ingegno
locale ne è uscito talmente depresso che ne è sortito al più qualche Andreasino? Ma per
venire al fine politico di tale parata agiografica, sarebbe al fin della
licenza una non meglio precisata sinistra
radical chic, alla quale se è la compagine culturale di Tomaso Montanari e
spiriti affini sono ben fiero di appartenere, che avrebbe svilito il valore
umano e di umanizzazione dell’arte del
passato, al netto di tanta vanagloria così obliterata? In realtà, pur alla luce di una visione dell’arte in pompa magna che resta
del tutto in superficie rispetto alla “tragica gioia” (Yeats) che l’ispira, infarcita
delle idealizzazioni ed incongruenze suaccennate, quello che di vero e di
giustificato in toto si evince dall’ intensa
e bella filippica di Segna, è piuttosto la denuncia dell’identico paradigma che
in politica culturale accomuna il PD, spacciato ancora come
la Sinistra che ne è stata annientata, alla
stessa forza Italia cui egli dichiara
di appartenere, ossia è la deprecazione
degli assessorati e delle deleghe alla cultura che la riducono al solo mondo
della civiltà del turismo e dello spettacolo, a tutto quanto è di incasso e di
successo, e che solo in tali termini è di un certo interesse e valorizzabile.
Si tratta di una visione dei beni
culturali che ai piani alti ministeriali, da Melandri e Urbani, e quindi Bondi, si è
trasmessa fino a Galan e Franceschini, e
che a quelli più bassi la giunta Palazzi ha desunto finanche con il copia e
incolla da quella Sodano, proponendo una medesima cultura di corte elargita
dall’alto dal Principe duca, di cui i cittadini sudditi non
sono che dei fruitori digitali. Ne è proliferata una serie di orrori
nostrani che dall’oscena mostra sui ritratti di Virgilio, “ poeta romano”, e
dagli idrovolanti Mantova- Como, ai tempi del leghista Chizzini, si è
propagginata fino alle isole di Ocno e alla sola sesquipedale di Eat Mantova, tutta fondata sul
falso a suo tempo di successo di una cucina mantovana che fosse la stessa sui deschi e i tavolacci di Principi e
Popolo, con buona pace del nostro Stefano Scansani e del suo capolavoro sul nostro effettivo e nient’affatto”mangiare
cattivo”. Trattasi dell’accaparramento funesto della cultura e dell’arte quali mere risorse da sfruttare, quali giacimenti petroliferi da cui estrarre a
fiumi fior di quattrini, di cui già a
suo tempo trasecolava il socialista De Michelis, a tutto vantaggio
dei transatlantici sospingentisi fino in
vista del Palazzo Ducale di Venezia, o per restare a noialtri
e’ “la Mantova da vendere” a destra e a manca di cui svalvolava a tutta randa il nostro sindaco Palazzi, prima di rinsavire in
merito e non di poco nella sua versione
aggiornata. Certo, così si è evidenziato solo il nesso connettivo in negativo
delle politiche culturali delle due amministrazioni poste in discussione, al
netto di quanto di buono hanno pur operato, a sostegno e supporto di fondazioni
o associazioni e confraternite varie, ben di più, o troppo di più, quella di
Palazzi che quella di Sodano, a imparziale onore del vero. Pur se spropositando
di Sinistre oramai fantasma, comunque ben venga che a denunciare l’acquiescenza della politica del
Pd alla civiltà del turismo e dello spettacolo sia un giovine
sostenitore di Forza Italia, tuttora di ferrea proprietà di Silvio Berlusconi quanto lo è Mediaset, ben sia, tanto più che per tale bisticcio di interessi ci si
trova di fronte al classico bue che dà del classico cornuto al classico asino,
pur con tutte le ragioni che il primo ha da vendere, se la stessa Modena
democratica eleva in tempi di Daspo a
suo cittadino onorario Vasco Rossi. E’
questo comune stravedere per concertoni che lasciano il tempo che trovano, per mostre mercato e feste di gala nel Palazzo
Ducale o in quello della Ragione, ridotti, grazie anche ad Assmann , a bei contenitori espansi per ogni sorta purchessia di visitatori e di acciabattati turisti, e’ in breve dire questo
comune credo nella panacea turistica, che spiega la sottomissione oppositiva del
centro destra nostrano alle vedute megaloturistiche del Sindaco in corso, con
il quale tale centro destra come non può non essere d’accordo, criticando
soltanto quanto Palazzi resti distante
da tali obiettivi da incubo. Pare di
sentirlo, il centrodestra, in controcanto,
decantare il modello che sarebbe invece di una virtuosità
esemplare della Verona di Tosi e ora sboarianiana, di cui nei dì feriali tutte le chiese principali restano chiuse al culto per garantirne
l’accesso ai turisti, dove è stato un gioco da ragazzi svaligiare dei suoi
tesori pittorici il Museo di Castelvecchio, mentre ai più che la visitano si prospetta in futuro,
“maravegia de le maravegie”, nientepopodimeno che il
museo dell’Amore da Giulietta a Federico Moccia. Tutto questo, in spregio alla nostra Costituzione che tutela come nessun’altra al
mondo il patrimonio artistico e
ambientale nazionale , all’articolo nove dove si recita a chiare lettere che i
beni culturali sono un valore finale e non merce strumentale.
Odorico
Bergamaschi
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